mercoledì 6 luglio 2016

I 5 preti (cristiani) piu' sexy della storia del cinema

di Roberto Silvestri e Mariuccia Ciotta *

La madre non e' solo il capolavoro di Pudovkin. E non e', esplicitamente, un horror, anche se il titolo e' identico a quello di uno splatter uscito nel 2013 e prodotto da Guillermo Del Toro. E non e' neanche Mia madre di Nanni Moretti. E' invece quasi il remake di Proibito, un melodramm rusticano del 1954 nonche'  l'opera prima di Mario Monicelli, distribuito da Raicinema due anni fa. E' un film sulla tensione erotica, dunque intrisa di istinti di morte e vitalissimi sensi di colpa, tra un giovane prete bello e innamorato, ma non solo di dio, e Agnese, una donna ricca e bellissima (erano Mel Ferrer e Lea Massari nella versione degli anni 50) che ama quel prete irraggiungibile. Non basterebbe la fine del celibato e permettere il matrimonio etero e omosessuale ai sacerdoti cattolici? Non e' cosi' semplice. Anche se eviterebbe una serie di orribili violenze e altri crimini che stanno distruggendo la reputazione della chiesa di Roma. Comunque. Insegna la saga Twilight che piu' l'oggetto del desiderio e' inarrivabile e proibito, sia esso un prete cattolico o un vampiro o un nuovo coniuge (adesso la Chiesa tollera il divorzio, ma raccomanda astensione sessuale totale), piu' la passione si scatena.... La Madre in questo caso - niente incesto, non e' l'amante del Padre
inteso come prete - e' il terzo personaggio di un quartetto passionale freudiano tipico (l'altro e' Dio), cioe' proprio la mamma del sacerdote, che vigila, anche troppo, gelosissima - ma e' un fardello della cultura latina - affinche' lui non devii (troppo) dalla retta via. Ma altre ombre complicano la scena. Si puo', pero', delocalizzare e rendere metafisico, quasi astratto, un testo sanguigno e passionale, radicato cosi' profondamente in una terra e in un tempo specifico e speciale come la Sardegna di un secolo fa? Per farlo bisognerebbe ritrovare un tessuto di situazioni e di personaggi tipici, e sganciarsi dal maschilismo post grande guerra, contro cui il romanzo a cui si ispira il film, gettava
invettive, sarcasmi e maledizioni. Non e' facile. Ma e' la scommessa, anzi la missione impossibile, del regista del film, Angelo Maresca, marito dell'ex Monella Debora Caprioglio, ora molto pia, ci assicura, che per la sua opera prima (presentata al Taormina Film Festival 2014) non ha scelto, come il mercato impone, di misurarsi con la commedia giovanilistica, frivola e scanzonata, ma addirittura con un dramma della fede. E' vero che, grazie a papa Francesco, e' diventato di moda il film di argomento religioso, trattato anche con una certa non chalance. Da Si accettano miracoli, di Alessandro Siani, a Il Paradiso per davvero, di Randall Wallace, con un pastore protestante allibito davanti al figlioletto che, uscito dal coma, racconta com'e' il
Paradiso, con dovizia di particolari davvero conturbanti (ma non di numeri da giocare al lotto); e dalla miriade di film prodotti in Usa dai fondamentalisti cristiani a La ricostruzione dell'argentino Juan Taratuto, dove quel che si ricostruisce, nella tierra del fuego, e' l'identita' e la serenita' di un vedovo in frantumi, diventato odioso e poco racccomandabile, perche' ha perso l'adorata moglie, dopo 3 anni di agonia per cancro, e l'artefice di questo trionfale miracolo e' una famiglia “normale” che lo adottera', perche' solo la famiglia normale e' alla base del consesso umano e che senza di lei c'e' il vuoto, il gelo, il nulla e l'abisso.
Testo di partenza e di ispirazione del film di Monicelli e di Maresca, invece, e' La madre, il romanzo, adorato da D.H. Lawrence (verista o decadentista? Il dibattito prosegue) della scrittrice sarda, e premio Nobel 1926 (proprio quando Pudovkin giro' la sua Madre), Grazia Deledda. Ci immaginiamo faide di famiglia nel nuorese, canne al vento, bordelli alla Cipri' e Maresco e il melodramma
fiammeggiante, che sempre di un amore impossibile e insaziabile tratta, e invece ci troviamo in piena asettica Roma di oggi, davanti all'architettura algida dell'Eur fascista e razionalista, statue virili e nude, ma che piu' vestite di sentimenti patriottici e di vettismo spirituale di cosi' non si puo' (se non a Pretoria, durante l'apartheid). Il film potrebbe essere muto. Pochi i dialoghi. Ma questo lo collega a Deledda, e al cinema dei suoi tempi. Vittorio Omodei Zorini, il direttore dell fotografia (20 sigarette) affonda l'Eur (spazio fantasy per eccellenza di Petri e Antonioni, Fellini e Titus) dentro un impasto azzurro-argento che trafigge le ossa come le melodie minimaliste e isteriche in cerca di
quiete di Francesco De Luca e Alessandro Forti, e come si faceva nel cinema muto per indicare un esterno giorno rassicurante. E anche l'appartamento di Agnese e la chiesa di don Paolo (dello scenografo Massimiliano Nocente) sono cosi', trasparenti, tutte vetrate e aperture, esterni puri, quasi bianco-neri. E invece e' lo spazio (fallocentrico, attenti ai colonnati) del peccato. E' proprio li, nella parrocchia, nella casa alto borghese di lei, quasi alla vista di tutti, che avvengono gli accoppiamenti carnali sacrileghi, improvvisi, sudati e diabolici. La madre, Maddalena, viene soffocata invece da ombre scure, a retrogusto ocra caravaggiano, che Griffith avrebbe usato per gli interni-notte, per il
dubbio e per l'inferno claustrofobico e spirituale, per lo scoppio barocco delle
contraddizioni e delle allucinazioni. Invece queste tenebre, questo quasi nero zeppo di incubi e di fantasmi, e' il regno della casa e della pace, della limpidezza, della grazia di dio. Il dark per i buoni e il bianco immacolato per i cattivi, come insegno' Eisenstein. Se non si vuole essere banali.
Don Paolo, il parroco, che sembra un perfetto soldato di dio, tanto da sedurre perfino i giovinetti piu' sensibili della zona che vogliono “diventare proprio prete come lui”, e' uno Stefano Dionisi, l'ex partigiano Johnny, sempre ottimo nel sostituirsi ai copioni, quando c'e' da colmare di ambiguita' i vuoti di una sceneggiatura che disdegna la spiegazione psicologica (tra gli sceneggiatori c'e' anche Stivaletti). Anche se il tasto omosessuale non se la sente di spingerlo. Sua madre Maddalena, molto devota a dio, e' l'attrice di Almodovar Carmen Maura che non nasconde la sua origine spagnola e, nel film, umile e plebea, un passato tragico di ragazza quasi madre sempre sfruttata, un matrimonio infelice... E neppure la sua ossessionante onnipresenza nella vita di Paolo. Possessivita',
spirito protettivo e morbosita' sono le sue grandi qualita'. Il difetto e' una sottomissione atavica all'uomo, e in particolare al vecchio parroco morto, “maiale e sacrilego davvero” che continua a inseguirla e perseguitarla dall'oltretomba minacciando di contaggiare anche Paolo e di corteggiarla in eterno. Intanto Agnese (“deciditi: me o dio”) minaccia di svelare pubblicamente, dall'altare, la sua relazione scoop ai fedeli... E Paolo, a questo punto, vede davanti a se' uno squallido futuro da maschio italiano.
Come ci spiegava Alberto Lattuada, il fascista vero dell'epoca Deledda era quello che si vantava: “Sono andato a casa e ho fatto un figlio poi sono andato al casino poi sono tornato a casa e ho fatto un altro figlio”. Il maschilismo era l'emblema piu' preciso del potere fascista, fatto per tirannizzare. Burruano, l'ex parroco, ne da' un ritratto davvero accurato e pregnante, in una sola scena. “Per trovare davvero la fede e' necessario allontanarsi il piu' possibile da dio”, e' il suo consiglio. Era la falsa morale del fascismo. L'abbandono dell'umilta' per il culto dell'eroismo, l'esaltazione della forza piuttosto che dell'onesta', l'orgoglio contro la semplicita'. Malattie dello spirito che stanno ancora deformando la
psiche europea malata. Meglio starne alla larga, ci consiglia prete Paolo. E se avesse solo sbagliato amante?

I cinque preti piu' sexy della storia del cinema


1. Richard Chamberlein in Uccelli di rovo (serie tv del 1983, Australia) di Daryl Duke. “The Torn Birds” e' il vero spartiacque del genere erotico-talare. Prima soprattutto allusioni e desideri frustrati... La ricca latifondista aussie Maggie Cleary (Rachel Ward) si innamora a prima vista, e insegue per quattro puntate, quasi sempre respinta, un ambizioso prete irlandese, padre Ralph de Bricassart, inviso alle alte sfere e sbattuto per questo agli antipodi, che ha gia' conquistato il cuore della sua anziana zia, Barbara Stanwyck. Grazie ai soldi della sua eredita', Ralph diventera' un pezzo grosso della Chiesa. E anche il papa' di un bel bambino, futuro prete. Anche se non conoscera' la verita', da Maggie, se non nell'ultima puntata. Frase celebre di Maggie: "E va bene, vattene, scappa dal tuo dio. Ma sono sicura che tornerai da me. Perché io ti amo più di lui".


2. Jean Paul Belmondo in Leon Morin prete di Jean-Pierre Melville (1961). Una performance sottile e sensuale quella della super star francese alle prese con un personaggio difficile, quello di un sacerdote francese desiderato da tutte le donne di un piccolo villaggio normanno sotto l'occupazione nazista. La piu' implacabile ed efficace delle corteggiatrici e' agnostica e comunista, Emmanuelle Riva, e lo costringe, anche nel confessionale, a destreggiarsi ai confini della fede. E oltre. Grazie a Melville ne uscira' indenne. E a fede rafforzata. Anzi sara' incrinata per sempre la sicurezza laicista della Riva. Dal romanzo di Beatrix Beck.

3. Roberto Citran in Il prete bello di Carlo Mazzacurati (Italia, 1989). Nel 1939 a Vicenza, a guerra di Spagna finita, don Gastone, ex cappellano militare, fascista convinto, organizza spettacoli benefici, circondato da un gruppetto di signorine senza marito in palese ammirazione, come Immacolata, che per lui stravede e che è l'anziana padrona di un grande caseggiato. Quando affitta un appartamento in quel palazzo la bella prostituta veneziana Fedora, don Gastone non potra' resisterle, costi quel che costi. E' un maschio italiano, prima che un prete, no?

4. John Mills in Il coraggio e la sfida di Ward Roy Baker (Gb, 1960). Dal romanzo di Audrey Erskine Lindop. Un prete cattolico irlandese prende possesso della parrocchia in un villaggio messicano oppresso da una banda di prepotenti. Dirk Bogarde, tormentato e isterico, vestito in pelle nera, lo seduce molto piu' di Milene Demongeot, espulsa via via dalla dinamica della reciproca attrazione che s'instaura tra i due uomini e che li portera' a morire insieme. La donna e' la diabolica tentatrice (vedere il suo impeto, quasi necrofilo, sul suo letto di morte). Ma gli uomini no, nella Bibbia non c'e' scritto cosi' chiaramente. I
bambini, poi....

5. Mel Ferrer in Proibito (Italia, 1954). Stava per sposare Audrey Hepburn, ed era al massimo della bellezza, dell'anitpatia e della arroganza Mel Ferrer quando fu coinvolto nell'esordio di Monicelli, vagamente ispirato a Grazia Deledda, ma soprattutto alle faide nel nuorese che avvenivano in quel periodo. Comunque resta il fatto che Lea Massari si innamora di lui e cerca di strapparlo a dio, inutilmente. Anche perche' Mel Ferrer che voleva cambiare la sceneggiatura, la trattava malissimo. Luciano Emmer lo doveva girate
con Mastroianni e Bose'. Ma per ragioni censorie si preferi' annacquare la sceneggiatura con altri scritti di Deledda e darlo a Monicelli. “Mel Ferrer era un disastro. Ne venne fuori un film senza senso” assicura Suso Cecchi D'Amico. Pero' incasso' molto.

*pezzo pubblicato su Pagina 99 nell'agosto 2014

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