Ahmed Assam, l'avanguardia di massa di piazza Tahrir |
E' incredibile quest'anno avere ben due documentari su 5 candidati al premio Oscar già nelle sale italiane. Il primo è ambientato in Indonesia e il secondo in Egitto. Sta cambiando qualcosa nella distribuzione, finalmente. E anche nel pubblico, più vispo, esigente e consapevole. The square, il film egiziano, in realtà sta girando in tutto il mondo in fermento, da Kiev ad Atene, da Tunisi a Damasco. Si vede in rete. In dvd. In Italia Feltrinelli lo dostribuirà così presto. Certo in Egitto non esce nelle sale, ma nessun documentario esce nelle sale. Non è che in questi anni abbiano fatto scorpacciate di Michael Moore o dei film di Abnoudi El Attiat...La censura di Mubarak non c'è più. Ci sono giornalisti in carcere. Al Jazeera, certo. Ma questo ha a che fare con il complotto di cui è accusato Morsi. Un colpo di stato organizzato a Doha dal Qatar....
Ahmed Assan, il protagonista di The Square |
Act of Killing di Joshua Oppenheimer resta il grande favorito per la statuetta, perché porta la narrazione a soggetto storico a un livello tragicamente surreale, coniugando Joris Ivens con Franco Maresco, il rigore e la provocazione, l'esattezza storica e la deformazione grottesca, i fatti con gli strafatti, nella messa in scena di uno dei crimini contro l'umanità meno pubblicizzato dai media: il massacro di più di mezzo milione di comunisti e democratici liberali in Indonesia nel 1965.
Khalid Abdalla e Aida el Kashef |
Piazza Tahrir, sempre pronta a riempirsi.... |
il manifesto del film di Jehane Noujaim |
Ahmed Assam in un momento di sconforto |
Ahmed Assam prima di uno scontro nel quale resterà ferito |
L'attore Khaled Abdalla |
La cineasta egiziana Jehane Noujaim |
Khalid Abdalla e la tenda di piazza Tahrir |
Ma questi buoni, rabbiosi anche se impauriti dalla repressione, hanno costretto il Faraone, violento fino alla fine, alla resa. Effettivamente il nuovo Faraone sarà peggio di lui. L'Egitto, la patria della danza del ventre, non può essere wahabita.
Jehane Noujiam |
Rami Essam |
Abbiamo già vissuto questa sensazione dolorosa e inebriante (il miracolo di un regime autoritario che si sbriciola) assieme ai tre ragazzi, una donna e un giovane rivoluzionario di sinistra, e un integralista che cerca di ragionare con la sua testa, scelti anche da Stefano Savona nel suo doc dell'anno scorso, Tahrir, per osservare le metamorfosi interiori della Storia, e rappresentare il pluralismo e le contraddizioni di un movimento che ancora non ha vinto ma certamente oggi non ha ancora perso.
Savona però aveva lasciato "la morsa" dopo la caduta di Mubarak. Qui si rimane anche dopo la caduta di Morsi. Ci sono sempre i militari, che comandano il paese, e succede dagli anni 50 del secolo scorso, e sarebbe ora che accettassero di ratificare una nuova costituzione che li metta al servizio del paese, e non alla loro testa.
La musica (un po' alla Philip Glass) è di H. Scott Salinas e Jonas Colstrup, ma raddoppia troppo, raggelando le emozioni, i sentimenti descritti (rabbia, gioia, tristezza...). Il montaggio a 10 mani è veloce e terrorizzato da lasciare qualche secondo vuoto, morto. Si ricorre come nel bel film di Maghed el Madi, egiziano d'Italia, adesso al lavoro su un film 'musicale' sulla seconda rivoluzione dopo I don't speak very good, I dance better, nei momenti di maggiore tensione e repressione, da Pierre Soufi, l'anziano anarchico capellone, il cui appartamento domina piazza Tahrir e che ha già ospitato tante troupe nazionali e straniere e protetto manifestanti inseguiti dalla polizia.
Dunque è un lavoro sui ragazzi di piazza Tahrir seguiti in questi ultimi tre anni con passione e ostinazione dalla cineasta egiziana che vive a Montreal, Jehane Noujaim, già autrice di Storm from the South (sulle prime elezioni in Kuweit) e Rafea: Solar Mama (2012) su una ragazza beduina che vive tra la Giordania e l'Irak (oltre a due lavori più americani, uno sulla start-up fallita di una compagnia di new media e l'altro sulla copertura nei media della guerra Usa-Urak).
Assieme a due operatori, e videocamera in spalla anche lei, spesso dando prova di notevole coraggio, la quarantenne cineasta non si è mossa dalla piazza e ha partecipato dall'interno alla rivolta permanente della moltitudine egiziana partecipando alla "prima rivoluzione"dell'11 febbraio 2011 e alla seconda rivoluzione per contestare il diritto, poco costituzionale perché democrazia è il rispetto delle minoranze, ad "imporre uno stato islamico".
Magdy Ashour con il figlio, anche lui fratello musulmano |
Manifestazione di cristiani copti |
Il produttore Karim Amer con la regista |
Nessun commento:
Posta un commento