mariuccia
ciotta
Prospettiva
rinascimentale, lo spazio si perde in fondo alla stanza, campo lungo,
messa a fuoco di una molteplicità di figure... non solo il
direttore del Washington
Post Ben Bradlee (Tom
Hanks) emerge nella luce grigio-azzurra, ma i fantasmi della New
Hollywood richiamati da Steven Spielberg per un episodio storico che
sta al Watergate come Dunkirk allo sbarco in Normandia.
Fatti
oscurati dai grandi avvenimenti ma che risulteranno determinanti. I
Pentagon Papers, 1971. Eppure il regista di Sugarland
Express non si perde
nella nostalgia di quelle redazioni fumose con il ticchettio delle
macchine da scrivere e le fragorose rotative, l'invio in tipografia
della posta pneumatica, i cilindri con gli articoli giù per i tubi,
e poi il nastro danzante delle copie stampate. The
Post è una chiamata
alle armi in tempi di contraffazione delle idee e abusi di potere, e
non solo a favore della libertà di stampa. Spielberg l'ha girato in
estrema urgenza – via dal set italiano di The
Kidnapping of Edoardo Mortara
- per consegnare il suo “pezzo” prima della Deadline
celebrata da Richard Brooks con la famosa frase di Humphrey Bogart.
“E' la stampa, bellezza. E tu non puoi farci niente”.
Katharine
Graham (Meryl Streep), la prima editrice di un grande giornale
trasformerà il quotidiano locale di Washington in un colosso
dell'informazione mondiale in coppia con Ben Bradlee, che un anno
dopo, 1972, guiderà l'offensiva finale contro Nixon, missione
trasferita sullo schermo da Alan Pakula in Tutti
gli uomini del presidente,
protagonista Jason Robards.
New
York Times e
Washington Post
se la battono oggi come allora per avere documenti top-secret in
grado di smascherare un governo inganna-cittadini. Ma nel '71
l'uomo-chiave è Daniel Ellsberg (Matthew Rhys), il cittadino "più
pericoloso d'America” secondo Kissinger. Analista militare per due
anni in Vietnam, collaboratore del segretario di stato Robert
McNamara per la stesura del rapporto sulla guerra che registrava la
progressiva e inevitabile sconfitta degli Stati Uniti contro i
vietcong, Ellsberg, disgustato dalle bugie dei portavoce governativi
sull'avanzata vittoriosa dei marines, fotocopiò le 7.000 pagine dei
Pentagon Papers destinate ai posteri e li consegnò al New
York Times. Domenica
13 giugno 1971 la prima pagina del giornale titolava così “Archivio
Vietnam: gli studi del Pentagono rivelano tre decenni di crescente
coinvolgimento americano”. Due giorni dopo, l'amministrazione Nixon
chiese alla Corte Federale di bloccare la pubblicazione per motivi di
sicurezza nazionale. E così fu.
Spielberg
inizia da qui il suo thriller che ha l'andamento avvincente del
discorso di Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones) contro la schiavitù
in Lincoln,
le arguzie e i détournement politici, labirinti mentali e suspense
negli atti di coraggio, la paura prima di dare l'ok alla stampa,
prima che si perda l'edizione del mattino, con i tipografici in
attesa. Il Washington
Post raccolse la
sfida. Sequenza incantata: il pavimento trema in redazione sotto i
piedi del giornalista al vibrare delle rotative in moto giù nella
tipografia. Miracoli da
E.T. . E' il cinema di
Spielberg (bellezza) che catalizza quei giorni, risucchiati nel
vortice di corpi gloriosi, dei nostri vicini nel tempo, non
super-eroi ma persone degne di rispetto.
Katharine
Graham, vedova dell'editore, ex casalinga, non è giornalista, ma sa
leggere negli occhi del direttore Bradlee, un Tom Hanks trasformista
inarrivabile, circondata da uno stuolo di uomini con sigaro,
consiglieri sgomenti. Si va in prigione se si pubblicano i documenti
interdetti al New York
Times. Il legale si
oppone. Katharine Graham non lo ascolta. E, come in Dunkirk, a
salvare la libertà arrivano le barchette in forma di una miriade di
piccole testate cittadine che il giorno stesso pubblicano stralci dei
Pentagono Papers. “Dal mio punto di vista – scrive nella sentenza
di assoluzione il giudice della Corte Suprema Hugo Black – lungi
dal meritare la condanna per la loro coraggiosa inchiesta, il New
York Times, il
Washington Post
e gli altri giornali dovrebbero essere lodati per aver servito lo
scopo che i Padri Fondatori indicarono così chiaramente”. La
stampa deve essere al servizio dei governati, non dei governanti.
Con
quanta leggerezza, una poesia da cronista che batte sulla tastiera
circondato da gente vociante, Spielberg racconta le sue fiabe
radicate nella Storia, ripercorsa dai registi scrigni di memoria, da
Clint Eastwood in poi. Storia di amori nel flusso di una macchina da
presa (35mm!) che accumula dettagli in una sola inquadratura,
composizione pittorica, abiti, arredamento, gesti, sigarette,
movimenti e dati precisi su quel che accadde. Armonie
romantico-stellari di John Williams. Sullo sfondo si muovono i
protagonisti reali, e il fuori-campo suggerisce note a margine.
Perché
Robert McNamara (Bruce Greenwood), autore dei Pentagon Papers, è
amico della famiglia democratica di Katharine Graham - lo vediamo in
affettuosa confidenza con l'editrice - che pubblicherà i documenti
segreti contro il suo parere? Perché era un uomo di John F. Kennedy
che nel 1961 lo nominò segretario della Difesa. Il riluttante ex
insegnante di Haward lasciò la presidenza della Ford e uno stipendio
di 800 mila dollari all'anno (contro uno da 25 mila dollari) per
contrastare il superpotere del Pentagono e la sua strategia militare
che mirava alla distruzione del nemico. McNamara, molto critico
rispetto alla devastazione di Tokyo e alla bomba nucleare, elaborò
la sua dottrina della “risposta flessibile” che prevedeva
un'Escalation in proporzione alla minaccia degli avversari. Ma
scrivendo il suo diario sulla guerra in Vietnam si rese conto che il
continuo invio di soldati si risolveva in una carneficina e in una
sconfitta, e propose a Kennedy il ritiro entro due anni degli uomini
(16.000) impegnati sul fronte. Il presidente fu ucciso a Dallas il
22 novembre 1963, e il successore alla Casa Bianca, Lyndon Johnson,
invertì l'ordine e spedì 500.000 marines in Vietnam. McNamara,
intenzionato a consegnare i Pentagon Papers a Bob Kennedy,
assassinato a Los Angeles il 5 giugno 1968, si dimise dall'incarico
il 29 novembre 1967 in rotta con Johnson. La guerra in Vietnam finì
con la disfatta americana nel 1975. “Abbiamo agito in base a quello
che pensavamo fossero i principi e le tradizioni di questa nazione. –
confessa McNamara a Errol Morris nel documentario The
Fog of War – Eppure
abbiamo sbagliato, terribilmente sbagliato”. L'errore corre negli
anni fino a oggi con lo sdoganamento dei generali che tornano a
dominare senza più il controllo politico, e con l'opzione nucleare
fissa in testa.
I
nuovi Pentagon Papers sono i fotogrammi classici e ribelli di The
Post usciti dal cinema
combattente di Coppola, De Palma, Altman, Corman, Lucas, Cimino,
Penn, Romero, Peckimpah, Forman... Spielberg li ha messi in forma con
il suo sguardo purissimo. Due le candidature all'Oscar – miglior
film, migliore attrice - ma gli è stata negata la nomination alla
regia. Non ci sarebbe stata partita.
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