L’uomo politico più cinefilo della storia? Non è stato F.D. Roosevelt, né
Mussolini, Hitler, Aldo Moro, il principe Sihanouk , Fidel Castro (che pure fu
comparsa a Hollywood in gioventù, dicono le leggende) o l’eterno ministro Gava
(che amava solo i film polizieschi e sulla Mafia)….
E’ stato Josif Broz, nome di battaglia Tito. Comandante
partigiano. Segretario del Partito comunista Jugoslavo. Presidente della
federazione jugoslava dal 1945. Capace di rompere con Stalin, ma mai dallo
stalinismo e dalla ideologia anti operaia del lavoro e del “sacrificio
patriottico”. Altro che comunismo (leggere a questo proposito il saggio di
C.L.R. James Capitalismo di Stato e
Rivoluzione mondiale che contiene anche acute critiche alla posizione della
Quarta Internazionale su Tito), altro che ‘pace e pane’ visto che fu proprio il
pane ad essere il bene di prima necessità più tassato... Comunque. Nominato presidente a vita dal 1975 dopo
essersi sbarazzato via via dei migliori quadri comunisti non stalinisti Tito
morì nel 1980. Pochi mesi dopo andò in frantumi anche la federazione di Serbia,
Slovenia, Croazia, Montenegro, Macedonia e Bosnia-Erzegovina.
Fu di Tito cinefilo l’idea di costruire i più grandi studi
cinematografici del mondo, e dotarli di tecnologie avanzate tali da poter
rivaleggiare con Hollywood. Fu lui ad attirare, oltre che i capitali americani,
anche le star più prestigiose del cinema mondiale, da Sofia Loren a Alain
Delon, da Rock Hudson a Charlton Heston, da Liz Taylor a Alfred Hitchcock, da
Franco Nero a Bondarchuk e a Lee Marvin. E a volere il festival di Pola.
I suoi attori preferiti? John Wayne e Kirk Douglas…
Pochi uomini politici, oltretutto, potevano vantare
l’amicizia o almeno l’ammirazione di Orson Welles, a lungo un estimatore
(esagerato) del modello “autogestionistico” titoista, oltre che marito della
cineasta jugoslava Odja Kodar: “Se la grandezza di un uomo si misura dalla sua
attitudine al comando – afferma Welles intervistato da un cinegiornale d’epoca
- non si può negare che il maresciallo Tito sia il più grande uomo al mondo”.
Welles era di casa sui set jugoslavi. La sua interpretazione nella Battaglia del Neretva (il cui poster fu
disegnato da Picasso) del leader cetnico, monarchico e anticomunista (e per
questo pronto ad allearsi con gli italiani e i nazisti e a sterminare civili
musulmani e croati) Draza Mihajlovic
(niente a che vedere con il neo allenatore del Milan) resta mitica.
Anche perché politicamente fu proprio Orson Welles, amico e consigliere del
presidente Roosevelt, che aveva convinto gli alleati ad appoggiare i partigiani
di Tito e non le truppe apparentemente anti naziste e anti ustasha di
Mihailovic. Ma torniamo al cinefilo.
Tito ha visto (durante la sua presidenza) ben 8801 film, quasi uno al giorno (anzi uno a notte, spesso fonda), spesso accompagnando la visione con giudizi, appunti e commenti. In media 300 all’anno, più o meno quante recensioni scriveva Roger Ebert in 12 mesi sul Chicago Sun Times. Parola di Leka Konstantinovic, il suo proiezionista privato, che – come la burocrazia impone - ha dovuto prima di tutto cercare le copie dei film interessanti in modo da non fargli vedere uno stesso film due volte (se lo ricordava, anche quando l’aveva visto) e poi registrare tutte le seance private, nella lussuosa villa belgradese di via Uzicka, distrutta dai bombardamenti Nato del 1999 e mai più restaurata. Ovvio che appoggiava la produzione di film di guerra centrati sull’eroica lotta anti nazista del Partito. Adorava che i numeri della targa della sua macchina, in questi film, fossero trascritti alla perfezione.
Abbiamo scoperto tutto questo in Cinema Komunisto, la “storia di un paese che non esiste più se non nei film”, documentario serbo del 2010 basato su materiali di repertorio e interviste ad hoc (fondamentale la lunga chiacchierata con Leka) che arriva solo adesso nelle sale italiane, ed è già un miracolo degno di San Gennaro, dopo aver conquistato in questi anni i festival internazionali e soprattutto statunitensi (Sundance, Chicago, Tribeca, prima di tutto e in Italia naturalmente Trieste).
L’intento del progetto (che ha richiesto svariati anni di
lavoro e un lungo montaggio curato da Alexandra Milovanovic ) - una
esplorazione nel passato e nelle proprie radici dimenticate o rimosse ma non
solo nostalgico - era quello di
raccontarci cos’è stata la Jugoslavia, stato oggi defunto, o meglio nuovamente
balcanizzatosi, attraverso la storia dei suoi studi cinematografici, gli Avala
di Belgrado, “i più grandi del mondo”, anche se mai completati e oggi
abbandonati e semi diroccati. E tornare ai miti e ai riti del socialismo da
costruire in un solo paese, per quanto complicato, rivedendo le scene madri dei
film più patriottici e anti-fascisti, il genere principale dell’epopea
spaghetti-eastern, scovando i suoi divi, dando la parola ai registi e ai produttori
di quella inebriante avvenura (o almeno così ci appare). Dal cineasta di regime,
il montenegrino Veljko Bulajić, che firmò nel 1969, sfiorando l’oscar La battaglia di Nerevta, con
un cast mozzafiato (Orson Welles, Sylva Koscina, Yul Brinner…) al super divo
nazionale Bata Živojinović, che
poi è stato sinistramente impegnato, dopo Tito, nel partito nazionalista di
Milosevic, fino alla bionda e adorata attrice Milena Dravic, al produttore Dan Tana,
che poi se n’è andato a Los Angeles e ha aperto un ristorante di lusso e nella
scena più divertente del film rifiuta a Spielberg il tavolo “perché, mi
dispiace, è tutto esaurito”, fino a Gile Djuric, che diresse gli Avala
facendoli decollare come polo di produzione internazionale degno di Hollywood e
che veniva dai servizi segreti di Tito (la famigerata Ozna), anche se a un
certo punto fu fatto fuori perché proteggeva cineasti e film scomodi anche se
dal punto di vista dei profitti era un manager genial.
La regista Mila Turaijlic |
Tito, la moglie e Sofia Loren nell'isola privata, anzi "del popolo" presso Pola |
Il proiezionista di Tito, Leka, e la statua del Maresciallo |
Il poster di Picasso de La Battaglia della Nerevta (1969) |
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