La vera Nico dei Velvet Underground |
di Roberto Silvestri
Nella sezione competitiva di Orizzonti della mostra di Venezia, anteprima mondiale di una cupa (ma applaudita e premiata) produzione italo-belga, Nico, 1988, terzo lungometraggio della "millennial" Susanna Nicchiarelli, studi in filosofia, Csc e set morettiani che viene proiettato durante "Venezia a Roma" il 19 e il 20 settembre 2017 prima di uscire regolarmente nelle sale.
Trine Dyrholm, Nico 1988 |
Nonostante una certa epidermica, fisiologica, lontananza dal suo personaggio, di sovversiva star tedesca-newyorkese sul viale del tramonto, Trine esegue quel che Margherita Buy richiedeva a tutti i suoi attori in Mia madre di Nanni Moretti (e nessuno la capiva). Si tiene cioé "al fianco" del suo personaggio. Come fosse il suo aiutante di sostegno. A volte troppo duro, a volte troppo sentimentale. E qui è programmatica parola d'ordine della regia. Niente sentimentalismi.
Susanna Nicchiarelli |
Nico e Andy Warhol |
Un attore interessante della giovane generazione, James Franco, nel suo romanzo autobiografico-saggistico Il manifesto degli attori anonimi spiega in cosa consiste questo star accanto al ruolo:"Per avere il dentro, c'è sempre bisogno di un fuori. Più prediligi il dentro, più la gente sta fuori. Entra, ma non viverci. Stai da entrambi le parti". Il contrario di quello che fa, estremizzando il dentro, Jim Carrey con Andy Kaufman. Trine invece sta molto, molto, fuori. Anche troppo.
Susanna Nicchiarelli (a destra) e Tryne Dirholm |
Nico a Anzio |
Di questa fiammeggiante parte della sua vita, gli anni settanta ribollenti, compresa la creazione di un capolavoro dell'epoca, La cicatrice interieure, summa di quella sensazione di sconfitta generazionale irreversibile che passa, per gli storici americani e per noi tutti, come il decennio delle "Lost Illusions", c'è però solo un acido accenno da parrocchia nel film: “ci facevano solo di lsd in tutti quegli anni” e una battuta, sul palco, che è il titolo del film che Garrel le dedicò dopo la rottura della loro relazione: “Non sento più la chitarra”. Che qui diventa la resa di una artista che non ha più nulla da dire (con sottinteso: senza John Cale e Lou Reed niente Nico. Il che non combacia per esempio con apprezzamenti musicali fatti da Battiato a tutto favore di Nico).
Chi conobbe e frequentò Nico, infatti, senza psico-complicazioni dovute al fatto che fosse "sua madre", invece, anche poco prima dell'incidente mortale di bicicletta a Ibiza, durante gli anni di Manchester, e dei tour a Anzio (la parte più curiosa e viva del film, con frammenti quasi da Grifi) e a Praga con il manager Richard, cioé i musicisti e i giornalisti specializzati, la stimavano e adoravano sia dal punto di vista artistico che umano più di Susanna Nicchiarelli, che deve troppo forse (motivi di copyright?) ai ricordi, giustamente neri e distorti, del figlio Ari (di Alain Delon, mai riconosciuto) che fu per lungo tempo abbandonato da Nico e affidato alla educazione dei genitori di Alain Delon. Certo non è il figlio più affettuoso che si possa trovare.
Insomma la vita di Nico non sarebbe stata affatto scombinata, scombinato è semmai il modo in cui è stata trattata dal mondo politico e discografico dominante nel decennio ottanta e anche un po' questo modo di raccontarla senza sfumature, con sotto plot (spasimanti, dj, avvocati, padroni di casa, polizia segreta ceca, manager...) incapaci di circondarla di vera sostanza stupefacente, eppure descritti con compassionevole simpatia. Forse la colpa è della cattiva qualità delle canne di oggi. Ma senza una certa dimestichezza con le sostanze psicotrope si rischia di fare un film su Nico tipo: "vuoi firmare contro la droga?"
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