domenica 25 ottobre 2015

Festa di Roma. Il piccolo principe contro Inside Out


Mariuccia Ciotta


Era il perfetto film di Natale ma uscirà il primo gennaio distribuito dalla Lucky Red, forse per non scontrarsi con i colossi tipo
Il viaggio di Arlo (esce il 25 novembre), punta di diamante della Pixar/Disney che ha già offuscato Il piccolo principe a Cannes con il sovrastimato Inside Out, frutto dell'iperproduzione dello Studio di Emeryville.
Cinque gli anni di lavorazione per Il piccolo principe (107'), diretto a sorpresa da Mark Osborne, irriconoscibile rispetto al blockbuster Kung Fu Panda (2008) della Dreamworks che predilige gag, doppi sensi, ribaltamento e “modernizzazione” delle favole. Il testo di Antoine de Saint-Exupéry (sceneggiatura di Irena Brignull) è tradotto in una polisinfonia visiva che rinnova il set abusato del cinema d'animazione e fa ricorso all'antica tecnica della stop-motion in parallelo con la computer-graphic. Due film in uno. La storia del principino abitante di un pianeta “appena più grande di lui” è realizzato con burattini scolpiti nel legno e animati a passo uno mentre è in digitale tridimensionale il mondo della “vera” bambina che sogna di salire sulle stelle. La differenza con Inside Out (e con altri film Pixar sfornati in fretta) sta anche nella tecnica là dove il mondo parallelo è un gioiello e non un'accozzaglia di scarabocchi elementari (La principessa e il ranocchio, per esempio). 
 
Produzione franco-canadese (distribuisce in Usa la Paramount, e altrove la Warner Bros), il film, girato in 3D, è frutto del lavoro di 400 artisti e tecnici internazionali, le immagini sono 1600, il budget intorno ai 57 milioni di dollari. Mobilitati per le voci grandi attori, nell'originale: Jeff Bridges, James Franco, Benicio Del Toro, Paul Giamatti (in Italia: Toni Servillo, Paola Cortellesi, Stefano Accorsi, Alessandro Gassman, etc), Il piccolo principe, è passato fuori concorso a Cannes tra gli applausi dei pochi festivalieri ancora presenti, e poco attenti (ancora) al cinema d'animazione.
All'opposto di Inside Out, e del suo universo disciplinare (che tanto piace agli adulti), il film di Mark Osborne è stato uno dei titoli più luminosi del festival (di Cannes e di Roma). 
 

Cittadina americana ordinata in casette tutte uguali, compresa quella della bambina, rinchiusa nella “little box” cantata da Pete Seeger, destinata a “riuscire nella vita”, obbligata a entrare nella prestigiosa Académie Werth da una giovane madre rampante, impegnata tutto il giorno. La bimba, rimasta sola, dovrà seguire militarmente le istruzioni materne (pranzo, studio, ginnastica, merenda...) indicate minuto per minuto su un cartellone da manager. Se vorrà un'amica, ma solo per tre giorni d'estate, dovrà aspettare l'anno successivo. La piccola studentessa, sommersa da volumi e tabelle, troverà una via di fuga, quella negata alla ragazzina di Inside Out da un cervello telecomandato e da genitori iper-amorevoli. Qui la madre, in tailleur grigio d'ordinanza, incarna il principio d'ordine, la perfetta esponente di una società plumbea, una New York attraversata da individui cupi e curvi con valigetta in mano e la faccia color fuliggine.
La via di fuga è una crepa nel muretto di cinta, casa ammaccata e sbilenca, che dà accesso al giardino delle meraviglie del vicino, l'Aviatore, un squinternato vecchietto barbuto, inventore pazzo di macchine celibi, frastornati aggeggi in azione tra farfalle, erba e fiori che crescono nelle fenditure di un rottame d'auto e di un reperto archeologico a forma di bimotore. Il vecchietto è Antoine de Saint-Exupéry, o almeno è logico pensarlo perché scrive e disegna la storia del principino e della sua magica rosa in aperta opposizione alla razionalità terrestre. 
 

Il problema non è crescere, ma dimenticare. Il pericolo è perdere la memoria dell'”essenziale” che lassù nel cielo fantastico del Piccolo principe corrisponde al superfluo (l'arte lo è). “L'essenziale è invisibile per gli occhi”, ha l'aspetto di una volpe di pezza con gli occhi-bottone, è il perder tempo con la lettura delle avventure dell'Aviatore che incontrò il principino in un pianeta deserto e disegnò per lui un montone, ma così sghembo da finire in una scatola dal contenuto immaginifico. E via dicendo, di asteroide ad asteroide, abitati da un serpente parlante, da un uomo vanesio che si toglie il capello a ogni applauso, e da un avido capitalista deciso a comprarsi tutte le stelle per triturarle e ricavarne energia elettrica.

Le figurette in stop motion alludono ai disegni originali e convivono con la bambina ribelle in un viaggio dickensiano a bordo dell'aereo fantomatico verso la catastrofe annunciata, a caccia della memoria perduta degli adulti. Ma il grido di Peter Pan “nessuno farà di me un uomo” sarà sostituito dalla fantasia ritrovata, e le stelle torneranno a splendere nella notte, legate a fili d'aquilone.

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