Mariuccia
Ciotta
John
Wayne ucciderà Natalie Wood in Sentieri selvaggi?
Il rischio si ripete a ogni proiezione del film di John Ford ma
quello sguardo di amore e paura che lei gli rivolge rinnova
ogni volta la sua potenza, e ogni volta lui, inebriato, la solleverà
tra le braccia. “La verità di un gesto, di un'espressione, può
essere fissata senza perdere la sua capacità d'essere altra cosa”
ci dice Alessandro Cappabianca, la capacità di aprirsi a nuovi
significati.
I
fantasmi del cinema condannati a replicare sempre gli stessi gesti
riescono così a sfuggire al loro destino immutabile come leggiamo in
Metamorfosi dei Corpi mutanti (edizioni Timia – 2016, 12
euro), titolo sorprendente e inatteso. Doppiamente mutanti? Sì,
perché parliamo di corpi filmati, di simulacri, già resi ombre e
spettri dal cinema, e che a volte, in certi film, moltiplicano la
trasformazione di sé, diventano “mostri”, forse nell'estremo
tentativo di vincere la metamorfosi più orrenda, la vecchiaia e la
morte.
L'architetto
dell'immaginario, la firma prestigiosa di Filmcritica,
dispiega attraverso l'analisi di molti titoli di genere horror e sf,
e non solo, il significato del divenire-altro. Quel trattino ci vuole
perché segna l'attimo del passaggio, la sospensione tra il sé e
l'altro. La rivoluzione dei corpi sta in quel trapasso, nella
meraviglia perversa di quell'atto che fa preferire all'Apollo di
Bernini la ninfa Dafne con le mani mutanti in foglie d'alloro non più
di marmo ma frementi e sensuali. Lo stato fisso cede a un continuo
divenire, il bello è in movimento e produce nuove forme.
Cappabianca
nel libro va a caccia di “metamorfosi delle metamorfosi” e
convoca gli spiriti di Ovidio e Deleuze, di Kafka e Derrida per
l'incontro con il Lupo, la Cosa, il Vampiro, il Mostro, la Bestia, il
Cyborg, i Morti viventi, l'Alieno e lo Stesso... fino a Mickey Mouse.
“Bestiario” infiltrato di sottospecie pericolosissime come il
diavolo, lo scienziato incauto, il libertino, il burattino e altre
ancora.
Su
tutto aleggia lo slittamento uomo/donna, donna/uomo, la questione del
gender, e i cultural studies sulle creature ibride e gli eroi/ne di
massa. Al centro della trasformazione non c'è proprio il fuori e il
dentro, l'apparenza e la sua disfatta? Jessica Rabbit insegna. Viene
da pensare alla creatura di Mamoru Oshii, al suo Ghost in the
Shell, soggetto/oggetto di mutazioni psico-organiche, un caso
fantascientifico di mente non relazionata all'involucro corporeo,
terreno di indagine della filosofa americana Donna Haraway. Il terzo
capitolo (dopo Ghost in the Shell 2: Innocence) uscirà in
sala alla fine di marzo non più “anime”, ma live con Scarlett
Johansson nella parte del(la) cyborg Motoko.
In
questa direzione, il divenire-altro di Cappabianca è riferito al
concetto di “disgusto”, del “far senso”, specialità per
esempio della dark lady, una donna-non donna, essere ripugnante che
si trasforma sotto gli occhi dell'uomo stregato dal suo fascino.
Pensando a Rita Hayworth in La signora di Shangai è come se
all'improvviso le spuntassero i tentacoli di ragno di La Cosa
di Carpenter.
L'autore
si riferisce a Barbara Creed, docente all'Università di Melbourne,
celebre per il saggio The Monstrous-Feminine, Film Feminism,
Psychonalysis, che intreccia psicanalisi e teoria femminista
applicate al cinema horror, e fa appello a Julia Kristeva per il
concetto di “abiezione” e per il ruolo della Madre arcaica. La
caverna grondante liquami organici di Alien, il ventre dove
covano gli orrori “... l'espressione monstrous-feminine vuole
precisamente enfatizzare l'importanza del genere sessuale (gender)
nella costruzione della mostruosità”. Non solo vittima dei tanti
mostri della laguna nera, la donna si ritrova al principio dello
snaturamento umano.
Ed
è proprio nell'esercizio della metamorfosi che il cinema offre
l'opportunità di studiare la progressiva dematerializzazione dei
soggetti. In scena c'è solo un corpo elettronico, una macchina senza
organi. La mummia elettronica. Il cinema digitale crea i suoi
mutanti dal nulla, nega il passaggio tra uno status e l'altro, ed è
perfino in grado di manipolare la matrice, “dissanguando” gli
attori non più in vita, come è il caso dell'ultimo Star Wars
(Rogue One) che fa ringiovanire Carrie Fisher, la
principessa Leila, poco prima della morte reale quando il film è
ancora in sala, e fa risorgere Peter Cushing, scomparso nel 1994.
Nella
lunga galleria di mostri e supereroi, Cappabianca ricolloca Nosferatu
e Frankeinstein, Batman e Superman in un'angolazione diversa, li fa
uscire dal genere e li trasforma in agenti di una meditazione sul
cinema, sui suoi fantasmi sempre più impalpabili, specchio di reali
ibridazioni umane. La metamorfosi dello Stesso. I baccelloni
senza sguardo di Don Siegel in L'invasione degli ultracorpi.
“Il corpo, nel film, è immagine concreta, fotografica, vera
– volentieri si lascia scambiare col corpo reale.... per andare
oltre, occorrerebbe squarciare il velo dell'illusione, puntare il
dito, emettere un grido muto, a significare 'Attenzioni! Simulacri!'”
. Indicazione teorica che Philip Kauffman ha urlato nel suo remake.
Metamorfosi
del Burattino, ed ecco Pinocchio nell'incontro fatato con David,
il mecha di A.I., il film di Spielberg, i due condividono
l'idea del morire come massima aspirazione, non concessa ai “corpi
mutanti”, gli amati fantasmi del cinema.
A
Topolino l'autore concede particolare attenzione, e a Walt Disney
(dal coniglio Oswald ad Alice) il re delle metamorfosi ammirato da
Ejzenstejn e da Benjamin. E' piuttosto commuovente (per me) vedere
come l'opera disneyana diventi finalmente oggetto di analisi critica,
nobilmente affrontata nel capitolo Metamorfosi dell'anatomia
simbolica. “Sarà eccessivo interpretare questo (Skeleton
Dance, ndr) e altri lavori disneyani come piccoli riti di
esorcismo contro la paura della morte? Non credo proprio”.
Metamorfosi
dei Corpi Mutanti, sottotitolo “il divenire-altro delle
creature cinematografiche”, è un testo che va al di là della
“covata infernale”, e si schiera dalla parte del cinema come
luogo dell'elaborazione filosofica, e del suo mutare, in sintonia con
il “doppio” vivo fino a confondere l'ombra con l'originale.
Nessun commento:
Posta un commento