lunedì 5 febbraio 2018

James Toback, "Sedotti e abbandonati". Un doc del 2013 contro il Moloch cinema



E’ proprio strano. Ecco un doc girato 5 anni fa per spiegare e combattere l’autoritarismo violento di Weinstein & C., controllo e dominio sessuale dei corpi compreso, cioè la strapotenza biopolitica della macchina cinema dominante, realizzato proprio da un film-maker, messo da decenni ai margini del big business, e accusato recentemente di molestie sessuali seriali su attrici. Ma io credo che il movimento metoo e time’s up debba ben separare lo strapotere ricattatorio del Leviatano che ha il diritto di vita e di morte artistico su chiunque, perché ormai è un conglomerato unico che controlla l’affare mondiale, da specifiche situazioni, politicamente deboli, che coinvolgono cineasti non riconciliati e fuori schema e che mai  andrebbero generalizzate, ma messe in attenta e differenziata prospettiva storica.      
Il 9 maggio del 2013 il cineasta statunitense James Toback, tra i più originali, sperimentali e fisicamente massicci della generazione sessantottina, ha presentato a Cannes un documentario “alla Orson Welles” che aveva girato l’anno prima con James Baldwin, proprio sulla Croisette, sullo stato (pessimo, quasi funebre) del cinema mondiale ormai in mano a conglomerati adepti della religione monoteista più fanatica e sanguinaria, quella del dio profitto e dell’omologazione del sempre uguale. Però Sedotti e abbandonati è soprattutto un omaggio ai cineasti di confine, ai film-maker libertari non “hollywoodiani”, agli autori e attori che hanno avuto il coraggio di addentrarsi nelle zone più dark e inquietanti dell’esistenza, là dove l’ immaginario desiderante e l’erotismo come gioco della vita con la morte, combatte i comportamenti psicopatologici più autoritari e sanguinarie, cercando di conoscerli e di comprenderli. Strano. Proprio quello che hanno fatto altri cineasti poi colpiti dall’uno-due media&potere: Bertolucci (il cui ultimo tango fu condannato al rogo), Polanski, sottoposto a incomprensibile persecuzione pluridecennale; Woody Allen che nonostante l’assoluzione giuridica subisce aggressioni ripetute e prepotenti del tutto ingiustificate, James Franco …. Ripubblico dunque volentieri questa recensione (il manifesto 10 maggio 2013), dopo che Toback è stato accusato (da molte attrici) di violenza e di molestia sessuale, senza giustificare i suoi comportamenti prevaricanti anzi sperando che sia fatta giustizia al più presto, ricordando però che Toback è stato per molti mesi esposto a Yale a esperimenti distruttivi con l’Lsd negli anni in cui questa droga, allora legale negli Usa,  friggeva i cervelli di molti studenti universitari, mentre la Cia che la diffondeva cercava inutilmente di sfruttarne le potenzialità in senso antisovietico, in piena guerra fredda.     



James Toback



di Roberto Silvestri
CANNES
James Toback, il regista omaccione e controculturale di Fingers e Tyson, e Alec Baldwin, la star che sei anni di serial tv stanno scalzando dai piani alti dello star-system, l'anno scorso a Cannes hanno reso omaggio al più importante festival del mondo, per charme e giro di affari, girando proprio sulla Croisette un mockumentary, mezzo buffo e mezzo serio, Seduced and abandoned, quest’anno proiezione speciale fuori concorso.
I due cineasti statunitensi raccontano intanto se stessi, le proprie gioie e soprattutto i grandi dolori dentro Hollywood e dintorni, poi le bellezze paesaggistiche, culinarie e finanziarie di questa parte di Provenza, dall'arrivo all'aeroporto di Nizza alle grandi terrazze sul mare, dalla monté de Marche all'abbuffata di ostriche e champagne, adornando le tante interviste con rari spezzoni di classici della storia (il film è prodotto da Michael Mailer per Hbo) e di foto d'epoca (Sofia Loren, Belmondo, Bardot, Welles, Truffaut, Godard, Hitchcock, etc...).
Alec Baldwin e James Toback
Punto di partenza dell'operazione: l'importanza per un attore e per un regista delle scene psicologicamente più ardite e “insostenibili”. La più sconvolgente è stata quella tra Marlon Brando e Maria Schneider in Ultimo tango a Parigi, il film più pericoloso di tutti, di frontiera e oltre, nella carriera di un attore costretto dal regista a mettere in discussione le zone più intime del proprio inconscio di uomo, senza reti tecniche a sostenerlo.
“Per 5 anni Brando non mi ha più voluto rivolgere la parola”, ricorda Bertolucci (che intanto, omaggiatissimo, a Cannes 66 ha presentato ieri la versione 3d di L'ultimo imperatore).
Film così sono stati cancellati dai blockbuster di oggi. Abbiamo i multiplex pieni di film d'azione omologati. Certo, però, che senza omologazione non c'è salto creativo. Dunque l'innesto blockbuster/cinema d'autore è non solo fecondo ma d’obbligo.

Bernardo Bertolucci con James Toback e Alec Baldwin
Gli americani ormai sono così tornati alla grande sulla Costa azzurra, nonostante recenti freddezze e divorzi politici. Sono alloggiati negli yacht di fronte al Palais, negli hotel di lusso dei dintorni, in agiate ville (ma, ricordiamolo, negli anni 70 c'erano solo tre giornalisti Usa tra le palmette, parola di Toddy McCarthy, il veterano critico di Variety) e fanno sentire con la solita involontaria esuberanza da marines la loro presenza sia sugli schermi che in sala, nelle lunghe file e in sala stampa, nei bar, nei ristoranti, nei Grand Hotel e per strada. Certo, c’è Lloyd Kauffman della Troma da una parte e Harvey&Bob Weinstein dall’altra.

Alec Baldwin con il critico francese Michel Ciment (a sinistra) 

Più che il “costume”, cioé il calligrafismo turistico, però è il paesaggio interiore del cinema di oggi che interessa i nostri due detective dell'immaginario. Una spietata frase di Orson Welles apre il film: “un cineasta deve passare il 95% della suo tempo a cercare i soldi per fare un film e solo il 5% per girarlo”.
Da una parte Toback & Baldwin fanno spiritosamente i Gianni e Pinotto della situazione, e hanno così inanellato interviste a produttori di ogni risma e stomaco, fingendo di cercar finanziamenti per un loro progetto e dando così nel frattempo un quadro più che realistico, scandaloso e divertente, di come si mette insieme un film. Di come si possa cambiare tutto un concept per le bizze di un finanziatore di Abu Dhabi (“è un emirato? Ma anche New York è un emirato” commenterà il regista). Di come non interessa affatto ai più l'aspetto artistico e culturale - i tycoons ossessionati dal rischio delle immagini innovative ma che le immagini le conoscevano - non abitano più qui, ma solo il profitto sicuro. “Volete 50 milioni di dollari? Ma un film con Baldwin non vale sul mercato che un budget di 5 milioni di dollari, al giorno d'oggi. Certo ci fossero Gosling e Chastain, la cosa cambierebbe”....
Dall'altra parte la strana coppia, sostenuta da una colonna sonora colta, griffata Shostakovich, hanno discusso di arte, di forme, di festival e anche del rapporto tra cinema e morte (il cinema è la morte al lavoro 24 fotogrammi al secondo, si diceva, ma oggi che il digitale non ha più i fotogrammi?), con i cineasti più interessanti presenti nell'edizione 65: Bernardo Bertolucci (che ricorda come sia entrato per caso nel cinema, Pasolini abitava nello stesso suo palazzo e i due si scambiavano corrispondenze poetiche, quando a un certo punto lo ha nominato suo aiuto regista per Accattone: “Ma io non sono mai stato su un set” e Pasolini “Neanche io”), Francis Ford Coppola (che non ama troppo Cannes, anzi trova detestabile l'ambiente, con le sue gerarchie, i premi, e ricorda di avere pure buttato all'aria qui i suoi sei oscar per il Padrino), Roman Polanski (ancora innamorato della scuola di cinema di Lodz e della bellezza sconvogente dei laghi Mazuri, dove ha ambientato il Coltello nell'acqua ed è ancora perplesso per la “contestazione” del 68), Martin Scorsese (che illustra la difficoltà di una scena magistrale con Joe Pesci in Good Fellas), e Ryan Goslin, Jessica Chastain, James Caan, Berenice Bejo...
La parte divertente, quasi alla Michael Moore, è la prima, la ricerca spasmodica di un partner produttivo per un fantomatico film d'azione e sesso da ambientare nell'Iraq della guerra, titolo Ultimo tango sul Tigri. E dunque quando si inventano appuntamenti con il gotha e il gotha bis della produzione internazionale, da Medavoy (ex Orion) a Jeremy Thomas (il braccio produttivo dei kolossal di Bertolucci), da Katzenberg (che sta dietro a Shrek) a Marc Damon, l'ex figlioccio di Corman, oggi nel grande business. La parte più teorica è nell'interessante confronto tra i cineasti, le loro poetiche, il loro differente modo di sconfiggere la morte con l'eternità delle loro opere. Fino al ciak finale di Toback. Ogni vita finisce nel nero, all'improvviso. Proprio come in un 'the end'.    
James Toback e Roman Polanski 



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