di Roberto Silvestri
E' proprio
come gesto comico "puro", che il calciatore Amarildo e lo storico del calcio Claudio Mello e Sousa
riassumono la qualità chapliniana e da Marx brothers del dribbling di Mané
Garrincha, asso del Botafogo, l'uomo che regalò al Brasile i suoi primi
mondiali di calcio, nel '58 e nel '62.
Buffo, la maglia del Botafogo è bianca e
nera a strisce verticali. Copiata dalla Juve, che stava nascendo proprio mentre il filosofo Friedrich Nietzsche gironzolava nella piazza del teatro Carignano...
Garrincha che, in
cambio della coppa Rimet quasi definitivamente strappata a tedeschi e italiani dopo l'uno due 1958 in Svezia e 1962 in cile, non
volle accettare la villa offertagli dal governatore dello stato di Rio, regalo previsto per tutti i giocatori verde-oro vincenti, ma pretese
che si liberasse, e subito, un uccellino che era lì in gabbia, nelle stanze dei
potenti.
Lui che, nato poverissimo, vero nome Manoel Dos Santos, veniva soprannominato garrincha, cioé
"uccellino tropicale", un passerotto che si chiama anche cambaxirra, nomignolo che gli resterà incollato per tutta la vita, perché si muoveva con due gambe che non sapevi
se fossero due gambe destre o due gambe sinistre. I medici analizzarono a lungo quelle gambe, e quel ginocchio che non aveva eguali. Molte idee di spostamento vacillante gliele dava anche l'alcool e la droga. Non sempre fa male. Dipende dalle persone, no? Se avesse dato retta ai medici, poi....
Garrincha e Nilton Santos |
"Questo ragazzo non potrò mai giocare a calcio"...etc. ” E scrivevano nei referti: "…il giovane è affetto da un leggero strabismo, ha la spina dorsale deformata, uno sbilanciamento del bacino, sei centimetri di differenza in lunghezza tra le gambe; il ginocchio destro affetto da varismo mentre il sinistro da valgismo nonostante un intervento chirurgico correttivo. Per via di tale malformazione — dovuta probabilmente alla poliomielite o alla malnutrizione — il giovane Manoel Francisco dos Santos è dunque dichiarato invalido, e gli è assolutamente sconsigliata ogni tipo di attività fisica agonistica, come il calcio”.
A 12 anni lascia la scuola. A 16 entra in fabbrica (tessile). Dribla capetti, orari di lavoro e tempi di produzione. E' già una avanguardia di lotta. Non sopporta la disciplina e lo sfruttamento. Ma diventa l'idolo della squadra aziendale. E quando lo licenziano per giusta causa (rifiuto totale del lavoro salariale) viene chiamato al Cruzeiro do Sul di Petrolis e, dopo un anno gioca nel Serrano. Il sui dribbling diventa leggenda. Ne sa qualcosa Nilton Santos che se lo trova contro per un provino al Botafogo.....
Ed ecco che anche con il mostro sacro usa la sua finta vincente: sempre la stessa azione, dribbling sul sinistro
"sciancato" della sua gamba poliomelitica, scambio destro-sinistro e
partenza col destro a evitare l'intervento del difensore che finiva
regolarmente per farfalle o con il culo per terra. Poi il cross dal limite e qualche anno dopo
Zagalo, Amarildo o "Vavà Didì, Pelé" a mettere dentro. Senza fare
nulla. Aspettando. Non che col tiro se la cavasse male. 232 gol in 581 partite. Con Pelè al fianco la nazionale del Brasile epoca 1958 1962 e oltre non perse mai. 35 vittorie e 5 pareggi.
Perché Garrincha era il calcio. Inteso come hobby, puro divertimento, non professione "da fabbrica". Tra una danza e l'altra. Agli altri, anche ai tifosi
avversari, non si poteva certo negare il piacere di vederlo divertirsi con la palla. Quasi gratis. Morì
poverissimo come un barbone.
Presentato e fortemente voluto dal produttore Marco Giusti, che lo ha finanziato
per Raidue, è arrivato in Italia al festival di Torino 2001 ed è stato programmato in tv (speriamo che lo facciano rivedere) il lungo documentario Garrincha, firmato dall'ex
calciatore del Fluminense e "stil novista" Paulo César Saraceni, origini italiane e per tanti anni in Italia, amico di Sandro Franchina e di Marco Bellocchio. Che lo ha voluto
realizzare, anche in omaggio al collega del "cinema novo" Joaquim
Pedro de Andrade, come un sequel di Garrincha: Alegria do povo.
Molte immagini sono dello stesso direttore della fotografia, Mario Carneiro. I materiali di repertorio sono stati scovati negli archivi brasiliani e italiani. Le testimonianze dei grandi
giocatori del passato e di storici del calcio (Nilton Santos, Vavà, Amarildo,
Alfonsinho, Claudio Mello e Sousa) replicano le interviste di Joaquim Pedro de Andrade ai colleghi dell'epoca d'oro, Zagallo, Jairzinho e Manga.
Il regista Joaquim Pedro de Andrade |
Ma qui non si parla solo della provenenza povera, delle origini operaie (e piuttosto indocili in fabbrica) e dell'ascesa di un mito calcistico assoluto,
come nel film di de Andrade. Ma anche dell'improvvisa caduta e della morte prematura, a 50 anni, colpa della cirrosi epatica, nel 1983,
della più grande ala destra del secolo scorso.
il regista Paulo Cesar Saraceni |
Garrincha, dopo il ritiro dai campi di gioco,
cercò, proprio in Italia, di "rinascere" come accompagnatore della sua
adorata seconda moglie, una star del samba, Elsa Soares, sfiorando la
"dolce vita" romana ma, messo in secondo piano, sprofondò via via nella disperazione più totale.
Il
film dunque è un po' schizzato, diviso in due, e i materiali di repertorio italiani, dal Musichiere
ai programmi di Renzo Arbore, e le testimonianze (di Bracardi, Bardotti, Minà...) fanno un po'
la figura di Garzena, Emoli, Cervato e Colombo quando erano ubriacati dall'idolo del
Maracanà, dall'antenato di Donizete. Pensiamo a Mario Riva e al suo
spiritosissimo spagnolo maccheronico usato per salutare a distanza Altafini (che
lui chiama Mazzola) e compagni...
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