Mariuccia Ciotta
Pesaro
Oltre un tempo-cinema che accumula
fotogrammi del passato, “mummifica” la realtà e consegna
allo spettatore un' ”altra vita” (il sogno), si muove la sezione
della 49esima Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro dedicata da Adriano
Aprà al “Fuori norma”, promemoria della “via
sperimentale del cinema italiano”, spazio dedicato ai filmmaker
dell'ultima generazione alle prese con il film ibrido
analogico-digitale, infiltrato di materiali e tecniche eterogenei.
E' Patricio Guzman a dare il là
al tempo come unità di misura di un immaginario a caccia
ossessiva del “presente” nel suo meraviglioso Nostalgia de la
Luz (2010), presentato nella retrospettiva sul cinema cileno. Il
“presente” non esiste, la luce delle stelle arriva sulla Terra da
lontano, appartiene a un'altra epoca, i raggi del sole impiegano otto
minuti per toccare il mondo, e perfino il pensiero opera discrepanze
temporali, dice nel film l'astrofisico dell'Osservatorio sospeso sul
deserto di Atacama, dove Pinochet seppellì i suoi oppositori.
Eppure. Dallo spazio profondo all'underground c'è un filo
rosso che lega i corpi celesti ai corpi umani, un presente
emozionale. Lo stesso che i registi del “Fuori norma” estraggono
dalla narrazione convenzionale, prima-durante-dopo, per strappare al
cinema la sua alterità alla vita. Corpo a corpo col flusso dei
fotogrammi e con gli spettri che passano e se ne vanno, secondo la
lezione di Gianikian-Ricci Lucchi, Alberti Grifi, Straub-Hillet,
Michelangelo Frammartino, Fabrizio Ferraro in un percorso di
avvicinamento all'oggi, declinato da Aprà nei limiti di un
budget che gli ha permesso solo un assaggio del laboratorio
sperimentale italiano.
Poco importa la verifica della “norma”
del “fuori norma” invocata da chi si intesta il ruolo di nuovo
santone della ricerca, questa sì una vecchia pratica
accademica, e pretende il “nuovissimo” come merce pregiata da
esibire. Il “Fuori Norma” di Aprà è una questione
teorica, un punto di analisi critica per declinare il senso del
lavoro d'avanguardia disseminato negli anni, da Eggeling, Richter,
Ruttmann, passando per Chris Marker fino ai viaggi temporali del
terzo millennio. Film che si espandono nei blockbuster, e rifiutano
la nicchia del “diverso” quando sono già cinema, tanto più
adesso con la moltiplicazione dei canali distributivi, dalla sala al
web.
In programma, corti d'animazione, film
astratti, “diari” assemblati con immagine di repertorio,
fotografie, home-movie sempre più fusi e indistinguibili con
la videoart, che a sua volta “ruba” dal cinema e si propone a una
diversa percezione dell'immagine.
E' il tempo, dunque, la sfida. Tempo
accelerato e interrotto, tempo ingannato dal ralenti e dal
fermo-immagine, tempo sdoppiato nell'inquadratura, dove passano a
velocità supersonica le figurine dei passanti mentre c'è
qualcuno che, immobile, si prende gioco dell'alba e del tramonto come
accade nel bellissimo Panorama – Roma (2004) firmato
Zimmerfrei (Anna de Manincor, Anna Rispoli e Massimo Carrozzi), dove
l'obiettivo guarda piazza del Popolo scindersi in due dimensioni,
corpi-saette e corpi sensualmente protesi in lente performance, 24
minuti in conflitto nel chiarore cangiante del giorno. Il reale
esplode nella sensazione di un presente che mostra il se stesso
passato, e anticipa il futuro in un gioco di discrasie temporali
vertiginose, ottenute con la tecnica del time lapse. Il
fotogramma “salta” e accelera la marcia, annulla l'intervallo
naturale e precipita nel fuori-tempo.
Così Movimenti di un
tempo impossibile di Flatform (2011) mostra “l'instabilità
della visione e della percezione - come scrive Bruno Di Marino nel
suo importante saggio pubblicato nel libro che fiancheggia la sezione
di Aprà - esplicitata il più delle volte mediante la
messa in scena di un paesaggio colto nella sua perenne
modificazione”. Panorami che si muovono da fermi, carezzati dalla
luce, fluttuanti e vivi.
In questo “nuovo cinema”
determinato a riconfigurare il reale, a creare il presente assoluto,
il contatto contronatura materia-pensiero, un ruolo centrale è
dato dal suono. Non più “colonna sonora” d'accompagno, la
musica si fa elemento dissonante, violento e protagonista, in totale
“fuorisincrono” con le immagini. Musica post-dodecafonica, musica
concreta, rumore straniante che amplifica l'effetto di un tempo
sbranato dal visuale, come accade in Exerecises with a puppet
di Emanuele Becheri (2012) dove sullo sfondo nero dello schermo
emerge un teschio che per 13 minuti si contorce, lotta con un
avversario fantasma, scosso, capovolto, colpito tra ruggiti e
tamburi. La Morte 24 fotogrammi al secondo, aggredita, muore.
Finalmente abbiamo più tempo a disposizione.
Nessun commento:
Posta un commento