Roberto Silvestri *
Non le solite parti di
supporto, ma sempre più protagonisti e protagoniste. Gli attori molto esperti un tempo erano fuori mercato come protagonisti. I ragazzi non li conoscevano. Ma ora vincono le coppe Volpi alla Mostra di Venezia e, come nel caso di Harry Dean Stanton, con Lucky, trionfano nei festival più radicali, come il Sundance, in un film che è sostanzialmente un "one man show".
Prima imbarazzavano troppo le star giovanissime e le schiacciavano.
Ma, oggi, è proprio un giovane regista che offre a una attrice britannica super
tecnica come Charlotte Rampling (che per molti anni ha lavorato in Italia) un copione tutto per lei e addirittura un’esperienza performativa doppia.
Assistiamo infatti a due lezioni di recitazione, una
da allieva (dentro la trama) e una da maestra (ha tutto il film ai suoi piedi). I be molle e i diesis
gestuali e vocali, le blue note, di solito non li captiamo. Qui navighiamo sempre
dentro i mezzi toni.
Charlotte Rampling e Andrea Pallaoro a Venezia |
Se l'età media del pubblico
d'essai (per i quali si fanno i tanti festival nel mondo) si alza, anche i
ruoli per gli attori esperti, anzi espertissimi, però crescono. Non fu casuale
il trionfo di Haneke/Trintignant a Cannes e il trionfo agli Oscar dello struggente L'amour, o il successo di Gerontophilia di Bruce LaBruce.
A Venezia le star di Nico 1988, Foxtrot, Il risoluto, The Devil and Father Amorth, Ella & John, Victoria
& Abdul, Michael Caine, The Resolute, Ryuichi Sakamoto superavano di un
bel po' l'età media dei protagonisti delle storie per lo più selezionate al
Lido (che comunque era più o meno di 47 anni, da L'insulto a Downsizing,
da Il colore nascosto delle cose a Mother e Pablo Escobar, Public Library...) e quando arrivarono finalmente i
ragazzi e le teenager danzanti a ormoni in estasi di Mektoub, si aveva l'impressione che la vecchiaia espressiva, un certo rintontimento ripetitivo,
potrebbe anche non abitare a Villa Arzilla, visto che Wiseman ne è esente, ma sulle
spiagge francesi della movida....
Dunque non poteva mancare il
ritratto a tutto tondo di una star del secolo scorso, Charlotte Rampling, che
non ha vissuto di rendita dopo lo “scandaloso” gioco masochista di Il portiere di notte anche se non si è
raddoppiata, come le colleghe Glenda Jackson e Vanessa Redgrave, come donna
politica, laburista o radicale. Il suo personaggio superfilmico nel corso degli
anni è diventato sinonimo di donna libera, eccentrica, lottatrice indomita,
dotata di occhi come fari abbaglianti. Indimenticabile nel duetto veneziano con
Adriano Celentano in Yuppi du. 1975.
Charlotte Rampling però qui ha il
tempo, lo spazio e gli antagonisti giusti per mettere in mostra, e poi in
crisi, tutti i suoi gioielli professionali: il gesto, la voce, gli sguardi,
l'urlo, il semiurlo, la postura, il passo, l'uso stupefacente delle mani (“al
cinema non si recita con il viso e con la bocca” spiegava Charles Laughton), i
rapporto con gli abiti e il trucco, anche se la tonalità predominante scelta in
Hannah (in competizione) dal giovane
regista italiano (di formazione americana), all'opera seconda, Andrea Pallaoro,
è quella minore. In questo “romanzo di riformazione” Hannah, donna delle pulizie in
una villa dal modernismo radicale e asettico, deve (se non ritrovare la gioia
di vivere, almeno) dare un senso alla vita – e così fa nuoto, va a scuola di
recitazione … - dopo che il marito è stato arrestato per il reato considerato
il più abominevole dei tempi presenti, l'atto pedofilo (anche se a forza di
denigrare i politici forse sono un gradino più su. Non mi ricordo chi lo
affermava con maggiore prestigio…a sì Woody Allen: “Conosciamo l'etica dei
politici: è una tacca più sotto di quella del molestatore di bambini, in Io e Annie, 1977). Lei non è che ci
creda tanto, e comunque…Ma i vicini la perseguitano come se il marito fosse un
pezzo grosso del Pd, di FI, del M5S, di FdI. I sensi di colpa (più dell’umanità
che di se stessa) la divorano e il cupo gioco cromatico e ambientale congegnato
dal regista la imprigiona in una dimensione claustrofobica soffocante cui cerca
di sfuggire frequentando piscine e palcoscenici e preparando soffici torte al nipotino (prima di essere cacciata di casa dal figlio terrorizzato dall presenza in famiglia di un presunto molestatore di qualunque bambino), per ridare aria a tutte le
cavità più segrete del suo corpo aggredito. E ricompone un puzzle mandato in
pezzi da tutti gli altri.
Pallaoro invece di ricucire e consolare pensa di fare proprio il contrario. Si prefigge la meta, amorevole e ammirevole, ma esageratamente tecnica, di scindere ancora di più quel corpo. Separa così ciò che è proprio dell’attante
(logica e grafica autonoma delle azioni), ruolo (in questo caso “il tipo
astratto e anonimo della moglie affranta”) e attrice (che assorbe quel ruolo in
una geografia emozionale singolare), dissociando la logica delle azioni da
quelle del personaggio con una sua psicologia a tutto tondo. In questo modo il film diventa un gioco polimorfico variamente interprtabile o non interpretabile.
Scollegando così la signora Charlotte
Rampling dal personaggio, dal ruolo, e dall'attrice, Pallaoro forse contribuirà
a salvarla dall'auto-annientamento. Hannah rinasce solo grazie alle
informazioni testuali prodotte dal film. Come se facesse un blockbuster Marvel. Potrebbe benissimo.
* rielaborazione di un articolo pubblicato su Alfabeta.2
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