di Mariuccia
Ciotta
Nell'altro
secolo, ogni sette anni Biancaneve
e i classici Disney
tornavano sul grande schermo in una staffetta generazionale che
inanellava la memoria. Tutti bambini del 1937 di fronte alla
creatura dei fratelli Grimm che attraversava la foresta di artigli in
fuga dal Castello di Grimilde. Ed era sempre la “prima volta”.
Sette
anni per rivedere gli “evergreen”, però, sono troppi per i fans
di un'altra età e finalmente le videocassette e i dvd hanno
interrotto l'attesa. Ma è nel buio della sala che le immagini
danzanti di Walt dicono cos'è il cinema visto da mille occhi nello
spazio espanso dello schermo, magnifica perciò l'iniziativa di
riproporre i titoli dei cartoon disneyani nelle sale
cinematografiche, come è accaduto già l'anno scorso con
Cenerentola, La carica
dei 101 e La
Bella e la Bestia.
Il
“pacchetto” di giugno 2013 contiene, però, ancora una volta
titoli attribuiti al papà di Mickey Mouse senza distinzioni tra il
“prima” e il “dopo” in una totale confusione sull'opera di
Walt che non è una major ma un innovatore di linguaggi. In
programma: Gli
aristogatti (1970),
Il Libro della giungla
(1967), Monsters &
Co (2001, in sala
fino al 26 giugno) e Peter
Pan (1953, 29-30
giugno).
E'
vero, come si è detto, che Gli
aristogatti (1970) è
il primo film “non prodotto” da Walt, scomparso il 15 dicembre
1966, ma i lungometraggi usciti nel dopoguerra segnano tutti una
distanza dai “classici” che si concludono nel 1942 con Bambi.
Dopo, Walt si dedicherà alle sue nuove ossessioni, l'immagine
ibrida, i film con attori, i documentari sulla natura e, prima di
tutto, Disneyland, ideata dalla Wed (Walt Elias Disney, 1952),
organizzazione separata dallo Studio di Burbank, “rifugio” per
lo sperimentatore indipendente. “Il parco significa molto per me –
disse - E' qualcosa che non sarà mai finito... E' vivo...
Biancaneve
non esiste più”.
Walt
non era interessato alla copia di Snow
White, ma lo Studio
sì, e infatti Cenerentola
(1950) riempì di nuovo le casse esangui della major, caduta in crisi
durante il secondo conflitto mondiale.
Il
“Disney touch” si sente ancora fino a Lilli
e il Vagabondo ('55)
passando per Cenerentola,
Alice nel paese delle meraviglie ('51),
Peter Pan
('53) e poi sfuma nella Bella
addormentata nel bosco
('59) che segna lo spartiacque con l'era Wolfgang Reitherman,
regista di una lunga serie di surrogati disneyani: La
carica dei 101 ('61),
La spada nella roccia
('63), Il libro della
giungla ('67), Gli
aristogatti ('70),
Robin Hood
('73), Le avventure di
Bianca e Bernie
('77), Red e Toby
('81). Per ritrovare un po' di “polvere di fata” si dovrà
attendere la giovane parata di animatori alle prese con La
sirenetta ('89).
Dunque,
Gli aristogatti,
che ha aperto la programmazione di giugno (1-2) dove “non si
avverte l'assenza di Disney” secondo alcuni critici, è la prova di
come il cartoon perda vita senza Walt e si riduca a un pasticcio di
gag con personaggi rozzi e melensi, i gatti fotocopiati dai 101
dalmati, strimpellatori di pop-jazz, caricature di quegli esseri
“disumani” venuti alla luce nelle Silly Symphonies degli anni
Trenta. Non c'è più nulla di disneyano, anzi tutto quel che si
attribuisce a “zio Walt”, il marchio del “sequestratore di
immaginario” detestato da chi ha letto e approvato Ariel Dorfman e
Armand Mattelart (Come
leggere Paperino. Ideologia e politica nel mondo Disney,
'71).
Il
rooseveltiano Walt non avrebbe amato “Romeo er mejo der Colosseo”
(e nemmeno l'irlandese Thomas O'Malley dell'originale), il gatto
macho ricalcato male sul Vagabondo mentre gli sarebbero piaciuti gli
squinternati alieni di Monsters
& Co, mostri
digitali lontanissimi dalle rotondità del Topo eppure dotati di
spirito rivoluzionario e di eccentricità umoristica che affiancano
il popolo selvaggio di Il
libro della giungla.
Tratto
dal romanzo di Kipling, il film è ancora sotto l'influenza di Walt
tornato per un breve periodo a occuparsi di cartoon. Si è appena
goduto il trionfo di Mary
Poppins ('64),
prototipo a tecnica mista, live più animazione, e Disneyland ha già
compiuto dieci anni.
Walt
morirà durante la lavorazione, e si vede. Mowgli decolla nella
matita di Milt Kahl e Frank Johnson, due dei nine
old men, e poi perde
quota in un frastornante teatrino scimmiesco. Anche qui il lato dark
e la vocazione all'impossibile disneyani non trovano l'Isola che non
c'è.
L'indirizzo
però ce lo dà “il ragazzo che vola” nell'ultimo titolo,
imperdibile, dell'omaggio al grande creatore di mondi. “Seconda
stella a destra e poi dritto fino al mattino” dice Peter a Wendy
sospesa sulla torre di Londra. Il monello di James M. Barrie non è
che Walt. “Nessun attore si era identificato più di me... io
volavo davvero” racconta a proposito dello spettacolo teatrale
dove, bambino, interpretava un Peter Pan proiettato in mezzo alla
folla da un marchingegno ideato dal fratello Roy.
“Era
un bel ragazzo, vestito di scheletri di foglie e della resina che
stilla dagli alberi” scrive Barrie. “E ha 12 anni per sempre
perché rifiuta di lasciare quella bella entusiasmante età, ma la
cosa più importante è che sa dov'è Neverland e sa come arrivarci”
aggiunge Walt.
Il
film è forse l'atto finale della sua ricerca di un luogo utopico, il
cinema, dove tutto è possibile, e dove “morire sarà un'avventura
grandissima”, come si sussurra Peter mentre Capitan Uncino sta per
infilzarlo con la spada.
Se
nessuno ci crederà più, avverrà l'eclissi, ma il fascio di luce
riprenderà a squarciare il buio quando qualcuno “penserà qualcosa
di meraviglioso”.
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