Roberto Silvestri
Cesare e Vittorio. Due amici
per la pelle della piccola malavita locale. Baretto. Boss periferici. Cantieri edili
mezzi in nero. Spaccio quotidiano, furti saltuari, traffici vari, tenere alla larga la concorrenza, molta “madre coraggio”, pasticche
doc ad hoc, i night chic da dove ti sbattono via, il nuotare nel buio, le armi, i rapporti servili con il ras della zona, le ragazze... poi si cresce, che ne
dite di tornar normali? Salario, famiglia, bambini? Il lavoro da muratore (Mastrandrea
ne sa qualcosa), e le due vie che si aprono: facciamo ancora i cattivi fino
all'ultimo respiro o diventiamo adulti, più buoni e tranquilli? Casa, anche se
è un rudere, moglie, anche se è una puritana, figli…? Uno resiste. L'altro no.
Uno crolla. L'altro vacilla. L'ultimo colpo.... La tragedia di due emarginati
ridicoli. Sembra già visto. Eppure quelle luci, quelle ombre, quei tic. Ce ne fosse solo una scontata, già vista. Per la prima volta nel cinema italiano entrano in campo dei corpi giusti. Non della strada, non dell'Accademia di recitazione. Non segni, non immagine. Non referenti, ma i mille colori del contenuto. Vita.
L’importanza del terzo
lungometraggio di Claudio Calligari, Non
essere cattivo, la lunga odissea per trovare i finanziamenti, si mette a
fuoco molto meglio da un’ottica “africana”.
Molti cineasti di quel
continente, infatti, ci mettono 10-15 anni per trovare i fondi necessari a
girare film scritti in modo che possano durare nel tempo. Caligari ha scritto il copione nel 1995, sulla
base della situazione socioeconomica di Ostia e del mercato della droga di quel
tempo (consulente Guido Blumir), ha girato nel 2014, negli ultimi mesi di vita
ed è morto di cancro prima di completare il montaggio, eseguito fedelmente sulla
base delle sue indicazioni. Il tutto grazie alla determinazione ostinata
dell’amico, qui produttore, Valerio Mastandrea, che ha voluto che il progetto
andasse in porto così come era stato concepito, senza abbellimenti né
compromessi.
Claudio Caligari sul set |
Il film, presentato alla
mostra di Venezia nel settembre scorso, adesso è nelle sale ed è stato
candidato dall’Anec al premio Oscar per il miglior film straniero 2015,
battendo una concorrenza folta e robusta (il dolore di Moretti, il detour di
Garrone, il virtuosismo di Sorrentino e la passione politica di Jonas Carpignano, cioè i
prescelti da Cannes oppure Bella e
perduta di Pietro Marcello, il vincitore morale di Locarno…).
La foto alla Jarmusch |
Probabile argomento chiave
per la scelta (“cosa diavolo piacerà agli americani dell’Academy più curiosi e esterofili?”)
il diretto rapporto tra il film e la poetica pasoliniana, il calviniano
“trovare la luce nell’inferno” (il nuovo film di Ascanio Celestini che da
questo punto di vista è anche più radicale, ma ha bisogno di qualche anno per
essere metabolizzato, evidentemente).
Pasolini però è ancora
eretico e un po’ tabù negli Usa (il ritratto inquietante di Abel Ferrara non ha
trovato ancora un distributore).
Comunque, dopo il rococò
concettuale di Sorrentino, il neo-fellinismo, ecco proporre un film barbaro e
aspro, un po’ di Masaccio. L’altra faccia del cinema italiano che piace
all’estero. Tra i derelitti del grande giro mafioso, quasi un Gomorra. Tra Rossellini e la fiction tv
dal dialogo verace (Luca Marinelli e Alessandro Borghi, i due amici mattatori,
Cesare e Vittorio, hanno ben scelto gli attori da imitare alla perfezione,
Robert De Niro e Harvet Keitel di Mean
Street). A proposito.
Peccato per il progetto
precedente di Caligari, fallito anche per colpa di Caligari, su Giuseppe
Morabito il boss gagà della ‘ndrangheta operante a Milano (pentito,
collaboratore di giustizia, poi uccel di bosco e tuttora vivo e vegeto, nonostante
un centinaio di assassini rivendicati e una fatwa della malavita calabrese che
lo sta cercando in tutti i paradisi fiscali della terra) che avrebbe certamente
scandalizzato di più e anticipato Gomorra
libro di Saviano e Anime nere film, di
un bel po’.
Vero è questa volta che il
montaggio non è stato realizzato dall'autore, un feroce dittatore del final
cut. E il fluxus sembra cambiato, come il fraseggio rispetto alla libertà
vertiginosa di Amore tossico, 1983,
set lo stesso, Ostia, di cui Non essere
cattivo è un sequel esplicito. Basta vedere la prima carrellata a sinistra,
sullo stabilimento balneare, che è proprio lo stesso (e il titolo, sarcarstico,
non parrocchiale). Non è cambiato quasi nulla, purtroppo, in quegli esterni (e
se è peggiorato basta girare a Fregene e dintorni).
Gli spettri aleggianti di
Pasolini, dicevamo. Certo, Ostia. Quella
di Derek Jarman, che al delitto più orrendo del secolo scorso, si trattava di
un poeta, dedicò un magnifico requiem visivo. Non essere cattivo, il film postumo di Caligari, uno dei pochi
registi scampati allo sterminio per "droga prigione e esilio" di una
generazione (è stata la tecnica utilizzata in Italia, paese dove non era il
caso di stipare sovversivi in aereo e buttarli vivi giù di sotto, Ustica ingombrava)
conserva e trasmette di Pasolini la rabbia di una storia finita eppure revenent. Caligari era capace infatti di
catturare la sostanza profonda dei tempi, i suoi sentimenti nascosti e i suoi
conflitti interiori (vedi La parte bassa,
1978 o L’odore della notte, 1998, il
più interessante e pertinente dei film distribuiti dalla Gaumont Italia),
proprio come pochi altri sopravvissuti al decennio incandescente, Tonino De
Bernardo o Alberto Grifi. E per questo è stato messo in grado per anni di non
nuocere. Emarginato. Snobbato. Deriso. Rudere. Dinosauro. Niente finanziamenti.
Porte sbattute in faccia.
Tra L'odore
della notte, penultimo film, e questo, passano non a caso 17 anni e senza
l'intervento prepotente e autorevole di Valerio Mastrandrea neanche questo
progetto anni 90 del cineasta di Arona avrebbe mai visto la luce.
Questo film compatto e
corposo, un po' alla Romanzo criminale
televisivo è piaciuto moltissimo al Lido. “Qui Barbera ha proprio sbagliato.
Doveva andare in gara, magari al posto di L’attesa…
Celestini invece è stato molto più criticato. Eppure quest'ultimo non divide,
come a a scuola, i buoni dai cattivi. Li mescola. Trova bontà nella cattiveria
dell'illegalità, bellezza nello squallore della periferia degradata (come Pedro
Costa). Non al di fuori. Qui è come se i due mondi non fossero mescolabili.
Celestini inquieta di più. Caligari postumo di meno. Strana la vita.
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