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Claudio Giorgio Fava |
Roberto Silvestri
Ho conosciuto Claudio
Giorgio Fava, in televisione, come molti italiani della mia generazione. Per 20
anni e fino all’arrivo di Celli e dei professori, che lo hanno spintonato via
da viale Mazzini in malo modo, ha presentato quelle compiante retrospettive di
film, in prima e seconda serata Rai (poi improvvisamente proibite nell’era
Marzullo), affiancando Fernaldo Di Giammatteo, Pietro Pintus, Callisto Cosulich e
Vieri Razzini nei preziosi corsi didattici per principianti delle immagini (non
si studiava ancora cinema nei licei e nelle università), equivalenti alle
lezioni, ‘non è mai troppo tardi’, di Alberto Manzi.
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Jean Paul Belmondo in Le Doulos (1962) di Melville |
Come Vieri Razzini,
Fava era esperto e fan della Hollywood del periodo classico, ma a differenza di
Vieri si appassionava di più a vivisezionare i segreti del cinema d’azione e di
guerra, meglio ancora se thriller e gialli ‘hard boiled’, piuttosto che la
commedia sofisticata. Ford, Wellman, Vidor, Welles, Hawks, Peckinpah, Siegel,
Aldrich, Fuller, Peckinpah (che si pronunciava Peckinpho, come ci fece poi
scoprire) erano i suoi registi preferiti… Amori condivisibili, che
accomunavano, forse per identica sensibilità “rooseveltiana”, una parte
cattolica della sua generazione (che faceva riferimento alla curia e alla
Rivista del Cinematografo) alla fazione più cinefila più estrema del Movimento
studentesco, allevata a Tronti e Cinema & Film, Rossanda e Filmcritica,
Renato Nicolini e Giuseppe Turroni. Anche i più giovani, come Paolo Sorrentino,
da Fabio Fazio per festeggiare l’Oscar, se lo ricordava bene a Che tempo che
fa: “per me era una specie di idolo perché creava un’aspettativa sul film che
si andava a vedere”.
L’ho incontrato
spesso, Claudio G. Fava, in occasione di convegni, conferenze stampa e l’ho
intervistato molte volte al telefono per Hollywood Party, l’ultima poche
settimane fa. Era una presenza fissa, arguta e colta, quando si trattava di
rischiarare zone dimenticato del grande cinema di una volta. Ho anche
polemizzato con Fava, una volta sola. Tra i suoi difetti non c’era sicuramente
il ‘paternalismo terzomondista’. Ma quando si vantava di aver ben nascosto nei
cellari Rai, affinché nessuno mai li vedesse, “quegli orrendi film di
propaganda algerini, che dobbiamo accollarci solo per colpa di accordi
bilaterali tra aziende televisive pubbliche” trovai la battuta snob, gaullista
e poco divertente, perché in fondo i classici della rivoluzione firmati da Lakhdar
Hamina, Abderramaneh Bouguermouth, Assja Djebar, Azzedine Meddour e Mhamed
Bouamari non erano meno interessanti dei tanti film orientalisti, esotisti e
colonialisti stravisti (alla Beau Geste o alla Il bandito della Casbah) e,
censurati, subivano l’identica sorte di La battaglia di Algeri di Gillo
Pontecorvo in Francia…
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Alain Delon, Le Samourai di Melville (1967) |
Però. Non era
affatto vero che avesse "una di quelle caratteristiche facce inglesi che
viste una volta non si ricordano più", l'aforismo di Oscar Wilde che
campeggiava autoironicamente sul suo blog, pieno di recensioni eleganti (sul
Mereghetti e sul Morandini, i più recenti), note polemiche, divagazioni su papa
Bergoglio (definito con notevole perspicacia: ‘metà peronista, metà
borghesiano”), notizie necessarie (segnalava l’importante programma Storie di
cinema di Tatti Sanguineti, su Iris tv) e, da genoano ultras, una costante
attenzione alla cultura genovese.
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Il manifesto del film di Melville |
Claudio G. Fava,
scomparso improvvisamente nella notte nella sua Genova - dove viveva con la
moglie, la pittrice Elena Pongiglione - all'età di 83 anni, aveva piuttosto una
magnifica faccia da caratterista, ideale per i “noir”, il suo genere preferito,
anche nella versione francese, ‘polar’, di cui Jean-Pierre Melville fu il più
affascinante interprete. Al regista di I senza nome e Frank Costello faccia
d’angelo, Fava dedicò un magnifico saggio sulla Rivista del cinematografo del
1979, un indimenticabile omaggio in prima serata Rai2 e la retrospettiva
completa per France Cinema di Firenze, nel 1994, su invito di Aldo Tassone. La
Francia lo ha nominato, anche per questo, 'Officier des Arts et des Lettres'.
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Lino Ventura in Le deuxieme souffle (1966) di Melville |
L’americanismo di Melville lo intrigava, e spiegava
che consisteva “in un piacere minuto della frammentazione con cui egli articola
il discorso dei film, e che fa pensare a certi gialli post-bellici Usa. È
chiaro che i riferimenti visivi (come dire, antropologici e di luoghi) sono
profondamente francesi, a volte parigini come lo era lo stesso Melville. Il suo
amore per l’America è comunque ribadito da una delle sue opere più curiose, e
cioè Deux hommes dans Manhattan (in italiano contraddistinto da un titolo
come sempre eccessivo: Le iene del quarto potere). Girato a New York, in una
città buia e tutta da indovinare, è il massimo momento di devozione a
quell’America da lui sempre profondamente sognata come ideale alternativa”. La
personale tv di Melville, quasi rivoluzionaria per l’epoca comprendeva Il
silenzio del mare (1947); I ragazzi terribili (1950); Bob il giocatore
(1956). Li vedemmo per la prima volta.
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Claudio G. Fava e Francesca Fellini |
Ironico e pungente,
come Rui Nogueira, il critico e fondatore portoghese del ‘partito Melville’,
Fava, laureato in legge, ha iniziato la carriera al Corriere Mercantile (il
quotidiano a cui ha collaborato fino agli ultimi giorni). Giornalista
professionista dal 1961, è entrato alla Rai nel 1970, lavorando per la Rete Uno
e, in seguito, come capostruttura della Rete Due, programmando film, telefilm e
soap (Beautiful). Tra i suoi programmi Cinema di notte (con decine di cicli
dedicati a registi, attori, sceneggiatori e generi), Dolly, Set.
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Claudio G. Fava |
Presidente di
varie giurie internazionali e collaboratore di importanti festival, era esperto
di doppiaggio e aveva curato personalmente la riedizione di classici,
deturpati, proibiti o censurati in parte come Acque del sud, Il grande sonno
(di Hawks) e La guerra lampo dei fratelli Marx. Dal 1999 era direttore
artistico di “Voci nell’ombra” a Finale Ligure, il primo festival italiano
dedicato al doppiaggio cinematografico e televisivo. Si è cimentato come attore
in Ladri di saponette di Maurizio Nichetti, in televisione con Ombretta Colli
(Una donna tutta sbagliata) e in teatro con Giancarlo Sbragia e Mattia Sbragia,
su un testo di Guido Fink dedicato a Orson Welles. Come presentatore e ospite
ha preso parte a 5 programmi scritti per Raitre da Gloria De Antoni e Oreste De
Fornari (Perdenti, Infedeli, La principessa sul pisello, Pacem in terris e La
fonte meravigliosa).
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Star televisiva con Gloria de Antoni e Oreste de Fornari |
È stato insieme a
Rita Forte conduttore su TMC di 78 puntate della striscia preserale quotidiana
“Forte Fortissima!” di Cristina Crocetti. Dal 2006 è autore di un blog, in
collaborazione con Lorenzo Doretti, dal nome "Clandestino in
Galleria". Negli ultimi anni saltuariamente collabora con la televisione
privata ligure Primocanale.
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Jean Pierre Melville |
Ha raccolto le sue
recensioni e scritti in alcuni volumi (l’ultimo è Visto con il monocolo), è
stato autore di monografie dedicate ai pilastri del nostri cinema (Sordi, Fellini, Tognazzi)
e di testi letterari, come Tagliati al vivo (il tiolo si riferisce al
‘selvaggio’ taglio delle fotografie, in uso nei quotidiani e nei periodici). Il
31 marzo scorso ultima apparizione in pubblico per presentare il centesimo
numero della rivista dei critici cinematografici liguri Film Doc.
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Jean Pierre Melville |
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