sabato 29 aprile 2017

Demme. The Manchurian Candidate


Liev Schreiber


THE MANCHIURIAN CANDIDATE (*)

Usa, 2004

Dare cibo al pensiero. Questo può fare un film. Non cambia il mondo, il cinema, ma può modificare i corto circuiti delle nostre teste. Entri in una sala e ne esci cambiato, anzi migliorato. Invece di schiacciarti su un unico punto di vista ne hai a disposizione - se il film è ben fatto, se è un “time capsule movie”, cioè un film capace di catturare l’essenza di un’epoca - due, tre… Può succedere. Accadeva quando eravamo giovani e vedevamo i film di Robert Aldrich e Don Siegel. 

Jonathan Demme

E accadde al giovane Jonathan Demme che, a 17 anni, era un ragazzotto americano pronto a dare la sua vita alla patria. Entra in un cinema (genitori cinefili e curiosi, per sua fortuna). Vede Lontano dal Vietnam. L’episodio di Alain Resnais lo seduce. Esce. Ha la testa cambiata. Non parteciperà più a nessuna guerra di aggressione. Una settimana dopo, nel 1967, è a Washington, a protestare con il Movimento. Non abbandonerà più quel punto di vista. Direbbe Toni Negri “ha afferrato il metodo per contribuire, con il suo lavoro, a rivoluzionare lo stolto mondo di sfruttamento e di ingiustizia nel quale viviamo”.
E quando la Paramount ha in mente un bel progetto "soldi sicuri" con Denzel Wasgington protagonista di un possente thriller psicologico (che ha avuto grande successo nel passato) e lo chiama, Demme pensa che farà di The Manchurian Candidate  un nuovo Fahrenheit 9/11, cugino del potente documentario di Michael Moore, ma su e per John Kerry. Perché quella elezione può essere cruciale. Lo sarà. Introdurrà anche in Usa (dopo che in Italia ancora nessuno ne ha tratto conseguenze istituzionali)  l’orrore democratico del conflitto di interessi (di livello Armageddon) incontrollato. E ne stiamo pagando tutti le conseguenze…

Meryl Streep
La scena di The Manchurian Candidate nella quale  John Voigt, nella parte del senatore Richards, entra nel suo ufficio con una feroce agenda di guerra, programmato per essere il primo vicepresidente espresso dalle compagnie multinazionali, non può che far urlare lo spettatore mondiale: “Ma lo avete già l’uomo che, al vertice di una mega-corporation e dello stato, fa guerre ovunque ed esclusivamente per questioni di profitti privati!” Corpi di soldati americani in cambio di milioni per gli azionisti. E’ Ok questo? O c’è qualcosa di sbagliato?
Dunque non si tratta per Demme di fare il maquillage a un bel film del passato. Ma di rivoluzionarlo. Intanto. Si passa dalla guerra di Corea e da McCarthy alla prima guerra del Golfo e all’invasione in Iraq. Non c’è più la “minaccia rossa”. Ma un ancor più pericoloso complotto globale.
Il cattivo infatti qui è una multinazionale che si chiama Manchurian Global e non a caso opera (anche i cervelli dei prigionieri americani) non più a Pyongyang ma in Yemen (prima della primavera araba, quando i due Yemen diversamente comunisti erano stati forzosamente unificati e dominati dai wahabiti sauditi).

Denzel Washington
Inoltre. Non si tratta di fare un copia incolla da Frankenheimer. Tutta la parte dedicata alla polemica contro la stampa “libera” che non cerca più i colpevoli di un crimine (la coppia di piccole bombe fatte esplodere nei locali della Manchurian Global come mossa contro-cospirativa) ma riporta direttamente quel che le autorità politiche vogliano che si dica.   Insomma se la struttura è la stessa, cambiano parecchio i fattori, altra è la rabbia che origina il film….anche perché è uscito in America appena in tempo (grazie a due editori che hanno fatto le notti in bianco per chiuderlo in tempo) per appoggiare il partito democratico e poco prima delle elezioni presidenziali che vinse Kerry, ma poi, misteriosamente, vinse invece Bush junior (e Dick Cheney).

Questo perfetto remake (Daniel Payne e Dean Geor
garis firmano il copione) di The Machurian candidate di John Frankenheimer (1962) è firmato da Jonathan Demme in vena di studioso del cinema hollywoodiano (commedia e thriller fantascientifico degli anni 60) e critico di Bush senior e junior. Il complesso militare industriale statunitense oggi è stato sostituito da “corporation multinazionale che moltiplicano le guerre per fare superprofitti”, come disse Demme a David Thompson in una intervista del 2004. Jonathan Demme è capace dunque di riattualizzare e rigenerare un thriller fantascientifico tratto dal romanzo di Richard Condon , e sceneggiato allora da George Axelrod (via di difetti pochi e a me i pregi, tanti) che uscì tra la crisi di Cuba e l’assassinio Kennedy.
Dean Stockwell
Un thriller politico e «fantascientifico» epocale, che è la spiegazione-decostruzione lucida e perfetta dello «stato maggiore politico più pericoloso del dopoguerra», quello formato in quel momento dalla confluenza della Halliburton con il Carlyle Group (cos'è, come funziona e che malefico progetto ha in testa), cavallo di troia della strategia di George Bush padre e figlio (e della gang petrolifera del figlio).  
In gioco questa volta c'era non solo una presidenza degli Stati Uniti, ma forse il futuro dell'umanità gravemente messo in discussione dalla versione neocon di cos'è la civiltà occidentale (e in questo senso l’arrivo di Trump, Putin, Erdogan… al potere ha un solo carattere postivo. Quello di rilanciare la voglia di vedere The Manchiurian Candidate by Demme. Che usciva da un altro remake, bello ma commercialmente disastroso, Sciarada/The Truth about Charlie, il suo omaggio alla nouvelle vague francese.
Per chi non abbia visto il Manchurian candidate di Frankenheimer, ricordiamo che Frank Sinatra era l'integerrimo e «sconvolto» tenente Bennett Marco (qui è Denzel Washington a portare con disinvoltura un cognome italiano fiammante) e Laurence Harvey il sergente Raymond Shaw (qui un Liev Schreiber, altrettanto schizofrenico, elettrizzante e pericoloso, dolce e inquietante), genio di Harvard che una storia d'amore impossibile ha trascinato, volontario, sul fronte coreano per ridimensionare una Corea unificata e comunista (giudicata piuttosto pericolosa strategicamente ed economicamente, e dunque da ridimensionare con le armi e minacciare costantemente di sanzioni).
Vera Farmiga
I soldati fatti prigionieri dai mefistofelici comunisti vengono sottoposti a un trattamento psichiatrico super-pavloviano radicale (con sadiche variazioni orientali). Sono infatti non solo ipnotizzati, ma diventano controllabili a distanza, attraverso le carte da gioco: di particolare pericolosità operativa la «regina di picche».

Il film svelava indirettamente, e forse ingenuamente, quello che il Pentagono stava segretamente producendo nei suoi laboratori segreti (e non in quelli altrui). Anche perché è assai poco convincente che tanti ragazzi arabi oggi decidano di farsi saltare in aria in nome di Allah. E anche il gruppo dirigente nord coreano sembra frutto di esperimenti di laboratorio piuttosto frankensteiniani. Mah. Torniamo al film di Frankenheimer, non prima di aver ricordato che anche Don Siegel farà uno psycho-thriller politico simile nel meraviglioso Telefon…. 

Rilasciati e tornati in patria, allora, i patriotici ragazzi si comportano normalmente, ma in realtà sono burattini nelle mani di Stalin, Kim Il Sung e di Mao: il sergente Shaw, soprattutto, è l'oggetto di una attenzione speciale. Dovrà diventare presidente degli Stati uniti (e così li avrà in pugno). Shaw viene prima di tutto fatto passare per supereroe di guerra, attraverso testimonianze incontrovertibili sul suo coraggio di tutti i sopravvissuti, riceverà la legione d'onore del Congresso, onorificenza che «dal 1913 è stata assegnata solo 17 volte» (saranno 917, nel remake). Scalerà in fretta il vertice del partito democratico e verrà imposto al riluttante establishment «moderato», come candidato alla vice presidenza. Sua madre, Angela Landsbury (comunista cinica, travestita da falco della destra maccartista) non si fermerà di fronte a niente, intrigo, calunnia, ricatto e perfino omicidio, facendo sì che il figlio uccida il suo più pericoloso rivale, troppo «progressista» anzi proprio «comunista e traditore» e perfino la di lui figlia, che Shaw ha sempre amato e che sua madre, incestuosamente gelosa, ha sempre tenuto ben alla larga da lui.

Però il tenente Sinatra, sconvolto da strani incubi a ripetizione che gettano ombre e dubbi sul passato della pattuglia, e sull'efficienza dei metodi pavloviani (sempre un po’ scalcinati), inizia a mettere in discussione la situazione (grazie all'aiuto di Janet Leight, una misteriosa e casuale conoscenza) finché lo stesso Harvey, spaccato a metà tra residui di libertà morale e schiavitù indotta, imbraccia un fucile che dovrebbe (alla Oswald) far fuori il suo partner alla presidenza, punta, ma... Pochi giorni dopo il presidente Kennedy fu davvero assassinato e Sinatra, turbato, ritirò dalle sale il film che aveva prodotto. Rimase davvero traumatizzato, visto che poi passò ai repubblicani...

Ma nel remake di Jonathan Demme non si capisce se siamo alla convenzione democratica o repubblicana. Potrebbe essere una qualunque dei due. I partiti sono molto simili. Hanno lo stesso cerimoniale, una analoga geografia di falchi, moderati e perfino liberal. Quello che cambia tra i due film sono i cattivi, internazionalisti lì, multinazionalisti qui. E il lavaggio del cervello: qui si usa la criobiologia (la tecnica di conservazione di cellule viventi a temperature molto inferiori allo zero) e altre diavolerie biotecnologiche, di cui sono esperti scienziati sudafricani che erano pro-apartheid, dunque pazzi furiosi. Anche se Meryl Streep per attivare suo figlio all'azione - come nei vecchi film Hammer - userà il solito sistema dell'ipnotizzatore che ti chiama per nome e cognome (anche qui rivedere Telefon, perché l’attivazione delle cellule dormienti rosse lì è molto più poetica: si leggono al telefono i versi di Frost e si attiva il militante succube).

Se c'è qualcuno che può legittimamente trovare questo thriller esageratamente macchinoso è solo il pregiudicato Berlusconi e Co. che però, per lavare i cervelli di mezza Italia, ha dovuto 1. Cantare al momento giusto con il pianista giusto nelle feste giuste. 1 bis. Copiare agli americani il manuale di come uccidere il servizio pubblico televisivi. 2. Sposare una donna bella, emiliana e intelligente, ma poi pentirsene. 3 Farsi coprire da altri le sue voragini bancarie. 4 Aderire alla P2. Anche se per questo dovrà aprire un ospedale strano 5. Vincere i campionati di calcio (si può, senza che qualcuno fidato controlli il mega giro di scommesse?) 6 Sperare che la sinistra socialista eleggesse un segretario Psi di destra e poi lo portasse alla presidenza del consiglio per emanare leggi giuste (per lui); 6. Mangiare, digerire e trasformare in m…Retequattro e Mondadori. 7. Beneficiare di qualche strano fatto di cronaca tra Sindona e Calvi. 8. formare un partito, 9. cambiare stalliere e 10. decenni dopo, e dopo processi e condanne e pene addolcite, guidare ancora, e riverito nei tg, la nostra vita politica. ...
Bé, in realtà non è stato poi così semplice. E mi sa che questo film proprio di noi oggi parli. Mostra l'America di dentro. Il candidato della Machurian Global è l'uomo che Oriana Fallaci avrebbe votato subito. Perché erigeva muri e privatizzava gli eserciti per darci sicurezza dentro e fuori la patria e autonomia energetica e supremazia cristiana (i wahabiti non sono islamici, sono solo affaristi).
Certo, rispetto al film kennediano di John Frankenheimer che ci lasciò a bocca aperta, questo è meno bizzarro e «felice».



I tempi sono cambiati e allora si poteva tirare un sospiro di sollievo sulla fine dell'incubo maccartista e del fascismo fermato nella sua scalata. Ma quando Demme gira grandi aziende, Congresso e Casa bianca sono nelle stesse mani. E si può solo contare su un tenente e su un sergente «traditori». Perché tra compagni d'armi nasce sempre qualcosa di prezioso, quasi di tenero e di eversivo (Rambo docet).


(anche questo, come le altre recensioni dei film di Jonathan Demme sono riscritture di vecchi articoli apparsi sul manifesto. E li dedichiamo, in modo particolare, ai nostri 9 lettori fissi del blog il ciottasilvestri)

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