Roberto Silvestri
Salvo di Fabio Grassadonia e
Antonio Piazza, con Saleh Bakri, Sara Serraiocco, Luigi Lo Cascio.
Italia 2013.
Saleh Bakri in "Salvo" |
Apertura italiLibé e poi il primo premio della sezione. Altra rarità per un esordio italiano.
ana alla Semaine de la
Critique, cosa molto rara, esce adesso nelle sale italiane il film rivelazione della Croisette, metà d'azione metà
kammerspiel, sulla mafia e contro la mafia, ambientato nelle
periferie di Palermo, mai così acida nelle luci e senza orpelli
cromatici, che aveva appassionato molto, per le sue qualità visuali,
formali e quindi morali, il comitato di selezione della Semaine, ed è stato
oggetto di lunghe discussioni, divisioni e dibattiti. Conquistò la prima pagina di
Salvo, che una rivista specializzata francese ha soprannominato “l'anti-Gomorra”, è infatti un film forse imperfetto nel congegno narrativo, e non sempre fluido e 'melodico' nei raccordi, psicologicamente sottili, come sono, per format e per forza, anche i prodotti confezionato per 'il mercato di qualità' (c'è anche Arte nella pacchetto produttivo che coinvolge la Torino Film Lab e la Film Commission siciliana), ma che, considerato il rigonfiamento di un mediometraggio, pulsa di vita anche nelle ripetizioni o nelle sospensioni imprevist.
Rifiuta inoltre l'oggettività, la distanza 'entomologica' (per esempio quella di Matteo Garrone), pretendendo di 'entrare in campo', di dare risposte, di discutere con l'orizzonte morale dei personaggi, di mettersi dalla parte di chi a un certo punto rompe con l'accettazione della propria degradazione e subordinazione e ha il coraggio di evadere dalla comunità, di tradire, di fare detour fino all'inevitabile sacrificio finale. Inoltre, memore della lezione di Frammartino, tenta delle incursioni magico fiabesche, non senza rimandi rosselliniani, per giocare sul realismo altre carte.
Forse per questo la qualità, la tensione, della recitazione è straordinaria anche nelle piccole parti, si pensi al cameo di Luigi Di Cascio, figliol prodigo che ritorna nella sua Sicilia, e aggiunge all'affresco il ritratto di un pusillanime affettuoso, fino all'affettazione, parente del killer. Dal thriller al quasi miracolo il tragitto è inusuale.
In un inizio d'azione compulsiva alla Fernando Di Leo, uno spietato killer delle cosche (Saleh Bakri, un colosso, un misto di Schwarzenegger e Mohamed Bakri, l'attore palestinese biondo e dagli occhi azzurri) esegue senza obiezioni la sua missione. Uccisi i traditori (non tutti, qualcuno scappa) estorce a un sopravvissuto il nome del mandante. Freddato anche lui, come in un western all'italiana (in campo sono sia chi spara sia chi viene ucciso, anche se i registi hanno una trovata geniale per non essere accusati di volgarità sensazionalistica: sparano anche loro la ripresa alle spalle del killer...).
Salvo chiude la partita, ma risparmia la figlia 'cieca' (che però qualche ombra la vede, e poi non sopporta la luce...) dell'infame. A questo punto inizia un duplice tragitto di fuga dal proprio ruolo, sia del killer (che, in casa e fuori inizia a comportarsi stranamente) sia della ragazza che viene sequestrata in uno di quegli hangar da industria dismessa che non sono sfuggiti al pacchetto Monti sull'Imu, ma non uccisa come ordinato.
Il film
diventa un duetto, e riprende il filone del killer che si trasforma in
giustiziere, mettendosi contro l'intera Organizzazione, che ha tanti
antenati celebri, come Yul Brinner e Dennis Hopper (affascinato dalla
sua preda, Jodie Foster, nel suo più bel film da regista). La
'cecità' della ragazza a poco a poco che la storia d'amicizia e poi
d'amore tra i due cresce, diminuisce. E lei diventa, prende luce, e possesso di
uno spazio, prima accettato poi rifiutato, segno della propria estraneità ottica a quel mondo.
Sara Serraiocco dimostra doti gestuali squisite, da new dancer,
e gioca molto bene con il suo vestito che è quasi una citazione di quello, acquistato per Maria de Medeiros nella catena nordamericana Antrophologie, e sfoggiato in Pulp Fiction, mentre Bakri aggiunge alla inusuale fisicità dell'attore d'azione
una sottigliezza emozionale davvero sorprendente.
Alla fine della tragedia il succo sembra quasi un motto di spirito. Come quando al cieco che chiede allo zoppo, così per iniziare la conversazione, Come quando al cielo che chiede allo zoppo, così per iniziare la conversazione, "come va?", lo zoppo risponde "come vedi?" .
Salvo, che una rivista specializzata francese ha soprannominato “l'anti-Gomorra”, è infatti un film forse imperfetto nel congegno narrativo, e non sempre fluido e 'melodico' nei raccordi, psicologicamente sottili, come sono, per format e per forza, anche i prodotti confezionato per 'il mercato di qualità' (c'è anche Arte nella pacchetto produttivo che coinvolge la Torino Film Lab e la Film Commission siciliana), ma che, considerato il rigonfiamento di un mediometraggio, pulsa di vita anche nelle ripetizioni o nelle sospensioni imprevist.
Rifiuta inoltre l'oggettività, la distanza 'entomologica' (per esempio quella di Matteo Garrone), pretendendo di 'entrare in campo', di dare risposte, di discutere con l'orizzonte morale dei personaggi, di mettersi dalla parte di chi a un certo punto rompe con l'accettazione della propria degradazione e subordinazione e ha il coraggio di evadere dalla comunità, di tradire, di fare detour fino all'inevitabile sacrificio finale. Inoltre, memore della lezione di Frammartino, tenta delle incursioni magico fiabesche, non senza rimandi rosselliniani, per giocare sul realismo altre carte.
Forse per questo la qualità, la tensione, della recitazione è straordinaria anche nelle piccole parti, si pensi al cameo di Luigi Di Cascio, figliol prodigo che ritorna nella sua Sicilia, e aggiunge all'affresco il ritratto di un pusillanime affettuoso, fino all'affettazione, parente del killer. Dal thriller al quasi miracolo il tragitto è inusuale.
In un inizio d'azione compulsiva alla Fernando Di Leo, uno spietato killer delle cosche (Saleh Bakri, un colosso, un misto di Schwarzenegger e Mohamed Bakri, l'attore palestinese biondo e dagli occhi azzurri) esegue senza obiezioni la sua missione. Uccisi i traditori (non tutti, qualcuno scappa) estorce a un sopravvissuto il nome del mandante. Freddato anche lui, come in un western all'italiana (in campo sono sia chi spara sia chi viene ucciso, anche se i registi hanno una trovata geniale per non essere accusati di volgarità sensazionalistica: sparano anche loro la ripresa alle spalle del killer...).
Salvo chiude la partita, ma risparmia la figlia 'cieca' (che però qualche ombra la vede, e poi non sopporta la luce...) dell'infame. A questo punto inizia un duplice tragitto di fuga dal proprio ruolo, sia del killer (che, in casa e fuori inizia a comportarsi stranamente) sia della ragazza che viene sequestrata in uno di quegli hangar da industria dismessa che non sono sfuggiti al pacchetto Monti sull'Imu, ma non uccisa come ordinato.
Sara Serraiocco |
Alla fine della tragedia il succo sembra quasi un motto di spirito. Come quando al cieco che chiede allo zoppo, così per iniziare la conversazione, Come quando al cielo che chiede allo zoppo, così per iniziare la conversazione, "come va?", lo zoppo risponde "come vedi?" .
Nessun commento:
Posta un commento