domenica 15 giugno 2014

"Sils Maria" di Olivier Assayas, un road movie tra le macerie della vita. Dopo Cannes proiezioni speciali a Roma e a Milano.


di Roberto Silvestri 

Olivier Assayas
Cosa distingue il cinema di viaggio, o di inseguimento, insomma Il gior nel mondo in 80 giorno o Punto zero, dal road movie? Nel road movie è il paesaggio che diventa il protagonista principale, e divora via via i viaggiatori che vorrebbero goderne e attraversarlo dominandolo. Lo spazio e il tempo, invece, non sono più il loro spazio e il loro tempo. La trasformazione, la mutazione si avvicina... Easy rider, e prima ancora il capostipite del genere, Il sorpasso, sono road movie. La moto o la macchina o il treno di Sulla strada diventano protesi della natura.


Engadina
Ma contemplare il passato e il presente di un paesaggio, soprattutto con rovine, provoca la vertigine del sublime. Questo film, Sils Maria, diviso in due atti ed un epilogo, inizia come un tranquillo film di viaggio in Engadina, anche se proprio quel villaggio di Sils Maria, “a 2000 metri sul livello del mare, e molto più in su di tutte le cose umane” dettò a Nietzsche il mito dell'eterno ritorno.



E', nel racconto dell'autore, il viaggio di se stesso regista, il francese Olivier Assayas, con una attrice-star, la connazionale Juliette Binoche, non più giovanissimi ma con la quale, giovanissimo, iniziò la carriera e condivise il successo e vuole oggi ripercorrere quel tragitto antico comune, prendendo a pretesto un allestimento teatrale in fieri da preparare in uno chalet di montagna.


In realtà il viaggio è per i sentieri aspri, sterrati, e a volte interrotti, della memoria, con i suoi lati triviali, rimossi, coriacei. Macerie pericolose da rivoltare. Si può rivivere l'innocenza  della giovinezza, quando si scoprì il mondo per la prima volta? Oppure vincerà la sensazione di essere ormai fuori dal tempo, di non comprendere più il mondo che ci circonda? 

E' così che un film di viaggio, da “turisti per caso”, si trasforma in un road movie spirituale e anche in una meditazione sull'arte, sulla possibilità del cinema di riprendere anche l'invisibile: “Che tutto ritorni senza fine è l'estremo incontro del mondo del divenire con il mondo dell'essere: la punta più alta della meditazione”. Nietzsche, appunto.


Ma partiamo dall'inizio.


Juliette Binoche
Che cosa hanno in comune Ingmar Bergman, il cinema di Hong Kong e Kenneth Anger, l' angelo decaduto del pianeta underground? Sono proprio l'oggetto di studio teorico principale di Olivier Assayas, il raffinato critico dei Cahiers diventato sceneggiatore, regista e autore dal 1986 di una dozzina di film “a parte”, difficili da ordinare e raggruppare stilisticamente ma fluidi, cinefili, autobiografici e affascianti: Après Mai L'eau froide, Irma Vep, Carlos, il documentario su Hou Hsiao Hsien...


Kristen Stewart, Assayas, Chloe Grace Moretz e Binoche a Cannes
Le sue opere aperte, dalle immagini superbe, che si possono leggere, a secondo della ricezione, come fumetti, commedie o tragedie, non sono mai noiose o ermetiche, nonostante uno sfoggio di sostanza conoscitiva, visuale, esistenziale, politico-culturale, sempre densa e poderosa. Questa volta, addirittura debordante. 

Kristen Stewart
Sils Maria, che ha chiuso con successo la competizione di Cannes 2014, è una partitura “per sole donne e montagne alpine”. Sarebbe piaciuto a Robert Aldrich che alternava film per soli uomini (La sporca dozzina, L'ultimo imperatore, Quella sporca ultima meta...) a film per sole donne (All the murbles, Che fine ha fatto Baby Jane, Piano piano dolce Carlotta...). E le tre attrici che si incontrano e scontrano sulle vette nietzschiane sono: Juliette Binoche, la diva; Kristen Stewart (la sublime vergine-vampira della saga Twilight), nel ruolo della sua assistente preziosa e charmant, e Chloe Grace Moretz (Carrie 2 e Hugo Cabret), in quello del nuovo idolo dei ragazzini e futura 'annientatrice' della diva. Altrettanto brava ed erotica. 

Assayas e Binoche si conobbero nel 1985, all'epoca di Rendez vous. scritto da Assayas per Techiné. E continuano a palleggiare emozioni, strizzatine d'occhio ed esperienze. Ma faranno incursioni, più o meno discrete, nel film anche: il mito dell'eterno ritorno di Nietzsche anche nella versione “blockbuster di fantascienza hollywoodiani”; le dense armonie settecentesche di Georg Friedrich Haendel e Johann Pachelbel e il rock; lo stile e le tecniche di recitazione europee e americane; i paparazzi “assassini” e lo star system preadolescenziale di oggi e di Eva contro Eva (ovvero come scalzare dal loro piedistallo i grandi maestri e prenderne il posto, e viceversa, come impedire alle giovani generazioni di ripetere gli stessi errori di presunzione, arroganza e cinismo delle precedenti). Wenders, Fassbinder e Herzog e perfino un classico muto del filmaker tedesco, poi nazista, Arnold Frank, pioniere del cinema di montagna. 

Nel 1924 Arnold Frank filmò Le phenomène nuageux de Moloja: 14 minuti  (ne restano 9) sul famoso “serpente di nuvole” che si forma in Engadina, durante l'autunno, sul colle Maloia, per l'aria umida che si alza dai laghi italiani e avanza sulle Alpi disegnando un lungo pitone che striscia nell'aria. Girato quasi tutto tra l'Alto Adige e le Alpi svizzere, e racchiuso tra il fenomeno filmato nel 1924 e  lo stesso fenomeno filmato a colori da Assayas per l'occasione, infatti, Sils Maria racconta la storia di una attrice, Maria Enders (Binoche), diventata famosa a 18 anni per aver interpretato a teatro il ruolo di Sigrid, ambiziosa e affasciante ventenne disposta a tutto per il potere, che conduce al suicidio la più matura Helena, che le si mette naturalmente di traverso. Una tragedia d'ufficio. 

Vent'anni dopo Maria Enders è stuzzicata dalla possibilità di tornare a solcare le scene, interpretando proprio il ruolo della suicida, Helena. “Lo faccio? Non lo faccio? Siccome devo tutto all'autore di quel dramma, che poi fu il film che mi lanciò, lo farò”....Il film racconta la lunga marcia di avvicinamento a quel testo e a quel ruolo così ostile, scritto da un drammaturgo amato e appena morto, Wilhelm Melchior,  l'ambiguità nell'interpretazione dei due personaggi, complessi e ricchi di sfumature e intenzioni, l'incrocio di sensibilità tra attrice matura e attrice giovane e tra Marie e la sua collaboratrice segretaria, Valentine (Stewart) che studiano insieme il copione, nello chalet incantato dell'Engadina, prestatole dalla vedova di Melchior (Angela Winkler che, assieme a Hans Zischler, segna il passaggio non casuale, nel film, del “nuovo cinema tedesco”). 

Il film si può anche interpretare come un tributo commuovente a chi restò fedele per tutta la vita all'adolescenziale modo di intendere il mestiere di produttore cinematografico come colui che mette caos nell'ordine. All'anarchico pestifero (qui coproduttore tedesco per la Pandora) Karl Baumgartner. Detto Baumi. Morto poco tempo fa e che ha lasciato un vuoto incolmabile nel cinema europeo di ricerca e sperimentazione di altri piaceri.

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