venerdì 19 maggio 2017

Cannes 70. Quinzaine. Garrel. L'amante estremamente pericolosa e irregolare

Louise Chevillotte nel ruolo di Ariane in L'amant d'un jeur di Philippe Garrl 
Roberto Silvestri


“Non c'è differenza tra filosofia e vita”. Afferma alla fac Gilles (Eric Caravaca), il professore, saggio, esperto, ancora piacente. E conquista all'istante, clandestinamente, nelle segrete dei gabinetti per professori, Ariane (Louise Chevillotte), l'allieva francese, bella, alta, narcisista, ventenne, un passato da modella per riviste XXX, affamatissima di vita e di sesso meglio se veloce, dunque di ogni tipo di filosofo, sia esso un teorico d'appartamento, o un esploratore del mondo o, in epoca post-foucaultiana, un sofisticato cultore orientale dell'erotismo (da non confondere con il noioso scienziato occidentale della sessualità). Orgasmi verticali così, in piedi, se ne vedono e soprattutto sentono pochi al cinema. Il fonico Francois Musy non ha rubato i soldi. Ma ha catturato anche pianti convulsi, simili a orgasmi addolorati, che riempiranno il soundtrack dei primi minuti del film, lettristicamente corretti. Il doppio gioco dei sospiri, o di gioia e di dolore. Entra in scena infatti anche una ventenne in singhiozzi. Questo l'incipit.

Ma in realtà il fiotogramma è verticale. Ariane è un amante di un giorno.... 
Un cineasta interessante si vede da questo, commentano i Cahiers du cinema. Nella capacità della “logica astratta” di prendere possesso della forma di un film, spazzando in secondo piano la logica narrativa. Forme che sintetizzano un carattere. Senza bisogno del linguaggio verbale. Il nudo di Ariane, per esempio. Qui ecco Bonnard, il nudo allo specchio. Poi il nudo steso, cristologico. Poi il nudo in movimento, il rivestirsi da parodia della parodia burlesque...
Il professore Gilles (nome non casuale) ha però una figlia, Jeanne (Esther Garrel) che, piantata dal ragazzo, capita piangente e sull'orlo del suicidio in casa. L'età della figlia è proprio quella dell'amante. Le due ragazze, diversamente performative, gole profonde disomogenee, la prima femme fatale d'istinto, è di un altro mondo, la seconda arzigogolata domatrice di uomini dietro un'apparenza fragile, è di questo, e vivranno sotto lo stesso tetto.

qui addirittura siamo all'inquadratura capovolta, Ariane e Jeanne (Esther Garrel) diventano amiche 

La triangolazione domestica degli affetti infuocati, anche vista l'età (e un cognome) delle ragazze, il parlar, calmi o su di giri, di fedeltà e tradimenti, di sentimenti di breve o di lungo corso, di guerra (“quale? Della prossima!”) è l'argomento del nuovo film di Philippe Garrel, L'amant d'un jour. Un bianco e nero doc di Renato Berta, capace di catturare perfino il rossore (lui sì che conosce le 50 sfumature di grigio), e un copione a otto mani (anche Jean-Claude Carriere, che porta il sesso che parla, i nudi o meglio l'orgasmo nudo, inusuali nei precedenti film di Garrel) fabbricheranno questo piccolo grande film, autobiografico come sempre, pieno di ambiguità e di false piste, simulazioni, bugie, trucchi, patetici giochi e addirittura una canzone le cui parole sono scritte da Michel Huellebecq. “Allorchè si tratterà di lasciare questo mondo mi piacerebbe farlo in tua presenza”. Dopo tutto sempre new romantic Garrel. Ma la verità delle parole saranno completamente sbriciolate dalla verità delle immagini. L'immagine uccide. Lui, il prof, aveva detto: anche se ci tradiremo resteremo sempre insieme. Lei aveva detto. So che ci lasceremo. Ma sarà una immagine-parola a rompere il gioco. Ecco perché film così possono essere fraintesi da chi si oppone a suggestioni che non si possono spiegare, che sono quasi nel dominio dell'inconscio. C'è sempre Godard dietro ogni film di Garrel: “E' il solo cineasta capace di parlare da pari a pari con le donne”.   

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