Roberto Silvestri
Come Three Times di Hou Hsiao Hsien, Moonlight
è in tre atti. Fanciullezza,
adolescenza e maturità. Tre attori diversi. Come se il film lo cominciasse
Harold Nicholas in Pie Pie Blackbird
e lo chiudesse Jim Brown di Black Gunn. La storia di Chiron, gracile
ragazzo african-american di oggi, timido per natura, che diventa maggiorenne e
sopravvive a Miami, nel quartiere invivibile di Liberty City. Quello dove visse Muhammad Alì, il più
delicato dei colossi, e dove, nell’agosto 1968, esplose la rabbia antirazzista
(e qui i bianchi sono proprio fuori campo, inesistenti) perché ai neri perfino
accostarsi a Miami Beach era proibito.
Tre attori, Alex Hibbert
(“Little”, a 9 anni), Ashton Sanders (Chiron, teenager dai sentimenti eretici)
e Trevante Rhodes (l’uomo, muscolarmente indurito dal carcere), costruiscono
sul dramma di Tarell Alvin McCraney una
“suite di formazione e di resistenza” non lineare e a tratti anche
fisionomicamente spiazzante, ma capace di cogliere in azione gli elementi più
emozionanti, sensuali, culinari e balneari della complessa Mascolinità nera, in
stato d’allarme e pronta alla metamorfosi: “al chiarore della luna ogni nigger
diventa blue”.
La dolcezza, la gentilezza, addirittura il cuore sopravvivono a
tutti i cliché del ghetto-movie o della ritrattistica pittorica di Kehinde
Wiley, attraversati scrupolosamente e un po’ distorti: il bullismo scolastico
vigliacco; le ‘esecuzioni’ per strada; un padre svanito nel nulla; la crudeltà
di Paula, la mamma drogata amata e odiata; la partita di football che il
direttore della fotografia James Laxton trasforma in danza; il bagno
nell’oceano, che diventa, come il primo bacio sulla spiaggia, esperienza zen;
la tempesta ormonale e l’amor fou di Chiron per il coetaneo Kevin (tre attori
anche per lui), dal sorriso lascivo; incarcerazioni; tradimenti; la traumatica
perdita anche del mentore Juan, lo spacciatore di droga cubano del quartiere
che assieme alla dolce moglie Teresa lo protegge e gli insegna a nuotare e
cucinare (è Mahershala Ali, in stato di grazia, che sa svelare la femminilità
dei John Wayne: dentro il vero macho c’è sempre un micio). “Che cos’è un
frocio?” chiede l’intimorito Little a Juan: “è la parola utilizzata per fare
del male ai gay”. La ricerca di una identità perduta finirà cin la conquista:
c’è del tenero in chi ha coraggio.
Il regista e sceneggiatore Barry Jenkins e l'autore del romanzo Tarell Alvin McCraney |
L’acido affresco storico sul pastore ribelle
Nat Turner, Nascita di una nazione,
doveva essere l’antidoto black a La la
land, la notte degli Oscar, ma Nate Parker, fatto fuori dalla macchina del
sangue, viene sostituito da questa produzione di Brad Pitt (un 12 anni schiavo spostato nel ghetto
southern), versione queer di Boyz n the
hood, un Boyhood nero pece. Anche
se Barry Jenkins, al secondo film dopo un esordio in stile Linklater, imbratta
di affondi cromatici-lisergici e ralentì poetici anche indigesti il naturalismo
austero di Singleton. E non ha certo potuto contare sulla dozzina d’anni di
riprese con uno stesso protagonista, come Linklater.
Il direttore della fotografia James Laxton |
Questa confusione di
registri, di corpi e di luoghi comuni a volte davvero strabici, ha inebriato la
critica Usa (e infatti il film ha sconfitto La La Land anche se con dopo non
poche difficioltà procedurali) e spiazzato quella europea, meno sconvolta
dall’escalation di violenza contro i neri e consapevole di quanto le atmosfere
dei romanzi di James Baldwyn (Go Tell It
on the Mountain, per esempio) contribuiscano a far giocare la cinepresa con
gli elementi più volatili dell’animo, gesti, tic, sguardi, rap.
A proposito di
Baldwyn. Il documentario di Raoul Peck su di lui, I’m not your negro, anche senza vincere la statuetta, dà un senso
in più, politico-culturale, alla vittoria di Jenkins. E non solo perché
racconta lo scontro secolare della comunità african-american per affermare i
propri diritti, diventare uguale tra diversi e conquistare pari dignità. E’
stato proprio lo scrittore e intellettuale radicale la vittima preferita degli
strali lanciatigli durante le lotte del 68 non tanto dai colleghi bianchi (e
Norman Mailer soprattutti) ma proprio dall’ala più maschilista e “armata” della
controcultura nera. Se andiamo a rileggerci il saggio di Eldridge Cleaver in Anime in ghiaccio ci renderemo conto di
cosa voleva dire essere nero, gay e rivoluzionario proprio tra i rivoluzionari
dell’epoca. Rispetto a loro Mahershala
Ali rappresenta l’evoluzione della specie. Come nel passaggio tra Sonny Liston
e Muhammad Alì.
Naomi Harries |
Suicide Squad oscar per il trucco |
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