Roberto Silvestri
Fuoco sull'Occidente del dopo 11 settembre?
Il sogno pakistano del rampante yuppie convertito e traditore, poi redento come mostra una barba sempre più folta, è la metafora del conflitto risolto fra un certo Islam e il capitalismo. Ricordate il drago riluttante di Walt Disney? L'animale che non vuole assolutamente essere quello che la natura (si dice) esige da lui, cioé un cattivo e spietato potere incendiario? Fa così anche questo Riluttante Rivoluzionario che non se la sente di passare dall'analisi alle conseguenze pratiche della sua teoria. Ma cominciamo dai fondamentalisti. Dagli emirati sunniti.
Chi non ha problemi di soldi e
di Palazzi del cinema tutti d'oro ne potrebbe costruire anche tre è
Doha, capitale del Qatar, sede di Al Jazeera, giardino culturale sempre
più lussureggiante, che sta diventando il punto di riferimento delle
colombe wahabite e del processo (poco chiaro, vedi in Siria) di democratizzazione in medio Oriente
(ovviamente fuori dal Qatar).
Co-prodotto dal locale e sempre più attivo istituto
cinematografico, Il riluttante fondamentalista riempie di elogi, nella sua prima parte,
proprio Wall Street e i suoi teneri virgulti, come l'analista finanziario Changez Khan (Riz Ahmed), un cacciatore di teste aziendale
fuoriclasse, uno yuppie pakistano addestrato a Princeton al gioco duro e al monoteismo del 'vincente a tutti i costi', che fa scalate rapide nel managment licenziando in massa operai (meglio se filippini, tanto sono per lo più cattolici) d'esubero.
Però la sua
carriera travolgente - coronata dalla seduzione a prima vista perfino dalla sofisticata nipote (artista) del super capo della
micidiale Underwood Samson, Erica (Kate Hudson), traumatizzata irreversibilmente però dalla perdita prematura del suo fidanzato di sempre - sarà travolta dalle conseguenze
paranoiche, xenofobe e razziste dell'11 settembre, delle torri gemelle sbriciolate da un altro 'manager' sunnita, Osama Bin Laden. Il declino sociale di Changez lo trasformarmerà in
un «critico drastico di Bush jr.» e oltre. Come tutti noi, però, senza essere islamisti e senza dunque aver mai commentato: "Vedendo cadere una dopo l'altra le Twins Towers, per un nanosecondo, sorrisi".
Abbandonato il «fondamentalismo
capitalistico», e il suo guru spirituale Jim Cross (Kiefer Sutherland, sempre a suo agio come psicotico inusuale), prima regola fare profitti costi quel che costi, basta abbassare al massimo i costi, sciolto dal giuramento e dall'incantesimo bancario, tornato
in patria, nonostante un padre poeta (e dunque 'perdente') e dei colleghi professori coranicamente più corretti, Changez sfiorerà le lusinghe di un secondo fondamentalismo altrettanto feroce,
quello islamista. Prima regola: tutto ciò che è americano è mostruoso a priori.
Seconda regola: «vi dico io quali sono i veri fondamenti del Corano». Ma: "Lo so, non posso gioire per la morte di 3 mila innocenti".
Era fuori concorso a Venezia questa lezioncina ideologicamente prevedibile di Mira Nair (la regista indiana prediletta e premiata con il Leone d'oro anni fa da Nanni Moretti, perché predilige i tempi e lo stile «moderato cantabile»). Il fondamentalista riluttante, dal romanzo best seller (Einaudi) di Mohsin Ahmid, è un thriller che inizia però con un travolgente set musicale folk, e poi diventa una lancia spezzata a favore dell'identità culturale pakistana, troppo frettolosamente indicata come «talebana» (ma come! e Salman Rushdie?) e invece umanista e profonda e sapiente. Il film, affidato nel soundtrack a Mike Adrews (Donnie Darko), scodellerà via via altre performance concertistiche mozzafiato sufi, di Amy Ray, Indigo Girls, Peter Gabriel e Atif Aslan. Omaggio alla bellezza ancor più significativo se scodellata da una vicina cugina che dovrebbe essere infida (vedi Kashmir), anche se il sound pakistano tira molto su Internet.
Il cuore del film è nel «testa a testa», nel suq di Anarkali di Lahore, tra il giornalista Bobby Lincoln, in realtà agente Cia (è Liev Schreiber), e il nostro ex manager killer (Cosa vuoi fare da grande? "Il dittatore di una repubblica islamica!" ebbe la sciagurata idea di rispondere scherzosamente), adesso rientrato a casa e professore universitario di storia delle rivoluzioni.
Mira Nair con Liev Schreiber |
La «riluttanza» di Changez, che maneggia con sapienza letteraria la lingua urdu, proprio come Lincoln, è dovuta al fatto che, fatta l'analisi del funzionamento delle grandi corporation nell'epoca della globalizzazione, un metodo pacifista al 100% per detronizzarle proprio non si riesce a trovare e quello religiosamente armato sembrerebbe finora molto poco efficace, anzi sospetto e controproducente...Una teoria della rivoluzione, però, non sembra l'obiettivo primario di Mira Nair. Anche se, intanto, milioni di bambini e di adulti muoiono di fame per i diktat del Fmi o della Banca mondiale o di quella tedesca solo per arricchire azionisti e classi medie dell'intero pianeta. Mira, ancora uno sforzo, per rischiarare l'analisi, sue origini e conseguenze. Persino un intellettuale pragmatico potrebbe farcela.
Infatti quel che più preme a Mira è che Changez, in cuor suo, ama ancora pazzamente quell'America (che però è l'esatto contrario di quella, rooseveltiana ancora, mitizzata dal regista egiziano che studiò a Pasadena, Yussef Chahine, ben più radicale), la sua avidità, la magnifica premiership predatrice e sopraffattrice di chi volle cancellare all'unanimità Saddam Hussein spacciatore di armi di distruzione di massa, con Hillary Clinton ad applaudire e tutti i congressisti (una, di San Francisco, esclusa). Si veda anche il personaggio della sorella di Changez: che è una tosta (la cantante e mitica attrice di Mrnal Sen, Shabana Asmi).
Insomma se l'America non maltrattasse, insultasse, perquisisse con esagerata meticolosità, i propri cani più fedeli, i manager (solo perché di origine pakistana, di pelle nera o di sensibilità ispanica) non ci sarebbe nessun motivo per sprofondare nel fondamentalismo, riluttanti o meno.E gli affari non subirebbero shock.
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