domenica 26 febbraio 2017

Notte degli Oscar. Fuocoammare ha già vinto, anche senza statuetta




Roberto Silvestri 


L'allora primo ministro Matteo Renzi lo distribuì in blue-ray ai 27 colleghi d'Europa. Meryl Streep ne ha fatto una promozione formidabile. I critici londinesi lo hanno premiato come miglior documentario dell'anno. Così l'Europa. 
Anche se perde questa notte non si può dire che Fuocoammare, questo piccolo film di 114 minuti a colori, già insignito dell'Orso d'oro 2016, non abbia comunque già vinto la sua scommessa, e conquistato artisti, colleghi, critici, politici e grande pubblico. Infatti è uscito dappertutto, proprio come succede alle opere (qui nascoste) di Michelangelo Frammartino e a pochi altri cineasti italiani: in 23 nazioni, Giapppone e Hong Kong compresi. Per ora.
Ma cosa ha di speciale? Possibile che sia solo stato merito del buon uso di una videocamera, la ARRI Amira, che permette di catturare tutte le sfumature del buio, perfino senza il lume di candela usato da Kubrick per restituire il 700 senza elettricità di Barry Lyndon
Sarà perché, dopo lo spettro di Fellini evocato da Sorrentino, il mondo è stato riconquistato dalla "classicità-neorealista delle immagini belle, misteriose e commuoventi" di Gianfranco Rosi, come scrive The Guardian? O è per quello che ha scritto Hollywood reporter: "dove il giornalista sparisce, ecco che arriva Fuoammare".... Perché il cinema dimostra di avere occhi che penetrano perfino dentro i corpi, le rocce, i suoni, le acque e l'invisibile indicibile?

In pieno Mediterraneo, a un passo dalla Tunisia, nelle terre lontane e nei mari che solcò Ulisse, l’isola di Lampedusa, 200 chilometri a sud della Sicilia, 6000 abitanti, è l’avamposto della cattiva e della buona coscienza europea. 
In 14 anni quel mare è diventato il cimitero assurdo per 24 mila cittadini sprovvisti di visto. Centinaia di migliaia le persone accolte. 400 mila negli ultimi 20 anni. I pescatori pescano come da secoli, in barca o, in apnea, e staccano ricci dalle rocce. 
Un dottore (Pietro Bartolo) non si abitua all’orrore. Dentro e fuori il suo studio medico. Tra i superstiti, divisi in classi, i più poveri arrivano ustionati e soffocati. Gli schiavisti di una volta rispettavano di più la merce. 

Le donne del luogo spiegano il senso delle canzoni popolari, che una radio trasmette, con dedica. La marina militare si ferma a 20 miglia dalle coste libiche… Il corridoio umanitario è proibito dall’Europa. Esistono anche i crimini di pace. Non ci si può esimere dal darne testimonianza filmata, per quanto insostenibili siano certe immagini. E' l'alta lezione morale lezione recentemente traghettata da Ciprì e Maresco.
Il malessere di un dodicenne dal nome biblico, Samuele (Samuele Pucillo), è come la metafora di tutto questo. Non respira bene, ha paura del mare, ha un’occhio pigro, odia l’inglese e ama appassionatamente solo la fionda e il desiderio di vedere meglio e diventare maturo. Lo farà anche l’Europa? Che, come lui, gioca intanto alla guerra. Samuele nel frattempo cresce e diventa amico intimo degli uccellini nei boschi…Capispo trasformava tutti gli uomini che le si avvicinavano in porci e bestie feroci. Non si sa mai.


Il poster tedesco del film
Il “cinema del reale”, molto storpiato e strattonato rigeometrizzato perché non diventi un'ideologia estetizzante (e ciò irrita solo i fondamentalisti della critica), rovescia la formula del cinema commerciale (rubandogli però tutti i pregi): utilizza il procedimento documentaristico - rigorosamente senza voce fuori campo a spiegare e addomesticare ciò che si vede - che permette una conoscenza approfondita e microscopica di un territorio.  Suscita così una narrativa emozionale densa e non convenzionale, una drammaturgia raddoppiata dall'intevento attivo, anzi disputante, dello spettatore. E scodella sullo schermo (il cinema non è stilizzazione radicale di tipo teatrale) personaggi della vita di tutti i giorni, con effetti strepitosi di naturalezza. Edoardo Bruno direbbe che "abbatte la prigione della realtà, il cinema del reale, allargando i confini del reale sino al margine bianco dei sogni". Quattro fonici catturano ogni sussurro di quegli spazi e Jacopo Quadri al montaggio crea l'effetto visuale heavy metal, una potenza crescente implaccabile e implacabile.
Il lieto fine è catturare il sapore autentico di un luogo (il procedimento che adotta Jim Jarmush in Paterson, parodia del cinema-film-commission) . Non riprende la grafica dell’eroe che supera prove di fuoco quasi insuperabili e indifferenti al set, via via sfruttato, per arrivare all’happy end. 

Esperto in geografia emozionale e tra i migliori esponenti di questo genere, Gianfranco Rosi dopo l’India, Ciudad de Juarez, il deserto californiano, il raccordo anulare di Roma (che gli è valso un Leone d’oro) ha girato a Lampedusa un anno intero. L'idea questa volta non era stata sua ma, di Carla Cattani, la funzionaria che smista con perizia i nostri film in tutti i festival del mondo, e da anni. Ma di tempo in tempo un film popolare su commissione (coproduzione Rai Cinema, Arte, Cinecittà: Del Brocco e Palermo, ma anche i francesi, Oliver Pére, Martin Saada) si può trasformare in una miracolosa visione da "commissario del popolo" (la mitica figura di tutela e controllo dal basso del Soviet Supremo, cancellato da Stain e trasformato in spionaggio del basso). Non sarà un caso se i grandi cineasti italiani, da Alessandrini a Fenech, da Cardinale a Rosi (nato ad Asmara, Eritrea) siano  nati fuori dallo stivale? 
Ed è nel centro d’accoglienza provvisorio  che il film trova il suo punctum, quando cattura un indimenticabile oratorio nigeriano per voce solista inglese e coro yoruba che riassume, in pochi minuti, la tragedia del mondo.  

ps. il titolo si riferisce non solo a una vecchia canzone siciliana, che il dj di una radio pirata trasmette e che raccontava i bombardamenti alleati del 1943 contro il porto di Lampedusa, e le fiamme che lampeggiavano nel buio: Che fuoco a mare che c’è stasera. Ma ovviamente anche ai pescatori che raccontano il pericolo del mare e ai migranti. 


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