Mariuccia
Ciotta
Era il perfetto film di Natale ma uscirà il primo gennaio distribuito dalla Lucky Red, forse per non scontrarsi con i colossi tipo Il viaggio di Arlo (esce il 25 novembre), punta di diamante della Pixar/Disney che ha già offuscato Il piccolo principe a Cannes con il sovrastimato Inside Out, frutto dell'iperproduzione dello Studio di Emeryville.
Cinque gli anni di
lavorazione per Il piccolo principe (107'),
diretto a sorpresa da Mark Osborne, irriconoscibile rispetto al
blockbuster Kung Fu Panda
(2008) della Dreamworks che predilige gag, doppi sensi, ribaltamento
e “modernizzazione” delle favole. Il testo di Antoine de
Saint-Exupéry (sceneggiatura di Irena Brignull) è tradotto in una
polisinfonia visiva che rinnova il set abusato del cinema
d'animazione e fa ricorso all'antica tecnica della stop-motion in
parallelo con la computer-graphic. Due film in uno. La storia del
principino abitante di un pianeta “appena più grande di lui” è
realizzato con burattini scolpiti nel legno e animati a passo uno
mentre è in digitale tridimensionale il mondo della “vera”
bambina che sogna di salire sulle stelle. La differenza con Inside
Out (e con altri film Pixar sfornati in
fretta) sta anche nella tecnica là dove il mondo parallelo è un
gioiello e non un'accozzaglia di scarabocchi elementari (La
principessa e il ranocchio, per
esempio).
Produzione
franco-canadese (distribuisce in Usa la Paramount, e altrove la
Warner Bros), il film, girato in 3D, è frutto del lavoro di 400
artisti e tecnici internazionali, le immagini sono 1600, il budget
intorno ai 57 milioni di dollari. Mobilitati per le voci grandi
attori, nell'originale: Jeff Bridges, James Franco, Benicio Del Toro,
Paul Giamatti (in Italia: Toni Servillo, Paola Cortellesi, Stefano
Accorsi, Alessandro Gassman, etc), Il
piccolo principe, è passato fuori
concorso a Cannes tra gli applausi dei pochi festivalieri ancora
presenti, e poco attenti (ancora) al cinema d'animazione.
All'opposto
di Inside Out,
e del suo universo disciplinare (che tanto piace agli adulti), il
film di Mark Osborne è stato uno dei titoli più luminosi del
festival (di Cannes e di Roma).
Cittadina
americana ordinata in casette tutte uguali, compresa quella della
bambina, rinchiusa nella “little box” cantata da Pete Seeger,
destinata a “riuscire nella vita”, obbligata a entrare nella
prestigiosa Académie Werth da una giovane madre rampante, impegnata
tutto il giorno. La bimba, rimasta sola, dovrà seguire militarmente
le istruzioni materne (pranzo, studio, ginnastica, merenda...)
indicate minuto per minuto su un cartellone da manager. Se vorrà
un'amica, ma solo per tre giorni d'estate, dovrà aspettare l'anno
successivo. La piccola studentessa, sommersa da volumi e tabelle,
troverà una via di fuga, quella negata alla ragazzina di Inside
Out da un cervello telecomandato e da
genitori iper-amorevoli. Qui la madre, in tailleur grigio
d'ordinanza, incarna il principio d'ordine, la perfetta esponente di
una società plumbea, una New York attraversata da individui cupi e
curvi con valigetta in mano e la faccia color fuliggine.
La via
di fuga è una crepa nel muretto di cinta, casa ammaccata e sbilenca,
che dà accesso al giardino delle meraviglie del vicino, l'Aviatore,
un squinternato vecchietto barbuto, inventore pazzo di macchine
celibi, frastornati aggeggi in azione tra farfalle, erba e fiori che
crescono nelle fenditure di un rottame d'auto e di un reperto
archeologico a forma di bimotore. Il vecchietto è Antoine de
Saint-Exupéry, o almeno è logico pensarlo perché scrive e disegna
la storia del principino e della sua magica rosa in aperta
opposizione alla razionalità terrestre.
Il
problema non è crescere, ma dimenticare. Il pericolo è perdere la
memoria dell'”essenziale” che lassù nel cielo fantastico del
Piccolo principe corrisponde al superfluo
(l'arte
lo è). “L'essenziale è
invisibile per gli occhi”, ha l'aspetto di una volpe di pezza con
gli occhi-bottone, è il perder tempo con la lettura delle avventure
dell'Aviatore che incontrò il principino in un pianeta deserto e
disegnò per lui un montone, ma così sghembo da finire in una
scatola dal contenuto immaginifico. E via dicendo, di asteroide ad
asteroide, abitati da un serpente parlante, da un uomo vanesio che si
toglie il capello a ogni applauso, e da un avido capitalista deciso a
comprarsi tutte le stelle per triturarle e ricavarne energia
elettrica.
Le
figurette in stop motion alludono ai disegni originali e convivono
con la bambina ribelle in un viaggio dickensiano a bordo dell'aereo
fantomatico verso la catastrofe annunciata, a caccia della memoria
perduta degli adulti. Ma il grido di Peter Pan “nessuno farà di me
un uomo” sarà sostituito dalla fantasia ritrovata, e le stelle
torneranno a splendere nella notte, legate a fili d'aquilone.
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