I disegni "immmorali" del libro rosso di Eisenstein |
Roberto Silvestri
La sospensione
dell’incredulità. E’ questo che fa grande il cinema rispetto al teatro,
dove la presenza flagrante del corpo d’attore è contundente, crea meno
naturalmente ultraspazio. Anche se qui
si maneggia la storia, la geografia, perfino, questa volta, la biografia
conosciuta di un artista…Lo sfondo politico e mitologico in cui visse. E il suo
“corpo, goffo, sgradevole, braccia corte, testa grossa, piedi grandi, il
fisique du role del clown”... A cui l’attore finlandese Elmer Back regala tutta
la sua equina esuberanza, dinamismo e duttilità.
Tre automobili anni trenta, in bianco e nero, si avviano, nella polvere ma non impolverate, verso l’assolata Guanajuato, 370 km a nord ovest di Città del Messico, gioiello coloniale e sede del “museo dei morti”, 111 mummie naturalmente, macabramente e misteriosamente ben conservate. Si passa al colore, e prima al mezzo colore, perché si sta penetrando un paesaggio cittadino policromo mozzafiato, collegato da sinistre, cupe e umide strade sotterranee.
La musica (applicata) è di Prokofiev, suonata dal vivo in un
cinematografo gigantesco e vuoto, sulle immagini di un capolavoro eccelso della
storia del cinema.
Palomito (Luis Alberti) a sinistra con il bigotto, razzista e reazionario Hunter S. Kimbrough (Stelio Savante) |
Si fa un passo avanti per farne due indietro.
Il cinema poetico e non narrativo è una macchina che pensa
anacronisticamente. E noi con lui. Un cinema che abbia la libertà totale di un
pittore, sogno del regista di cui stiamo ammirando il nuovo film, è anche un
cinema di corpo, molto fisico, action painting. E così vedremo lo sgonfiarsi e il
rigonfiarsi degli spazi via grandangoli semoventi che si modellano come
plastilina, il sonoro tornare indietro come per effetto scratching, silhouette nere da cinema primitivo che camminano in
primo piano disturbando i campi medi, la parodia delle geometrie interne equilibratissime
di Wes Anderson, l’alea programmata di uno sportello di auto che non vuole
chiudersi e un infastidito libero artista russo che, come fosse già negli anni
delle purghe e dei processi stalianiani, diffida delle mosche che lo tediano
fin dal confine statunitense: quel ronzio rude sgarbato di insetti volteggianti
con gli occhi iniettati di sangue certo dimostrano che non di mosche si tratta
ma di subole spie, agenti segreti che lo controllano. Trotszy in effetti è
spedito in Turchia, molti colleghi cacciati dal lavoro. Stanno iniziando le
purghe.
A Peter Greenaway, padre ornitologo, piacciono, come
antitesi, proprio gli insetti, i nemici dei volatili. Assisteremo finalmente a
una storia raccontata dal punto di vista di… una mosca, insetto dai mille occhi
certamente estranea, postumana, rispetto alla controversia che tanto accalorò
il secolo scorso delle tre C, Comunismo, Capitalismo, Cattolicesimo….
L'invidia del Wes |
La rivoluzione campesina di Pancho Villa
e Emiliano Zapata, per la verità era poi finita piuttosto male, con
l’assassinio dei leader, la rivincita selvaggia dei latifondisti e il massacro,
irreversibile, dell’economia di un paese da allora asservito agli Usa. E poi
quel rapporto, quasi complice, molto intimo, con la morte di un popolo che
sapeva maneggiare, senza rimozioni, eros e thanatos riempì Eisenstein di
erotico vigore. Però.
Elmer Back (Eisenstein) |
Eppure quel film Eisenstein non riuscì né
a finirlo né a montarlo, nonostante le oltre 30 ore di riprese spedite a
Hollywood per lo sviluppo e stampa e definite dagli stessi finanziatori “artisticamente
meravigliose”. Una serie complessa di ragioni, produttive, politiche e
soprattutto esistenziali, costrinse i tre cineasti sovietici ad abbandonare,
dopo alcuni mesi, il paese e il progetto per rientrare a Mosca, senza i negativi
della pellicola.
Sergei (a destra) e Palomito |
Uno dei disegni erotici proibiti (e alla Aubrey Beardsley) dal libretto rosso di Eisenstein |
Primo tassello di un trittico dedicato al regista sovietico ancora troppo scandaloso e rivoluzionario per essere digerito da Fantozzi - che il settantatreenne cineasta inglese (di origine gallese) vuole finire prima di compiere gli ottant’anni “perché dopo nessuno riesce a fare film interessanti”, mi spiace de Oliveira - Eisenstein in Guanajuato girato in Messico e in Finlandia (per gli interni) è stato presentato in concorso a Berlino nel febbraio scorso, prima di girare una dozzina di festival nel mondo (compreso il gay film festival di Palermo qualche giorno fa) e approdare in Italia, il 4 giugno, con il più popolare titolo di Eisenstein in Messico, e il Francia a luglio.
Con Tissé e Alexandrov sul set |
Ecco il mistero, per Greenaway, della spaccatura artistica tra un prima e un dopo, tra il vecchio Eisenstein dei capolavori e il nuovo Eisenstein che, tornato a Mosca nel 1933 diventerà secondo la vulgata più addomesticato e “propagandistico. L’omosessualità. La cosidetta condotta immorale. Già. Era sotto ricatto, il grande regista. Minacciava di dire tutto e inguaiarlo il produttore di Que viva Mexico che gli strappò di mano per sempre il film. I politici messicani, ansiosi di schiaffare in galera quel “giuda”, non vedevano l’ora di distruggerlo, sempre mossi come burattini dalla campagna stampa nordamericana, dalla macchina del fango aizzata da due vermi potenti, il senatore Hamilton Fish (soprannominato da Eisenstein “il bifolco supremo”) e Frank Pease che aizzava i veri americani a cacciare quel “rosso messaggero dell’inferno” e poi si scoprì, ma Greenaway se ne dimentica, che era una spia dei servizi segreti nazisti. E i burocrati di Mosca, che lo obbligarono al ritorno a casa. Come se Eisenstein non volesse (anche se lo costringono al matrimonio riparatore o schermo, come Tom Cruise con Nicole Kidman, con la sua confidente di sempre, Pera). E Stelio Savante nella parte dell’orrido Hunter S. Kimbrough, l’uomo d’affari razzista responsabile assieme a Mary Sinclair (una stupenda Lisa Owen condannata da Greenaway a girare perennemente attorno al letto dove Eisenstein si pavoneggia nudo) di aver rotto il contratto per Que Viva Mexico! Scandalizzato dal quell’accoppiamento doppiamente promiscuo con un seminegro; e, infine, persino l’amante messicano, nonché accompagnatore ufficiale, del cineasta russo, l’antropologo e professore di religioni comparate Jorge Palomito Canedo (Luis Alberti è complementare a Elmer Back, un fuori da rigido e ambiguo Michael Caine e un dentro da infuocato e umoristico Pepe-Cantinflas) che, secondo Greenaway, prima lo esaltò, sedusse senza melensaggini (“convincersi di essere brutto è una forma di esibizionismo, usi la bruttezza – inesistente – solo per darti delle arie”) e sverginò, ma poi abbandonò per superiori doveri di marito amorevole, e ordini dall’alto, quando già il regista aveva deciso di bruciare il passaporto e restare là dove lo aveva portato il sesso.
E’ di questa parte immaginifica, privata, fisica,
sentimentale, cuore in mano, che getterebbe altra luce sul più concettuale e
cerebrare dei cine-avanguardisti sovietici, che si vuole occupare il regista
inglese/gallese, basandosi sull’adagio che “Senza Marx, senza Lenin e senza
Freud Eisenstein sarebbe certamente stato l’Oscar Wilde della Russia”. Una
inclinazione d’amore considerata un crimine in tutto il mondo civile e, dal
1936, entrerà nel codice penale perfino dell’Urss. Però basterebbe leggere le
memorie di Eisenstein a pagina 304 per non cadere nella dicotomia tra registi
di testa e registi di cuore, tra cinema di cervello e cinema di fisico,
Eisenstein contro Pudovkin, Resnais contro Godard e Kubrick contro Cassavetes… perché
sono poli estremi di una stessa categoria (a cui appartiene proprio Greenaway,
in questo film almeno, quella degli onnivori di cultura che mangiano con la
bocca aperta): “la ratio sorpassa il sex” o “la base primaria degli impulsi è
più ampia di quella strettamente sessuale così come la vede Freud … ecco perché
mi attira lo strato del paralogico, di questo subcosciente che include la
sensualità ma che non è asservito al sesso”… Insomma troviamo un po’ superficiale
la semplificazione di un rapporto tutt’altro che liberatorio e definitivo. Se
questa volta Greenaway avesse parlato un po’ più di traverso, e meno cuore in
mano, fosse stato più sofisticato e cavilloso e cifrato, come di solito è,
forse la madre di tutte le scene sarebbe stata un po’ più mutevole, fantastica
e incoerente. Provocando quell’attimo di estasi che non c’è.
il letto racconta (senza baldacchino è meglio) |
la carovana della morte |
Elmer Back, Eisenstein |
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