Laura Mulvey (e a destra Peter Wollen) |
ps. Dall'epoca di Laura Mulvey molte cose sono cambiate. I sessi si devono essere modificati. Anche il sesso degli occhi. Il sesso dello sguardo... L'aggressione scopica alla donna e al suo corpo, l'uso improprio dei corpi che Mulvey leggeva e analizzava e decostruiva implacabilmente nella classicità hollywoodiana, lavorando lentamente nel tempo/spazio/memoria si deve essere rovesciato nei suoi indefinibili opposti, non sempre meno cruenti, rendendo però sempre più confuso e promiscuo lo scambio simbolico di un film. Da che punto di vista partiamo quando vediamo un film? Un'immagine? Gli ultimi scritti e la nuova ricezione di quelli storici di questa affascinante studiosa britannica femminista (Cinema e piacere visivo, 25 euro, Bulzoni; finalmente proposti in italiano a cura di Veronica Pravadelli) lo dimostrano. E ci rendono più liberi nel trattare questa mostra pensata da soli maschi per soli esseri umani-postumani.
di Roberto Silvestri
Una Mostra, a Milano sull'immaginario maschile in stato d'allarme che esplode, deflaga, si decompone. Una architettura di immagini estreme, cult, pulp, camp, gay, artificiali, fiammeggianti? Di video curiosi, sovrumani o subvegetali, di montaggi abnormi e screanzati, di collegamenti perversi e underground? Certo anche.
Il divertimento del super archivio off off è garantito, la nostra memoria troverà in queste sale l'enorme soddisfazione di veder esibiti molti dei nostri piaceri segreti colpevoli. Ma non è solo questo. Siamo all'esperienza di guerra. Al nucleo di fuoco che apre un fronte di combattimento e autocombattimento. Non solo teorico. Cervello e muscoli sono la stessa cosa. E bisogna cambiarli, liberarli... Mai come in questo spazio è così evidente questa necessità.
Siamo infatti alla messa in scena, a livello di studio system hollywoodiano, ed è un ossimoro, delle nostre percezioni più segrete, improvvise, nuove, pre-consce, pressoché invisibili, parziali, calde o fredde, inconsce, ancora indecifrabili, abnormi, insostenibili, imprevedibili che nella vita di tutti i giorni sono nel dietro schermo, nel fuori campo o nello sfondo, nel dettaglio del dettaglio... Quelle generalmente colte al volo, dal fotografo o dal videoasta.
Attilio Concari |
La "lingua scritta del reale" secondo la nota formula pasoliniana, è ancora la coscienza dell'immagine, quel costume neoarcaico di Medea, quella ruga precristiana di Accattone, quel fraseggio romanaccio di Mamma Roma... Ha la doppia articolazione. L'unità minima sprovvista di significato (fonema) e l'unità minima provvista di significato (morfema).
Il collettivo Kalzenere, unità minima 'provvista di significato' |
Ma qui, in questa mostra, stiamo assistendo alla nascita di un 'linguaggio percettivo' a parte. Nel cinema l'unità minima provvista di significato non c'è. Perché il pezzo di un volto, il ramo segato di un albero, una mano staccata dal braccio per colpa dell'inquadratura, o il primo piano di un mento e di una bocca in Satyricon, per esempio, non sono prive di significato. I pezzi di vita, come gli ologrammi tagliati, sono la vita intera. Il linguaggio ne dà conto analogicamente. Eppure quello che chiamiamo l'invisibilità, il doppio fondo, dei film di Andy Warhol, Barbara Peters, Russ Meyer, Maya Deren, H.G.Lewis, Stephanie Rothman, Ed Wood, Kathe Bigelow o John Waters o dello sguardo camp che sa far giocare a senso inverso peplum, softcore e ogni frammento di cinema bis, non ha linguaggio verbale. Ha linguaggio non verbale. Percettivo. Postdigitale, forse quantistico. Si vede subito quando una immagine ha qualcosa che non va, è guasta è malata è sublime. Dopo aver visto questa mostra, avremo forse lo stesso set mentale, ma certamente non avremo più lo stesso set immaginario. Scopriremo che se il visuale è la parola d'ordine autoritaria della biopolitica, qualche azione terroristica si può compiere con l'immagine statica o semovente. Si tratta di un modesto contributo per la concezione un altro tipo di calcolatore elettronico, più veloce, più destabilizzante, intuitivamente necessario.
Ci sono due modi, infatti, di vedere tette e culi, diceva Alberto Grifi, a proposito di Anna, in una magnifica intervista di Stefania Rossi (You Tube). C'è lo sguardo diretto, naturale, direzionato come un mirino per missili, quello capitalistico, dei nostri corpi tutti ben imprigionato dentro il capitale con il suo gioco rigido di acquisto, scambio e uso di merci 'privé'. Sguardo di una violenza inusitata. Il nostro on the road ipnotizzato, che si avvia docile verso la tortura e lo snuff movie immaginario da ammirare nello spettacolo delle merci.
E poi c'è il guardare con molta più attenzione del normale, per indovinare i pensiari dentro le azioni e le intenzioni, lo sguardo 'hippie' (come si diceva allora) degli allievi variopinti di Wilhelm Reich, il seguace più pericoloso e criminale (come è chiunque vuole rivoluzionare la vita) di Freud. Quello anarchico, profumato e imprevedibile, che apre altre dimensioni relazionali, che sta attento ai corpi, ne svela la mappatura segreta, il dentro e il fuori, li sa unire con tatto, li può massaggiare, tirandone fuori perfino i sogni e i pensieri più angosciosi, somatizzati, imprigionati nella corazza che è diventata la muscolatura. Della pancia (donna), luogo delle aggressioni sessuali, e della gola (maschi), luogo inibito a urlare, represso megafono dell'ira e della lotta per cambiare le cose.
Freud è morto di cancro alla gola, per tutta la sua vita non era riuscito a gridare per cambiare la vita, per manifestare in massa, per far cadere governi. Reich toccando, massaggiando la muscolatura, costruendo scatole orgoniche per riprendersi l'energia deviata, altro che ipnosi, riusciva a far produrre i ricordi, a sciogliere le psicotiche rimozioni, anche sessuali. Non c'è un cervello e un corpo, ma tutto sta in un flusso vivente.
Leggere le immagini, allora, non basta. Cambiare, combinare, rimontare, spezzettare le immagini neanche. Demercificare le immagini è già qualcosa. Molto cinema aspira a farlo. Quello d'autore drastico che contrappone la noia al glamour, per esempio. Oppure. Quello che cerca la gola e la pancia nelle immagini per liberarle dalle loro angosce e dai loro timori e tumori. Ecco il perché di questa bella mostra che, affrettatevi, chiude a Milano a fine mese.
Riccardo Bizziccari, Valerio de Berardinis, Marcello Garofalo e Alessandro Sansoni sono i membri di questo collettivo di ipnotizzatori-torturatori immateriali, i Kalzenere, co-rei di questa iniziativa.
E vediamo come il collettivo Kalzenere presenta se stesso e la propria mostra, la prima (finora):
“Il gusto è la
capacità di equilibrare la contraddizione tra il ‘fatto’ e l’apparenza del non
divenuto nell’arte; ma le vere opere d’arte, che non vanno mai d’accordo col
gusto, sono quelle che spingono all’estremo la contraddizione e pervengono a se
medesime proprio in quanto naufragano in quella” (Theodor L. W. Adorno in
“Minima Moralia”, Einaudi Torino, Ed. 1994, pag. 276)
L'ombra di un teschio warholiano è spesso il profilo di un neonato.... |
The Format –
Contemporary Culture Gallery è lieta di presentare: “KZNR-The Exhibit”, il primo solo show
del collettivo Kalzenere (Riccardo Bizziccari, Valerio de Berardinis,
Marcello Garofalo, Alessandro Sansoni) in Italia a Milano, a cura di Guido
Cabib:. 28 Dicembre 2013 – Gennaio 2014
“KZNR-The
Exhibit” presenta 22 opere
realizzate dal Collettivo KalzeNere : fotografie, sculture , video e installazioni.
Il comune
denominatore è una palese “devianza”
dal/del gusto estetico convenzionale, in maniera tale da poter offrire allo
spettatore la possibilità di interrogarsi su un
“quid” non già completamente chiuso/predeterminato dall’artista nei suoi
significati.
I temi principali della Mostra sono il sesso e la morte, declinati innanzitutto attraverso due installazioni video : una di proiezione diretta (“KZNR VideoWeb”) su parete, e
un’altra (“KZNR Katodica”)
all’interno di vecchi monitor televisivi,
che offrono simultaneamente questa grande varietà di immagini (più di tremila) con un tempo di soli
sei secondi di separazione tra l’una e l’altra, annullandosi rapide per dare
spazio continuamente ad altre figure.
Dette
immagini spaziano dal cinema (fotogrammi spesso non immediatamente
riconducibili a un titolo più o meno famoso: esempio il cartello “Intermission”
di “C’era una volta in America”, piuttosto che
un “frame” da “Hiroshima Mon
Amour” ove si vede solo il dettaglio
delle mani dei protagonisti, o un “frame” di “Hanzo the Razor” con il
particolare di un atto sessuale, etc.), alla
pubblicità vintage (di biancheria intima, oppure di un costume in spandex
ispirato alla saga di Star Trek), all’oggettistica
weird (dalle Barbie anni Ottanta in versione Dominatrix ai “giochi” anni
Cinquanta del tipo “Atomic Energy Lab”), al
Junk Food (dai “Salsagheti New Mango Flavour “, al gelato giapponese gusto
pollo bollito, ai “Pepero Nude Snack”), ai Dirty Comics (dai fumetti americani
degli anni Trenta – Popeye per es. in versione hard, ai giornaletti sporchi
italiani anni Settanta della Edifumetto) alle fotografie eccentriche d’autore (es. Diane Arbus, Michael Putland, Peter Basch, Mehryl Levisse…)
e non (i fotografi del “Sexy
Vintage” o quelli occasionali – purché interessanti tematicamente e per estro- del
web), al pezzo d’arte d’autore
(es. le sculture “Cartoon” di Takashi Murakami, gli oggetti
“erotico-folli” di Arthur Berzinsh, i lavori di tassidermia con animali
misti di Noemi Montanaro…) a quelli senza nome (es. le variazioni sul tema di
“Le déjeuner sur l’herbe” con i personaggi animati dei Fleischer Studios oppure
con quelli della saga di “Star Wars”), etc.
Tale moltitudine, tale “segnaletica” di immagini è
stata catalogata (cfr. il sito www.kalzenere.com) in anni di ricerca
attraverso tutto quello che al Collettivo è apparso sui social network e nel web ed è sembrato rispondente a una linea identificata
col “gusto Kalzenere” , una linea che offre una fusione (mai
necessaria e/o grottesca) tra orrore e fascino, che possa inebriare ed avvilire
insieme, mutandosi senza
predeterminazione in “cose paradossali”.
Ispirandosi a questa varietà di immagini, il
Collettivo KZNR ha realizzato quindi altre autonome
installazioni e una serie di nuove fotografie (scattate sia con apparecchiature tradizionali, che con
smartphone, utilizzando in alcuni casi la composizione e/o la postproduzione
digitale).
Tra le installazioni
(pezzi unici), oltre a “KZNR- VideoWeb” e a “KZNR-Katodica”, figurano:
1- SukiaLamp
: una lampada, funzionante, con luce rossa e base in plexiglass , creata
adoperando una serie di numeri del giornaletto erotico “Sukia” sovrapposti.
2- “Il
Quarto Stato and Godzilla”: una fotografia digitale composta dall’unione di
due immagini, ovvero quella del celebre dipinto di Pellizza da Volpedo e quella
tratta dal film “Son of Godzilla” (Jun Fukuda, 1967) ed elaborata
cromaticamente. A detta foto, tramite cavo è collegato un Ipod nano Cinese da
cui in “loop” si ascolta il tema “Il Quarto Stato” composto da Ennio Morricone
per il film “Novecento” di Bernardo Bertolucci (1976).
3. “Fuck You
Pie” : una scultura realizzata con pasta di zucchero, riproducente una
“cherry pie”, oggetto liberamente
ispirato al cinema di John Waters.
4. “Unicorn
Meat”: carne in scatola di “unicorno”,
a sua volta protetta sotto una campana di vetro, quale esempio massimo
di junk food ideale/irreale.
Tra le
fotografie (Ed 7 più 4 ap) figurano:
1, “The Nude
Restaurant” (Kodak E100S) : esposta
in mostra sotto forma di affissione murale gigante, a parete, come il manifesto di un film, è un
omaggio all’omonimo titolo (1967) di Andy Warhol in cui lo chef americano Ira
Meyer appare contornato da un “Little Joe” e da
due modelle in g-string acconciate come modelle (Viva Superstar) della
Factory
2. “There’s
No Smoke Without Fire” (Hasselblad
Ilford FP4) : nudo con posacenere: rielaborazione di figura femminile cara al
cinema di Russ Meyer, ove ciò che si impone non è il volto.
3.
“Spaghetti Maiden” (Nikon F2-IlFord HP5): figura femminile in calze a rete
e tacchi alti con piedi in un catino di spaghetti: la ritrattistica fetish di
Helmut Newton come modello e autoparodia (non grottesca).
4. “Tough
Guys Love Barbie” (Iphone 5) : primo piano di un petto maschile appartenente a un uomo grosso e cinquantenne
con tatuaggi sulle braccia e al collo una catenina luccicante di Barbie (la“
Rhinestone Nicki Minaj Barbie Necklace”). Immagine liberamente ispirata al
“Drugstore Cowboy” (1989) di Gus Van Sant.
5. “This Is The
End” (Iphone 4, tecnica mista): la foto di una deiezione canina tinta di
blu insieme al selciato (foto non ritoccata digitalmente) congiunta a un fumetto di Batman che esprime il suo
disappunto prima dell’azione. Esiste un crossover contemporaneo tra il cinema
degli esordi di Waters e quello attuale dei Supereroi?...
Tra gli
altri titoli : “The Swinger”, “Frozen Slipper”, “Trichotillomania”, “Still Life with
Pears and Suppositories”, “Pubic Hair (Male)”, “Socks on the Bed”, “The Dummy”,
“The Gallerist”.
L’immagine-manifesto
della Mostra (tecnica mista, ispirata a un disegno
rinvenuto in rete) è quella di un piccione
con al collo un cartello con su scritto ”I Will Shit On Everything You Love”.
The Format - Contemporary Culture Gallery : Via G.E.
Pestalozzi 10,int 32. Milano
Periodo:dal
18 Dicembre 2013 a tutto Gennaio 2014
Orari di
apertura: dal martedi al venerdì ore 15 / 19 o su appuntamento
Indirizzo:
Milano Via G.E.Pestalozzi 10, intero 32.
Info: email: theformatculturegallery@gmail.com
Website: www.theformatgallery.com
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