Carolina Crescentini |
Mariuccia
Ciotta
Perché
i fratelli Taviani si rivolgono a Boccaccio? E dopo il Decameron
di Pasolini ('71)? I registi premiati con l'Orso d'oro per Cesare
deve morire sembrano
lontani da novelle e linguaggi “licenziosi” attribuiti allo
scrittore trecentesco. I cento racconti da “mille una notte”,
però, parlavano soprattutto d'amore, più forte della peste di
Firenze e anche degli uomini
in nero di oggi che,
come allora, scavano fosse comuni per seppellire la vita e l'arte.
E
di amore si parla.
Maraviglioso
Boccaccio è una
risposta cromatica alle “cinquanta sfumature di grigio” (inerte
tentativo “boccaccesco” di accendere i sensi) e di sfumature ne
sceglie cinque per tessere una trama di sensualità come forma di
resistenza alla morte.
A rischio di effetto filodrammatica, i registi
si pongono la questione del testo letterario a contatto con i
fotogrammi, così come ha fatto Paul T. Anderson in Vizio
di forma da Pynchon e
prima ancora David Cronenberg con Cosmopolis
di DeLillo. Il coro
degli attori, dalle star (Crescentini, Riondino, Rossi Stuart,
Scamarcio, Smutniak, Trinca...) ai giovani “ronconiani”, traccia
una linea parallela - dialoghi dichiaratamente scollati
dalle immagini - così che i versi aulici risultano straniati.
L'attualità
non sta tanto nella metafora per aggirare un discorso etico sul
presente - “avevamo voglia di avvicinarci ai nostri giovani e a
questo presente brutale che li esaspera” - ma nella ricerca di un
cinema che rivitalizzi i suoi canoni espressivi, che si rimetta in
forma.
Ogni
cosa trasmette nel film questo tentativo, nella geometrica sontuosità
dei costumi - magnifica “sfilata” di Lina Nerli Taviani da far
invidia agli stilisti più in - alle coreografie disegnate tra prati
e castelli di Toscana e Lazio. Tutto dentro un laboratorio dal sapore
pre-raffaellita, che proprio al décor rinascimentale opponeva le sue
figure “primitive” iper-colorate, segni di nostalgia e al tempo
stesso movimenti di fuga e di rinnovamento.
Nel
rimescolare le novelle di Boccaccio, narrate da dieci giovani (sette
donne e tre uomini) fuggiti dalla Firenze pestilenziale, il film
tocca punti emozionalmente alti, sempre sul crinale di un estetismo
da “belle statuine”, come nel racconto di Catalina (Vittoria
Puccini), creduta morta di peste, abbandonata in una chiesa dal
marito, e “resuscitata” da Gentile Carisendi (Riccardo Scamarcio)
innamorato da sempre, e che i Taviani femministi riscrivono: la
bella, incinta, non tornerà a casa, ma in un fermo immagine degno di
Dante Gabriele Rossetti resterà con il suo salvatore. E ancora, tra
il thriller e il melodramma, l'episodio con Jasmine Trinca-Giovanna,
scolpita nel marmo, la donna adorata da Federico degli Alberighi
(Josafat Vagni) che per lei sacrifica l'unico affetto che gli è
rimasto, un falco, come in una ballata di De André.
L'azzardo
del mash-up di Maraviglioso
Boccaccio s'infrange,
però, nella colonna sonora, vibrazione elettroniche e sound
contemporaneo coniugati con Rossini, Verdi, Puccini, un'ondata
fragorosa che si abbatte sullo schermo e sul delicato equilibrio di
un film avvolto nella bella luce di un cinema che ha ancora il
desiderio di se stesso.
Vittoria Puccini |
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