lunedì 26 ottobre 2015

The Walk, la storia vera è una favola



Mariuccia Ciotta

Robert Zemeckis rovescia lo sguardo e passa dai corpi di carta su paesaggi reali di Chi ha incastrato Roger Rabbit? all'uomo in carne e ossa di The Walk , il funambolo che cammina nell'aria tra i fantasmi delle Twin Towers, e sullo sfondo una New York deformata che ruota e si dissolve, materia impalpabile e mobile. Philippe Petit (Joseph Gordon-Levitt), che toccò il cielo con un dito il 7 agosto 1974, fluttua nel doppio sogno di allora e di oggi.
Zemeckis sa giocare negli interstizi tra materico e visionario per ricucirli in una sola trama, e ridurre lo scarto tra documento e allucinazione come in Polar Express dove Tom Hanks, ridotto a burattino semi-vivente, indossa la maschera dell'inviato di Santa Claus.
In The Walk l'assurda figura dell'acrobata, che solo un cartoon potrebbe illustrare, è vivo mentre tutto il resto, Parigi nella prima parte del film e Manhattan dopo, sembra un'illusione.
Il lungo prologo di The Walk (passato alla Festa di Roma)
non è come sembra un girare a vuoto in attesa della performance sul filo - le strade parigine, i bistrò, gli spettacolini all'aperto, l'incontro con la musicista di strada... - perché è all'ombra della torre Eiffel che il funambolo elabora la teoria del gesto “insensato”. L'ex ragazzino dalla faccia disegnata, l'attore bambino di In mezzo scorre il fiume ('92), crea traiettorie improbabili in bilico sulla corda tesa tra due lampioni e il modellino di carta costruito sulla tavola del ristorante, una cannuccia al posto del bastone da equilibrista. Prove di vertigine. Philippe Petit si misura con spazio, altezza, prospettive, e Zemeckis lo fa montare come un folletto sulla statua della Libertà, da dove il folle funambolo, deciso ad attraversare i 60 metri che dividono le torri gemelle, ricorda la genesi dell'impresa. 
 
Il “sogno” ha un lato tecnico pesante, tanto quando il cavo d'acciaio da stendere tra i due edifici, inaugurati il 4 aprile 1973, anche se l'anno dopo vediamo ancora operai al lavoro, il World Trade Center restò a lungo una fabbrica aperta. A dare le istruzioni – come si annoda un cavo d'acciaio sul grattacielo più alto del mondo - c'è il maestro francese degli acrobati da circo impersonato da uno scattante e segaligno Ben Kingsley, truccato da Freddy Krueger, mentore severissimo di Philippe, il quale si crea il suo dream-team, adoranti fans, uno fumato, un altro che soffre di vertigini, un fotografo amico e un secondo interessato al guadagno, e al centro la francesina Annie Allix (Charlotte Le Bon) che non dimenticherà il suo di sogno, suonare e cantare senza l'intralcio dell'equilibrista ruba-scena nelle piazzette di Parigi.
Ancora Zemeckis orchestra il verosimile con l'impossibile e qui trova la sua giusta dimensione. La linea tesa tra le nuvole è fatta di ferro, non siamo nel Natale futuro di A Christmas Carol con le apparizione degli spiriti e neppure nei fondali digitali di Beowulf, ma proprio dentro le pagine autobiografiche di To Reach the Clouds, scritto da Petit nel 2002, e a fianco del documentario Oscar 2009 di James Marsh Man on Wire
 
Eppure è difficile credere alla figuretta in nero che ci porta sull'abisso in 3D (più sconvolgente in Imax), inosservata all'inizio, a parte un gabbiano alla Hitchcock, e che avanza passo dopo passo, senza rete, sospesa nel nulla.
Sotto le torri, che a guardarle da giù toccavano le nuvole, la gente si ferma e alza la testa. Il futuro è sopraffatto dal passato, il gesto di Philippe Petit risponde in anticipo di 27 anni alla catastrofe. Un corpo in equilibrio nell'aria, non piovono persone, e tutti sorridono, nessuno grida, nessun aereo si schianta sulle Torri gemelle. E allora si sa perché Zemeckis ha girato The Walk, per ripetere “il crimine artistico del XX secolo”, annientare l'altro effetto speciale, distruggere lo “spettacolo” e le sue icone in fiamme, passate milioni di volte negli occhi. Sospesi a 400 metri, a picco sulla voragine, la visione tridimensionale è lisergica, Zemeckis converte la “storia vera” in una favola, tanto potente da far passeggiare l'uomo su e giù, andata e ritorno più e più volte, già perché Philippe non si accontenta e vuol dimostrare che l'antidoto alla morte e al lutto è un gesto no-profit, effimero, inutile. “Perché lo fai?” chiedevano al funambolo. E la risposta sta nella carezza della cinepresa sull'arabesco metallico, sulle guglie da cattedrale delle Twin Towers e nelle musiche celestiali di Alan Silvestri.



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