giovedì 15 febbraio 2018

"Cento anni" di moltitudine ingannata. Il nuovo film di Davide Ferrario all'Apollo 11 di Roma



Venerdì 16 febbraio all'Apollo 11di Roma proiezione, alla presenza dell'autore, di Cento anni, il nuovo straordinario documentario del cineasta, critico e teorico Davide Ferrario (nella foto). Il film è uscito nelle sale nel dicembre scorso ma meriterebbe un nuovo giro nei cinema liberati d'Italia. Fatevi sotto.



di Roberto Silvestri

Gli archivi del Luce, che custodiscono la parte più cospicua del patrimonio documentaristico nazionale, da qualche anno sono stati messi a disposizione dei cineasti italiani che li stanno riattraversando e studiando trasversalmente e coMario Brunello suona Havun Havun, un’antica melodia armena, all’Ara Pacis di Medea (GO), mentre scorre un montaggio di immagini di cimiteri e sacrari della Prima Guerra Mondiale.n sguardi dissonanti grazie anche a finanziamenti pubblici crescenti e alla distribuzione Rai Cinema, almeno in questo caso, visto l'interesse nostalgico/politico del pubblico per il ripescaggio e rimontaggio dei materiali di repertorio. Stiamo perdendo la memoria. E aiutano i recenti incontri tra Tatti Sanguineti e Andreotti, Giorgio Treves e Rondi, Carlo Di Carlo e “lo stile Luce”, fino a 9X10 Novanta, il lavoro collettivo firmato dai “novissimi” (Marazzi, Quatriglio, Rorhwacher, Marcello, Piperno e altri) in occasione del novantesimo compleanno dell'ente.
Ma questa volta si cambia passo e si rompono platealmente le righe, più sfrontatamente che mai. Perché Davide Ferrario, che non smette mai di alternare film di finzione molto ben documentati, con film-saggio ad alto quoziente emozionale, indica i veri nodi irrisolti di un immaginario educato con le cattive a non scioglierli mai. In Cento anni , presentato in anteprima all'ultimo Tff, mette in suggestiva prospettiva, a cadenza sincopata, alcuni avvenimenti salienti e significativi della nostra storia, mai messi insieme, partendo proprio dal centenario della grande disfatta militare, Caporetto, 24 ottobre del 1917, luoghi e racconti di profughi, orfani e prigionieri. La Resistenza e le antiche vicissitudini famigliari di Massimo Zamboni (ex CCCP e CSI). La strage di piazza della Loggia a Brescia. Lo spopolamento del Sud oggi, con il poeta Franco Arminio, in viaggio tra Irpinia e Basilicata che racconta la distruzione delle comunità montane. 



Il soggetto è di Giorgio Mastrorocco con cui Ferrario ha realizzato una trilogia sulla storia italiana completata da Piazza Garibaldi (2011) e La zuppa del demonio (2014). Materiali della memoria incandescente, dunque, che si aprono ad altro. A cominciare da Mario Brunello che a inizio film suona Havun Havun, antica melodia armena, all’Ara Pacis di Medea (Gorizia), mentre scorre un montaggio di immagini di cimiteri e sacrari della Prima Guerra Mondiale, ricollegando poi la ricezione al biennio anti rosso 1920-1921 dello squadrismo criminale protetto dal re, che spianò la strada al fascismo (Minniti, ristudiatelo prima di definire “teppisti”); alle “volanti rosse” del secondo dopoguerra che cercarono di purificare, in malo modo, i resti coriacei del fascismo nelle istituzioni democratiche a venire; allo stragismo e alla desertificazione delle campagne e del sud....Una stessa strategia. Attenzione, adesso alle imminenti elezioni. Chissà se il Piave mormorò davvero: “Non passa lo straniero”. E quello straniero era l'austriaco o il bolscevico o il nigeriano?
Oltretutto siamo ancora in pieno shock nazionale per l'eliminazione della Nazionale dalla coppa del mondo di calcio... Ma, solo chi cade può risorgere. Disastri coloniali (Adua) e postcoloniali (Somalia e Libia), economici (le macerie del secondo dopoguerra e il falso boom), politici (il fascismo e il berlusconismo colluso con la mafia, vedi Dell'Utri), culturali (gli anni plumbei della Dc e delle censure e della sessuofobia maschilista), hanno dimostrato (in questo film, non altrove) che questa Italia abbattuta e sconfitta sa anche resistere e riscattarsi (divorzio, aborto, sessantotto, 77...). Ma non è solo questo il taglio del lavoro, diversamente commuovente, di Ferrario. I disastri patrii sono per lo più analizzabili, in tutto il mondo. Particolarmente nel caso delle strategie belliche di un generale come Armando Diaz. Ma il caso Italia scodella troppe sconfitte misteriose, debacle criminali senza colpevoli, mandanti e autori materiali. A partire dagli orrori coloniali e dalla macchina razzista che inquina ancora il nostro inconscio collettivo (pronto a inneggiare al pistolero giustiziere e a terrorizzarci con il cannibalismo atavico degli africani). O, più vicina a noi, a partire dalla bomba nella Banca dell'Agricoltura, prima di una lunga serie di attentati fascisti contro civili e sindacalisti. Nessun tribunale della giustizia e della riconciliazione è stato istituito, come in Sudafrica o in Ruanda, in questi 50 anni italiani, per rifondare il patto che, tra dominanti e dominati, come era, dovrebbe finalmente trasformarsi nel sistema di regole democratiche tra governanti e governati. Tra le due Italie. Indagando meglio sul ruolo di organizzazioni criminali protette come la P2 e Gladio e sulle tecniche di depistaggio delle attività delle forze dell'ordine e dei servizi segreti, carabinieri in primis, visto il caso Cucchi, Ilaria Alpi, Sgrena.,... Di questo si parla in questo film, diviso in quattro parti. 85 minuti, in bianco e nero e a colori. A cosa servono i morti se non a vendicarli? Spettri di Marx, direbbe Derrida, evocandoli. Un po' di scienza sarriana è richiesta. Se le sconfitte non vengono ben studiate alla moviole, potremmo davvero sprofondare tutti nel baratro. Altro che retorica. Ferrario in questo film urla dissonante, è a livello Joe Strummer.


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