E’ proprio strano. Ecco un doc girato 5 anni fa per spiegare e combattere l’autoritarismo violento di Weinstein & C., controllo e dominio sessuale dei corpi compreso, cioè la strapotenza biopolitica della macchina cinema dominante, realizzato proprio da un film-maker, messo da decenni ai margini del big business, e accusato recentemente di molestie sessuali seriali su attrici. Ma io credo che il movimento metoo e time’s up debba ben separare lo strapotere ricattatorio del Leviatano che ha il diritto di vita e di morte artistico su chiunque, perché ormai è un conglomerato unico che controlla l’affare mondiale, da specifiche situazioni, politicamente deboli, che coinvolgono cineasti non riconciliati e fuori schema e che mai andrebbero generalizzate, ma messe in attenta e differenziata prospettiva storica.
Il 9 maggio del 2013 il
cineasta statunitense James Toback, tra i più originali, sperimentali e fisicamente
massicci della generazione sessantottina, ha presentato a Cannes un
documentario “alla Orson Welles” che aveva girato l’anno prima con James
Baldwin, proprio sulla Croisette, sullo stato (pessimo, quasi funebre) del
cinema mondiale ormai in mano a conglomerati adepti della religione monoteista
più fanatica e sanguinaria, quella del dio profitto e dell’omologazione del
sempre uguale. Però Sedotti e abbandonati è
soprattutto un omaggio ai cineasti di confine, ai film-maker libertari non
“hollywoodiani”, agli autori e attori che hanno avuto il coraggio di
addentrarsi nelle zone più dark e inquietanti dell’esistenza, là dove l’
immaginario desiderante e l’erotismo come gioco della vita con la morte,
combatte i comportamenti psicopatologici più autoritari e sanguinarie, cercando
di conoscerli e di comprenderli. Strano. Proprio quello che hanno fatto altri
cineasti poi colpiti dall’uno-due media&potere: Bertolucci (il cui ultimo
tango fu condannato al rogo), Polanski,
sottoposto a incomprensibile persecuzione pluridecennale; Woody Allen che
nonostante l’assoluzione giuridica subisce aggressioni ripetute e prepotenti
del tutto ingiustificate, James Franco …. Ripubblico dunque volentieri questa
recensione (il manifesto 10 maggio 2013), dopo che Toback è stato accusato (da molte attrici) di violenza e di
molestia sessuale, senza giustificare i suoi comportamenti prevaricanti anzi
sperando che sia fatta giustizia al più presto, ricordando però che Toback è
stato per molti mesi esposto a Yale a esperimenti distruttivi con l’Lsd negli
anni in cui questa droga, allora legale negli Usa, friggeva i cervelli di molti studenti
universitari, mentre la Cia che la diffondeva cercava inutilmente di sfruttarne le potenzialità in senso antisovietico, in piena guerra fredda.
di Roberto Silvestri
CANNES
James Toback, il regista omaccione e
controculturale di Fingers e Tyson, e Alec Baldwin, la star che sei
anni di serial tv stanno scalzando dai piani alti dello star-system, l'anno
scorso a Cannes hanno reso omaggio al più importante festival del mondo, per
charme e giro di affari, girando proprio sulla Croisette un mockumentary, mezzo
buffo e mezzo serio, Seduced and
abandoned, quest’anno proiezione speciale fuori concorso.
I due cineasti statunitensi raccontano intanto
se stessi, le proprie gioie e soprattutto i grandi dolori dentro Hollywood e
dintorni, poi le bellezze paesaggistiche, culinarie e finanziarie di questa
parte di Provenza, dall'arrivo all'aeroporto di Nizza alle grandi terrazze sul
mare, dalla monté de Marche all'abbuffata di ostriche e champagne, adornando le
tante interviste con rari spezzoni di classici della storia (il film è prodotto
da Michael Mailer per Hbo) e di foto d'epoca (Sofia Loren, Belmondo, Bardot,
Welles, Truffaut, Godard, Hitchcock, etc...).
Alec Baldwin e James Toback |
“Per 5 anni Brando non mi ha più voluto
rivolgere la parola”, ricorda Bertolucci (che intanto, omaggiatissimo, a Cannes
66 ha presentato ieri la versione 3d di L'ultimo
imperatore).
Film così sono stati cancellati dai
blockbuster di oggi. Abbiamo i multiplex pieni di film d'azione omologati.
Certo, però, che senza omologazione non c'è salto creativo. Dunque l'innesto
blockbuster/cinema d'autore è non solo fecondo ma d’obbligo.
Bernardo Bertolucci con James Toback e Alec Baldwin |
Alec Baldwin con il critico francese Michel Ciment (a sinistra) |
Più che il “costume”, cioé il calligrafismo turistico, però è il paesaggio interiore del cinema di oggi che interessa i nostri due detective dell'immaginario. Una spietata frase di Orson Welles apre il film: “un cineasta deve passare il 95% della suo tempo a cercare i soldi per fare un film e solo il 5% per girarlo”.
Da una parte Toback & Baldwin fanno
spiritosamente i Gianni e Pinotto della situazione, e hanno così inanellato
interviste a produttori di ogni risma e stomaco, fingendo di cercar
finanziamenti per un loro progetto e dando così nel frattempo un quadro più che
realistico, scandaloso e divertente, di come si mette insieme un film. Di come si possa cambiare tutto un concept per le bizze di un finanziatore
di Abu Dhabi (“è un emirato? Ma anche New York è un emirato” commenterà il
regista). Di come non interessa affatto ai più l'aspetto artistico e culturale
- i tycoons ossessionati dal rischio delle immagini innovative ma che le
immagini le conoscevano - non abitano più qui, ma solo il profitto sicuro.
“Volete 50 milioni di dollari? Ma un film con Baldwin non vale sul mercato che
un budget di 5 milioni di dollari, al giorno d'oggi. Certo ci fossero Gosling e
Chastain, la cosa cambierebbe”....
Dall'altra parte la strana coppia, sostenuta
da una colonna sonora colta, griffata Shostakovich, hanno discusso di arte, di
forme, di festival e anche del rapporto tra cinema e morte (il cinema è la
morte al lavoro 24 fotogrammi al secondo, si diceva, ma oggi che il digitale
non ha più i fotogrammi?), con i cineasti più interessanti presenti
nell'edizione 65: Bernardo Bertolucci (che ricorda come sia entrato per caso
nel cinema, Pasolini abitava nello stesso suo palazzo e i due si scambiavano
corrispondenze poetiche, quando a un certo punto lo ha nominato suo aiuto
regista per Accattone: “Ma io non
sono mai stato su un set” e Pasolini “Neanche io”), Francis Ford Coppola (che
non ama troppo Cannes, anzi trova detestabile l'ambiente, con le sue gerarchie,
i premi, e ricorda di avere pure buttato all'aria qui i suoi sei oscar per il Padrino), Roman Polanski (ancora
innamorato della scuola di cinema di Lodz e della bellezza sconvogente dei
laghi Mazuri, dove ha ambientato il Coltello
nell'acqua ed è ancora perplesso per la “contestazione” del 68), Martin
Scorsese (che illustra la difficoltà di una scena magistrale con Joe Pesci in Good Fellas), e Ryan Goslin, Jessica
Chastain, James Caan, Berenice Bejo...
La parte divertente, quasi alla Michael Moore,
è la prima, la ricerca spasmodica di un partner produttivo per un fantomatico
film d'azione e sesso da ambientare nell'Iraq della guerra, titolo Ultimo tango sul Tigri. E dunque quando
si inventano appuntamenti con il gotha e il gotha bis della produzione
internazionale, da Medavoy (ex Orion) a Jeremy Thomas (il braccio produttivo
dei kolossal di Bertolucci), da Katzenberg (che sta dietro a Shrek) a Marc Damon, l'ex figlioccio di
Corman, oggi nel grande business. La parte più teorica è nell'interessante
confronto tra i cineasti, le loro poetiche, il loro differente modo di
sconfiggere la morte con l'eternità delle loro opere. Fino al ciak finale di
Toback. Ogni vita finisce nel nero, all'improvviso. Proprio come in un 'the
end'.
James Toback e Roman Polanski |
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