domenica 15 giugno 2014

I fratelli Dardenne e la fine della solidarietà operaia. Cannes a Roma e a Milano. Due giorni, una notte.

Marion Cotillard in Due giorni una notte dei fratelli Dardenne

di Roberto Silvestri 

Non sappiamo se per il fatto di aver conquistato numerose medaglie sulla Croisette, i fratelli Dardenne siano i migliori cineasti del mondo. Ma si può affermare, a differenza di quel che scrive il loro più implacabile nemico - ma è francese, pieno di pregiudizi, Eric Neuhoff (il critico di Le Figaro) - che, novelli muckrekers, indagatori delle schifezze del mondo, i due fratelli valloni siano diventati gli idoli dei cinema d'essai. Perché toccano sempre con il loro scrutare inquietante i punti più deboli e maleodoranti del Mito Europa. 

L'emigrazione e la disoccupazione, la disperazione dei più giovani e il "no future" degli zombies metropolitani, il supersfruttamento delle donne e ogni tipo di marginalità, lo sfaldamento della famiglia, la droga utilizzata come arma anti-sociale... E la loro ricetta “fiction non fiction”, fiabe morali raccontate come se fossero documentari-verità, o cinema diretto, è originale e molto apprezzata da chi cerca al cinema più del pop corn caldo e di una gioiosa, rassicurante visione dell'esistenza. Ma non tollera prediche o monologhi calati dall'alto. 

I fratelli belgi Dardenne non sono militanti politici né boyscout. Si identificano con i loro personaggi. Anzi è come se entrassero nella loro testa, nei loro corpi. Cervello e immaginazione. Infatti. La cinepresa, ineducatamente a ridosso di nuca, è la loro griffe umoristica rinomata, di origine controllata. Certo introdursi nelle parti basse del mondo senza dare consolazione populista, non è giocare alla ricreazione.

 “Il cinema è la vita senza noia”, affermava Hitchcock, e Psycho confermava. “Il cinema è noia, senza la vita”, la disperazione tel quel, la bruta lotta per la sopravvivenza, precisano i fratelli Dardenne davanti a un mondo che è catastroficamente peggiorato dall'epoca Hitch, visto che oggi perfino i comici hanno contratto il virus della rabbia. Anche nel Belgio, zona Liegi, francofono. 

Dimostrazione? Rosetta, la sedicenne licenziata, con madre alcolista che si prostituisce, eppure non demorde; L'Enfant, ovvero vendersi il figlio neonato per pagare i debiti; Le silence de Lorna, la giovane albanese sposa un eroinomane mafioso, sperando che poi crepi di overdose per conquistare la nazionalità belga; Le Gamin au vélo, un biondo teenager delle bandlieu cerca il padre che non vuole saperne di lui (non si capisce bene perché con tanta foga)...In fondo il loro cinema piace perché è un cinema del “non”. No. Non si può andare avanti così. Non cercano i Dardenne. Danno una risposta. E la risposta è. Preferire di no. Così non va.



Negli ultimi tempi quello che ha più interessati i Dardenne, amici e compagni di Laurent Cantet, è infatti la fabbrica. Quel che sta succedendo nelle ex roccaforti della difesa sociale contro lo strapotere padronale. Perché e come si stia sfaldando la composizione e la coscienza di classe. Le macerie, perfino morali (pensate all'Ilva) lasciate dopo l'attacco al fronte unito sindacale, soprattutto nelle aziende più piccole. La delocalizzazione all'estero. Il toyotismo, la lavorazione robotica computerizzata, ha reso non solo l'operaio distante e ostile al suo vicino e nemico di se stesso, ma affetto da una serie di micidiali micro o macromalattie fisiche, nervose e mentali che i sistemi di lavorazione MTM-1, TMC-1 e TMC-2 , hanno decuplicato rispetto alla catena di montaggio. 

Senza considerare lo sradicamento dei quartieri operai, la chiusura dei bar proletari, dei cinema di terza visione, dei negozi di quartiere schiacciati dalle catene, che hanno disgregato nel territorio compagni di lavoro un tempo solidali e che oggi a malapena si conoscono, anzi istintivamente si detestano. Mors tua vita mea. Tranne a Taranto dove la morte è una prospettiva collettiva. 

E' questo lo sfondo, il non detto ben visibile raccontanto in Due giorni, una notte (Deux jeurs, une nuit), il nuovo, geometrico, ripetitivo, seriale incubo dei Dardenne. Sandra, aiutata dal marito cameriere, e da una Ford Fiesta, due bimbi piccoli da far crescere, ha solo un week end per convincere i suoi 15 compagni di lavoro a bloccare il suo licenziamento e a rinunciare a un premio di 1000 euro, bonus che fanno gola a tutti.  Deve trovare sulle pagine gialle e sul computer gli indirizzi e i numeri di telefono dei suoi compagni di lavoro che già, in un primo turno di votazioni hanno decretato la sua cacciata. 

Per fortuna il misericordioso padrone concede un referendum riparatore. Il primo è stato frettoloso e falsato da allarmismi e panico diffusi ad arte. “Ho bisogno di quei soldi, anche se capisco che 1000 euro vi fanno gola. Ma lunedì, votate per me”. Lo stesso discorso a tutti. “Mi sento una mendicante” confesserà al marito. Solidarietà elegante di classe o barbaro egoismo? 

I fratelli Dardenne e Marion Cotillard a Cannes
Chi vincerà? Ciascuno dei compagni, donne uomini vecchi giovani maghrebini... reagisce diversamente a Sandra, che si impasticca continuamente, per non mettersi a piangere. C'è chi chiede scusa per aver votato contro di lei e assicura la sua lealtà. Chi si nasconde dietro il marito o la moglie. Chi cerca di prenderla a pugni. Chi è terrorizzato, un immigrato africano, per esempio, poi rassicurato dal voto segreto. Un tempo avrebbero preso il direttore di fabbrica e, buttatolo giù dalla finestra, avrebbero autogestito l'impianto. Ma adesso non si può. 


La globalizzazione impedisce il controllo internazionale del ciclo di lavorazione. Dunque Sandra, che esce da una depressione clinica, causata dai modi di produzione, ma utilizzata per farne il capro espiatorio del giochetto sadico padronale, è esposta alla gogna. Ne uscirà mantenendo la sua dignità e quella di tutta la classe operaia? Certo. Lei è Marion Cotillard. Jeans e canottiera arancione. Imbruttita al massimo, occhiaie sottolineate. Eppure basterebbe spostarla al reparto marketing e i profitti aumenterebbero di colpo.....Anche senza fard.

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