domenica 23 febbraio 2014

The Square. Il libro Cuore contro tutti i despoti d'Egitto. Il primo film egiziano che potrebbe vincere l'Oscar

Ahmed Assam, l'avanguardia di massa di piazza Tahrir
Roberto Silvestri

E' incredibile quest'anno avere ben due documentari su 5 candidati al premio Oscar già nelle sale italiane. Il primo è ambientato in Indonesia e il secondo in Egitto. Sta cambiando qualcosa nella distribuzione, finalmente. E anche nel pubblico, più vispo, esigente e consapevole. The square, il film egiziano, in realtà sta girando in tutto il mondo in fermento, da Kiev ad Atene, da Tunisi a Damasco. Si vede in rete. In dvd. In Italia Feltrinelli lo dostribuirà così presto. Certo in Egitto non esce nelle sale, ma nessun documentario esce nelle sale. Non è che in questi anni abbiano fatto scorpacciate di Michael Moore o dei film di Abnoudi El Attiat...La censura di Mubarak non c'è più. Ci sono giornalisti in carcere. Al Jazeera, certo. Ma questo ha a che fare con il complotto di cui è accusato Morsi. Un colpo di stato organizzato a Doha dal Qatar.... 
Ahmed Assan, il protagonista di The Square


Act of Killing di Joshua Oppenheimer resta il grande favorito per la statuetta, perché porta la narrazione a soggetto storico a un livello tragicamente surreale, coniugando Joris Ivens con Franco Maresco, il rigore e la provocazione, l'esattezza storica e la deformazione grottesca, i fatti con gli strafatti, nella messa in scena di uno dei crimini contro l'umanità meno pubblicizzato dai media: il massacro di più di mezzo milione di comunisti e democratici liberali in Indonesia nel 1965. 

Khalid Abdalla e Aida el Kashef
Il New York Times, quando è morto Suharto, che a quel massacro dette il via, nelle due pagine dedicategli, non se ne fa cenno. Era un grande amico dell'America, no? Infatti a Giakarta i cattivi sono ancora oggi coccolati eroi nazionali. E si vantano pubblicamente delle loro gesta. E' come se in Italia gli autori della strage di Piazza Fontana e di piazza della Loggia e dell'Italicus, considerati salvatori della patria, venissero esibiti come super star a Sanremo. Oppenheimer, americano, vive a Amsterdam, infatti.

Piazza Tahrir, sempre pronta a riempirsi....
Quegli assassini non solo non sono infatti mai stati processati, ma si vantano anche in prime time di aver ripulito il paese dai rossi, per lo più cinesi di Sumatra (e sempre pronti a rifarlo in caso di necessità: sono tre milioni i paramilitari fascisti ben armati e addestrati) e si divertono nel film di Oppenheimer (che li stuzzica come da noi La Zanzara di Radio 24) a rievocare le loro gesta ricostruendo torture e sventramenti come se fossero grintosi come John Wayne in Berretti Verdi o blasé come Bogart in Il grande sonno. Davvero scioccante.

il manifesto del film di Jehane Noujaim
The Square (La piazza) di Jehane Noujaim è invece un reportage molto più tradizionale, nel soggetto e nel format (si rispettano le leggi dello standard da mercato internazionale, sviluppo cronologico, utilizzo di materiali da repertorio, interviste, etc...) che sceglie però il punto di vista della strada insorgente per raccontarci cosa sta accadendo in Egitto attraverso la radiografia dell'anima dei ribelli. Bellissimi murales, affidati 'live' al graffitista  Ammar Abo Bakr, illustrano via via gli avvenimenti  in corso e indicano chiaramente chi sono stati i mandanti della rivoluzione. Artisti. Giovani rapper. Musicisti heavy metal. Ragazze oppresse dalla morale corrente, integralista o meno. La parte di popolo vitale e attiva che ha trascinato dietro di sé tutto il paese. E che gli ha restituito una sua caratteristica dimenticata: la cultura della protesta.

Ahmed Assam in un momento di sconforto
Il film non ha bisogno così di inquadrare i fatti all'interno dello scenario politico tradizionale o internazionale, e si rifiuta di spiegare meglio e di mettere in prospettiva gli avvenimenti (il ruolo del Qatar, che finanzia i Fratelli musulmani; dell'Arabia Saudita, che appoggia salafiti e al Sisi; degli Usa, che tardano a comprendere le ragioni del movimento, anche Hillary inizialmente appoggia Mubarak...). E non menziona volutamente  neppure il ruolo di alcuni leader politici della rivolta, come El Baradei, considerandoli evidentemente marginali. Anche se - siamo in epoca skype - i protagonisti del film, gli eroi 'dal basso' della rivolta, ci parlano direttamente e costantemente negli occhi. 

Ahmed Assam prima di uno scontro nel quale resterà ferito
Ci sono i buoni, idealisti e disarmati, che sono il fiore di quella moltitudine invincibile: "una tenda e una coperta possono risolvere tutti i problemi", rappresentati da alcuni giovani rivoluzionari della piazza: Ahmed Assam, il più lucido e consapevole ("i ricchi non vogliono la libertà, perché ce l'hanno già"), ha un futuro politico assicurato; il 'fratello musulmano' e barbuto Magdy Ashour, sulle barricate fin dal primo minuto, anche disobbedendo agli ordini dei suoi superiori, pii ma opportunisti; l'attore Khalid Abdalla che è arrivato da Londra e si occuperà di intervenire su Cnn e coordinare l'ufficio propaganda e informazione per controbattere in rete, e con abilità, le bugie mediatiche del potere; Rami Essam, il musicista e cantante; Aida El Khasef, una ragazza molto combattiva e indomita; l'avvocatessa Ragia Omran, che cura gli interessi delle famiglie delle vittime...

L'attore Khaled Abdalla
La forza per resistere e crescere, nonostante un nemico pesantemente armato, spalleggiato da spie e teppisti, nasce dalla lotta stessa e dal fatto di non avere nulla da perdere: "Per la prima volta in vita nostra non siamo stati messi a tacere". Si danza e si canta in piazza. "Le risate e il canto, in Egitto, vengono solo dal cuore". Si urla per i proiettili e per le botte, anche. Un cantante folk-rock viene arrestato e torturato dalla polizia segreta, dopo il primo sgombero. Ma tornerà a cantare quando Tahrir sarà rioccupata, contro le bugie dei militari che anticipano le elezioni per non voler riscrivere una costituzione che impedirebbe ai fratelli musulmani di presentarsi. Un accordo segreto tra i 'partiti forti' viene subito combattuto con un nuovo tumulto. Ancora in piazza. Siamo nell'autunno 2011. Si aizza all'eccidio dei copti cristiani. I militari si scatenano contro le manifestazioni delle minoranze religiose. Un massacro. Proiettili veri. Blindati sopra i corpi schiacciati dei manifestanti.  

La cineasta egiziana Jehane Noujaim
Già, ci sono i cattivi, i corrotti, armati fino ai denti, schiaffati dal film soprattutto nel fuori campo, tranne qualche generale ridacchiante, intervistato in automobile o negli intervalli degli scontri. O Mubarak che in tv, prima di arrendersi, aveva lanciato una profetica minaccia: "Ho paura che i giovani che chiedono il cambiamento, saranno i primi a subirne le conseguenze". Allude al fascismo fondamentalista, che presto entrerà prepotentemente padrone del campo.

Khalid Abdalla e la tenda di piazza Tahrir
I buoni sono quelli che hanno riempito coraggiosamente e pacificamente la piazza per esigere la fine dello stato di emergenza imposto per 30 anni al paese da Mubarak (il cui partito è membro dell'Internazionale socialista) per abusare meglio di una democrazia non rappresentativa, limitata e imperfetta. E opprimere il popolo. 

Ma questi buoni, rabbiosi anche se impauriti dalla repressione, hanno costretto il Faraone, violento fino alla fine, alla resa. Effettivamente il nuovo Faraone sarà peggio di lui. L'Egitto, la patria della danza del ventre, non può essere wahabita.

Jehane Noujiam
Sono gli stessi, la moltitudine insorta che agiva all'unisono, come se fosse un solo corpo, o un solo pugno anche nei film nasseriani di Yussef Chahine, che così cacciano poi dopo la 'più grande manifestazione di piazza della storia umana' anche il Secondo Faraone, il presidente eletto al 51%, Morsi (finanziato dal Qatar) e i Fratelli musulmani, saliti al potere approfittando delle concessioni che Mubarak gli aveva fatto negli ultimi anni (rendendoli responsabili di scuola e sanità) e di una legge elettorale senza garanzie costituzionali. Protagonisti infine di una ennesima svolta autoritaria, ancor più plateale e spudorata di quella di Mubarak. Anche con loro, dice una canzone, "i corrotti vanno avanti"....

Rami Essam
Jehane Noujaim segue gli avvenimenti, cronologicamente impaginati, dando raramente la parola ai militari o agli integralisti islamisti anche perché, quando se la prendono - in tv -  fanno davvero paura. Si partecipa, dall'interno, alla lotta per la libertà, la giustizia sociale, il pane e la dignità al Cairo e nell'intero paese. E anche alla repressione sanguinosa. Al carcere, alle torture, ai raid dei blindadi di al Sisi che sventrano teste e corpi dei copti, ai funerali dei rivoluzionari...Morsi vinte le elezioni ha cucito la costituzione sull'Islam. Pensa più alla sharia che a dare ai lavoratori una assistenza sanitaria garantita che, visto la situazione epidemologica del paese, e le sue responsabilità sarebbe proprio indispensabile. Nell'inverno 2013 Morsi si attribuisce superpoteri che neanche Mubarak e Nembo Kid. Il regime social-fascista militare di Mubarak viene così sostituito dal regime falangista (cioé finot religioso) di Morsi. Il popolo torna in piazza  nell'estate 2013 e l'esercito è costretto a intervenire. Morsi viene deposto e arrestato per complotto contro lo stato.

Abbiamo già vissuto questa sensazione dolorosa e inebriante (il miracolo di un regime autoritario che si sbriciola) assieme ai tre ragazzi, una donna e un giovane rivoluzionario di sinistra, e un integralista che cerca di ragionare con la sua testa, scelti anche da Stefano Savona nel suo doc dell'anno scorso, Tahrir, per osservare le metamorfosi interiori della Storia, e rappresentare il pluralismo e le contraddizioni di un movimento che ancora non ha vinto ma certamente oggi non ha ancora perso. 

Savona però aveva lasciato "la morsa" dopo la caduta di Mubarak. Qui si rimane anche dopo la caduta di Morsi. Ci sono sempre i militari, che comandano il paese, e succede dagli anni 50 del secolo scorso, e sarebbe ora che accettassero di ratificare una nuova costituzione che li metta al servizio del paese, e non alla loro testa.

La musica (un po' alla Philip Glass) è di H. Scott Salinas e Jonas Colstrup, ma raddoppia troppo, raggelando le emozioni, i sentimenti descritti (rabbia, gioia, tristezza...). Il montaggio a 10 mani è veloce e terrorizzato da lasciare qualche secondo vuoto, morto. Si ricorre come nel bel film di Maghed el Madi, egiziano d'Italia, adesso al lavoro su un film 'musicale' sulla seconda rivoluzione dopo I don't speak very good, I dance better, nei momenti di maggiore tensione e repressione, da Pierre Soufi, l'anziano anarchico capellone, il cui appartamento domina piazza Tahrir e che ha già ospitato tante troupe nazionali e straniere e protetto manifestanti inseguiti dalla polizia. 


Dunque è un lavoro sui ragazzi di piazza Tahrir seguiti in questi ultimi tre anni con passione e ostinazione dalla cineasta egiziana che vive a Montreal, Jehane Noujaim, già autrice di  Storm from the South (sulle prime elezioni in Kuweit) e Rafea: Solar Mama (2012) su una ragazza beduina che vive tra la Giordania e l'Irak (oltre a due lavori più americani, uno sulla start-up fallita di una compagnia di new media e l'altro sulla copertura nei media della guerra Usa-Urak).  

Assieme a due operatori, e videocamera in spalla anche lei, spesso dando prova di notevole coraggio, la quarantenne cineasta non si è mossa dalla piazza e ha partecipato dall'interno alla rivolta permanente della moltitudine egiziana partecipando alla "prima rivoluzione"dell'11 febbraio 2011 e alla seconda rivoluzione per contestare il diritto, poco costituzionale perché democrazia è il rispetto delle minoranze, ad "imporre uno stato islamico". 

Magdy Ashour con il figlio, anche lui fratello musulmano
La parte più interessante del film naturalmente è l'evoluzione del personaggio islamista, Magdy. Padre di due bambini, amico d'infanzia e di strada di Ahmed, di cui conosce e rispetta l'onestà e integrità, ferito negli scontri, rivouzionario dalla prima ora, eppure non può a un certo punto non schierarsi con il capo della sua organizzazione verticistica e leaderistica, Morsi, a cui ingenuamente crede, considerandolo l'unico uomo politico capace di portare una democrazia effettiva e non formale in Egitto, facendone uno stato religioso. 

Manifestazione di cristiani copti
Anche se resta contrario ai metodi violenti con i quali gli integralisti cercano in un primo momento di sradicare con la forza le tende dei manifestanti. Per tutto il film porta una t-shirt con su scritto Boicottate Israele! Eppure sua madre, tutta vestita di nero come Belfagor, gli dà una lezione politica e etica. A un certo punto, si parla di rendere gli egiziani padroni della propria libertà, dichiara: "Vorrei solo un uomo per bene che governi secondo giustizia. Non mi importa se si chiama Mubarak o Morsi. E neanche se è ebreo".

Il produttore Karim Amer con la regista
Possiamo fidarci di Ahmed. Finchè c'è lui in piazza abbiamo una bella garanzia democratica. E' un ventenne saggio. Contro chi, disfattista, crede che lo slancio della rivoluzione sia finito e che i militari torneranno a poco a poco a decidere tutto (già i poster di al Sisi giganteggiano in tutto i locali pubblici...) risponde negativo. "La più grande e irreversibile conquista della nostra rivoluzione è che i bambini adesso hanno scoperto un gioco bellissimo. Si chiama PROTESTA."

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