Piero Bonamico, dai 14 ai 15 anni membro della gang I risoluti, affiliati alla X Mas |
Roberto Silvestri
Errol Morris con The blue tine line salvò la vita a un condannato a morte. Il cinema deve sempre anticipare le istituzioni, se no è apologia dell'esistente. Deve dribblare magistrati e poliziotti, politica e soprattutto antipolitica. Scavando tra le macerie del passato, interrogando i perdenti, gli sconfitti, i dimenticati, e anche i nemici acerrimi. Solo in questo modo forse si acquieta la sete di giustizia verità e riconciliazione degli spettri inquieti. E così il cinema riscrive pezzi di tempo, sequenze di storia. Che non è solo la Storia dei grandi. Ma di chi ha fatto "grandi cose" (anche se orride) senza che nessuno lo sappia. Per esempio. Che fine ha fatto l'oro di Dongo? Il tesoro di Mussolini? Perché il cardinale Schuster è stato beatificato da Papa Giovanni Paolo II? Con quali coperture finanziarie il principe Junio Valerio Borghese, ovvero il collaborazionista n.1 nel tradimento della patria e nel servilismo di basso profilo (prima lacché dei nazisti, poi servo dei maccartisti) ha eseguito stragi e tentato un colpo di stato.
E' un suo "servo sciocco" che ce lo racconta in un bellissimo horror doc. C'erano 5 valigie piene di Corrierini dei piccoli che furono scambiate a Milano con 5 valigie piene di soldi gioielli e lingotti e proprio il 25 aprile furono nascoste nell'Arcivescovado di Milano dal Cardinale Schuster, grande amico di Junio Valerio Borghese. Immagino che il Principe, qualche decennio dopo, se le sia fatte ridare..... "La Nuova Italia passava dalle mani del Duce alle mani di Dio". Nel senso di In God We Trust.
Piero Bonamico nella corale presbiteriana di Barre, Vermont |
Cinema del reale vuol dire, credo, che una volta esplicitato il procedimento narrativo di partenza - in questo caso una lunghissima intervista in primo piano, quasi al buio, in un interno claustrofobico, di circa 159', solo intervallata da atti di vita domestica varia, cucina, televisione, giretti in auto, colloqui coniugali, giardinaggio - le immagini devono parlare da sole come se nella realtà stessa fosse incastonata la verità o almeno qualche cosa vera, e il regista non deve emettere verdetti di innocenza o di colpevolezza sui fatti e i personaggi illustrati. Un procedimento molto criticato da Rossellini e da De Antonio, "la verità si costruisce a fatica, non è questa l'arte?", e satireggiato dal comico Michael Moore. Ma piuttosto affascinante per chi ritiene di aver sorpassato per sempre ogni cecità ideologica.
Anche se, al cinema e soprattutto nelle serie tv di oggi, il male vende di più, il bad end entusiasma e i cattivi spopolano. Che è ideologia pure questa.
Ma qui le ambizioni sono altre e alte. Raccontare pagine rimosse dalla nostra storia attraverso testimoni "insignificanti" di momenti chiave, determinanti il corso di una civiltà e illuminanti la nostra contemporaneità. Non attraverso le gesta dei grandi Principi, degli esimi cardinali, dei politici incorruttibili, dei rivoluzionari imprigionati o assassinati, ma, in questo caso tornando con la memoria ai mesi di Germania anno zero, all'adolescenza di un ragazzo qualunque maneggiato dalla seconda guerra mondiale.
Questo vecchio signore che si racconta è stato un garzone, facilmente plagiabile, poverissimo, senza amici, pronto a ogni malvagità pur di trovare uno straccio di identità e di compagnia, odiato perfino dalla madre per la sua infruttuosa (e sprecata) potenzialità creativa. Ebbene questo ex criminale che avrebbe potuto figurare tra i ragazzi torturatori in Salò di Pasolini, dimostrerà di saper raccontare la storia, e di giudicare i fatti, meglio del professor De Felice. Forse perché aveva ricchezze inesplorate dentro se stesso: "Componevo ogni giorno canzonette. Per piacere mio, partendo dai buffi episodi quotidiani, come chi perdeva il tram e inseguiva la vettura buffamente. Ebbene oggi, alla corale presbiteriana, il maestro dice che ho una bella voce, anche se faccio solo finta di leggere la musica ".....
Donfrancesco ha trovato infatti, appena fuori città, tra i boschi e i laghi che Hitchcock immortalò in La congiura degli innocenti, la pecora nera della comunità di Barre, Piero Bonamico. Un fascista repubblichino, quattordicenne nel 1944, membro della famigerata gang di Felice Bottero, che spadroneggiava a Genova-San Fruttuoso, nell'entroterra, poi incolonnata nella X Mas di Junio Valerio Borghese agli ordini dei nazisti, e graziato dalla giustizia partigiana solo perché minorenne. "Anzi ti chiediamo scusa - gli disse il magistrato - un ragazzo come te non doveva finire in quell'inferno. C'è troppa ignoranza da debellare in questo paese". Peccato perché dal 1945 in poi, dal geniale colpo di teatro di Togliatti che spostò a sinistra la maggior parte dei ragazzi di Salò, la produzione di fascisti da fogna ha fatto dell'Italia un paese leader e invidiato nel mondo (Indonesia a parte). "Siamo un paese di pecore. 40 milioni di pecore che inneggiavano al Duce. Perché? Per ignoranza. I ricchi avevano il cinema, il teatro, le sale di concerto, i varietà (c'è ancora in Italia il Varietà?). Ma quasi tutti non avevano nulla". Avevamo solo tramite altoparlanti che coprivano tutto il paese i discorsi del Duce. Già. Ancora nel 1950 metà della popolazione italiana non era mai entrata neppure in una sala parrocchiale. E escono fuori tanti nomi, Ceruti, Princivalle, Gianni Oliva, Martelli, Attilio Corte... che l'amnistia graziò o i partigiani (e perfino gli amici nazisti) annichilirono...
Bonamico, aizzato dai capi, dopo aver picchiato, torturato, ucciso, rapinato, rubato, depredato "socialisti, comunisti, anarchici, antifascisti ed ebrei", perché questa è la natura della camicia nera, il gangsterismo, cioè esercitare violenza sugli inferiori, sui deboli, sui razzialmente impuri (ed è per questo che in un paese democratico le leggi contro la propaganda fasciste non sono mai troppe, e non hanno a che fare con la libertà di opinione. Il pugno come programma minimo non è opinione), su una nave da crociera dove lavorava incontra una americana di origini italiane. La sposa. Si trasferisce in America e inizierà a rimettere a posto i pezzi impazziti di una vita troppo precocemente bruciata. Donfrancesco non utilizza i metodi di Robert Kramer e Thomas Harlan che in Mon Nazi e Wundkanal erano ricorsi a trucchi hitleriani per far parlare il gerarca delle SS e fargli confessare i suoi tremendi delitti (sequestro di persona, interrogatorio da quarto grado alla Bogart). Non ne ha bisogno perché lui confessa tutto e subito, e diventa cupo quando si fa prendere dai sensi di colpa, restando in silenzio per minuti e minuti (alla Adriano Celentano). Anche se canticchia giocondo "Giovinezza giovinezza" e chiede al suo intervistatore se la conosce. "Già. Tu non eri ancora nato, e non sai cos'è la divisa da balilla e il Corrierino dei piccoli". Straordinaria è la sua mimica facciale, da consumato attore. E tra le facce che escono fuori in questo psicopatologia del brigatista nero pentito ("ero volontario! volevo commettere quelle atrocità!"), allegria, furia, alterigia, sottomissione, alcune sono davvero insostenibili. Rientra la ferocia quando spiega che gli è stata negata la gioventù, o quando con fierezza afferma che, senza volerlo, quella università della strada gli ha allungato infinitamente la vista e lo ha fatto diventare un "uomo completo" E pochi possono dire di aver attraversato il male, cioè di aver usato il fucile mitragliatore Beretta da 40 pallottole a caricatore, quanto lui. Prima di morire qualcuno racconta cose che mai avrebbe voluto svelare prima. Ma pochi cineasti come Donfrancesco riescono a convincerli.
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