Roberto Silvestri
C'è Rachid Bouchareb, decano dei cineasti algerini di Francia, specialista di film da festival e non sempre scevro da compromessi nel raccordare coraggio e confezione standard, tra i produttori di L'insulto, il bellissimo film libanese di Zaied Doueiri, in competizione alla Mostra di Venezia e in questi giorni a Roma nell'ambito della selezione dei film più interessanti del Lido. L'attore libanese di origini palestinesi Kamel el Basha, esordiente al cinema ma illustre performer teatrale, ha vinto per il suo ruolo (Yasser, come Arafat) la coppa Volpi come miglior attore del festival. La maniera con la quale riesce a controllare la dinamite che ha nel cuore quando il suo nemico gli urla in faccia: "Sharon avrebbe dovuto uccidervi tutti voi palestinesi a Sabra e Chatila!" ma si rifiuta di riferire l'offesa in tribunale, per non raddoppiare l'orrore, resterà in effetti nella storia del cinema. E nella storia.
Il regista libanese Zaied Doueiri |
I compromessi sono di casa in Libano, visto che il governo è sunnita, gli hezbollah vigilano, Israele preme, la Siria (prima) pure, l'economia ristagna, ora rischiano pure il fracking (veleno per il turismo), ma ben tre ministri sono maroniti (nonostante i continui assassinii dei leader falangisti, da Pierre Gemayel ad Antoine Ghanem).
Però il giovane regista di West Beirut, perseguitato in patria dal tribunale per accuse da teatro dell'assurdo (Doueiri è stato appena assolto da uno strano crimine: aver girato in Israele alcune sequenze di un film precedente, The Attack e avrebbe rischiato un'altra denuncia se avesse risposto in conferenza stampa al Lido alla domanda di un giornalista di Tel Aviv! In Libano Grillo ha già vinto?), ha il dono raro di uno sguardo graffiante e ironico, mai manicheo, e di una comunicativa franca, da commedia italiana. E anche questa volta utilizza i suoi studi americani per dare spazi e tempi giusti, e dialoghi shockanti, a un film bello come i "Perry Mason". Mettendoci dentro pure un pizzico di indiretta autobiografia.
Kamel El Basha (Yasser) in tribunale con Diamand Abou Abboud (l'avvocatessa) |
Toni, un meccanico fanatico, militante del partito falangista cristiano (una sorta di fascismo alla rumena, di chi si sente completamente circondato dai musulmani come dagli slavi, e reagisce di conseguenza) e Yasser, un palestinese, capo cantiere dalle squisite qualità umane e professionali, si azzuffano in tribunale, e per ben due volte, perché, per “futili motivi” ma in un crescendo di furore emotivo, il palestinese (maltrattato per razzismo), ha offeso pubblicamente il libanese, gli ha anche spezzato due costole con un pugno e avrebbe messo a rischio la vita sua, di sua moglie incinta e della bambina, secondo la denuncia all'autorità giudiziaria. Sembrerebbe spacciato, il profugo, ma....
I futilli motivi, in situazioni storiche particolarmente complesse, come il rapporto tra gli "odiati profughi palestinesi" (come sentiamo urlare in un comizio d'apertura della destra, che imita stile e modi di Netanyahu in Israele descritti da Gitai nel film sull'assassinio di Rabin) e i libanesi - dopo quel che è successo a Sabra e Chatila e durante la furiosa guerra civile tra musulmani e cristiani maroniti, nascondono fratture razziali, antichi odii pronti a riesplodere per un nonnulla e perfino giganteschi rimossi razziali. La causa incendia le due comunità.
Adel Karam nel ruolo di Toni e Rita Hayek |
i due nemici |
Adel Karam |
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