“Non c'è differenza tra filosofia e vita”. Afferma alla fac
Gilles (Eric Caravaca), il professore, saggio, esperto, ancora
piacente. E conquista all'istante, clandestinamente, nelle segrete
dei gabinetti per professori, Ariane (Louise Chevillotte), l'allieva
francese, bella, alta, narcisista, ventenne, un passato da modella
per riviste XXX, affamatissima di vita e di sesso meglio se veloce,
dunque di ogni tipo di filosofo, sia esso un teorico d'appartamento,
o un esploratore del mondo o, in epoca post-foucaultiana, un
sofisticato cultore orientale dell'erotismo (da non confondere con il
noioso scienziato occidentale della sessualità). Orgasmi verticali
così, in piedi, se ne vedono e soprattutto sentono pochi al cinema.
Il fonico Francois Musy non ha rubato i soldi. Ma ha catturato anche
pianti convulsi, simili a orgasmi addolorati, che riempiranno il
soundtrack dei primi minuti del film, lettristicamente corretti. Il
doppio gioco dei sospiri, o di gioia e di dolore. Entra in scena
infatti anche una ventenne in singhiozzi. Questo l'incipit.
Ma in realtà il fiotogramma è verticale. Ariane è un amante di un giorno.... |
Il professore
Gilles (nome non casuale) ha però una figlia, Jeanne (Esther Garrel)
che, piantata dal ragazzo, capita piangente e sull'orlo del suicidio
in casa. L'età della figlia è proprio quella dell'amante. Le due
ragazze, diversamente performative, gole profonde disomogenee, la
prima femme fatale d'istinto, è di un altro mondo, la seconda
arzigogolata domatrice di uomini dietro un'apparenza fragile, è di
questo, e vivranno sotto lo stesso tetto.
qui addirittura siamo all'inquadratura capovolta, Ariane e Jeanne (Esther Garrel) diventano amiche |
La triangolazione
domestica degli affetti infuocati, anche vista l'età (e un cognome)
delle ragazze, il parlar, calmi o su di giri, di fedeltà e
tradimenti, di sentimenti di breve o di lungo corso, di guerra
(“quale? Della prossima!”) è l'argomento del nuovo film di
Philippe Garrel, L'amant d'un jour. Un
bianco e nero doc di Renato Berta, capace di catturare perfino il
rossore (lui sì che conosce le 50 sfumature di grigio), e un copione
a otto mani (anche Jean-Claude Carriere, che porta il sesso che
parla, i nudi o meglio l'orgasmo nudo, inusuali nei precedenti film
di Garrel) fabbricheranno questo piccolo grande film, autobiografico
come sempre, pieno di ambiguità e di false piste, simulazioni,
bugie, trucchi, patetici giochi e addirittura una canzone le cui
parole sono scritte da Michel Huellebecq. “Allorchè si tratterà
di lasciare questo mondo mi piacerebbe farlo in tua presenza”. Dopo
tutto sempre new romantic Garrel. Ma la verità delle parole saranno
completamente sbriciolate dalla verità delle immagini. L'immagine
uccide. Lui, il prof, aveva detto: anche se ci tradiremo resteremo
sempre insieme. Lei aveva detto. So che ci lasceremo. Ma sarà una
immagine-parola a rompere il gioco. Ecco perché film così possono
essere fraintesi da chi si oppone a suggestioni che non si possono
spiegare, che sono quasi nel dominio dell'inconscio. C'è sempre
Godard dietro ogni film di Garrel: “E' il solo cineasta capace di
parlare da pari a pari con le donne”.
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