mercoledì 6 luglio 2016

Una monografia su John Wayne. E un suo western che piu' rosso non si puo'

di Roberto Silvestri

Dal 1949 al 1975 un attore che veniva dall'Iowa, Marion Robert Morrison, e' entrato nella classifica dei dieci divi (uomini e donne) piu' amati e pagati di Hollywood, e in 19 anni su 26 e' stato tra i primi 4.
Ombre rosse, Fort Apache, Rio Grande, Un dollaro d'onore, Sentieri selvaggi e L'uomo che uccise Liberty Valance sono solo alcuni dei suoi capolavori sempre verdi. Questo cinegenico corpo “magico”, grande ed espasivo in tutti i sensi, bucava lo schermo maneggiando quattro espressioni con virtuosismo impareggiabile e sottile. Vi ricordate l'esperimento di Kuleshov? Una stessa espressione, al cinema, montata differentemente, puo' esprire tutta la gamma emozionale concepibile. Non c'e' affatto bisogno dunque di muovere la faccia e roteare occhi e sopracigli, per essere un grande attore cinematografico, semmai bisogna mettere a posto le mani...e scegliere il copione e il regista giusto.
Su questo piano Wayne non sbaglio' molto. E divenne il simbolo, in tutto il mondo, di bellezza, mascolinita' e senso del dovere ed e' diventato una leggenda dello schermo anche perche', con la complicita' di Walsh, Ford e Hawks, ha trascinato il western ai livelli piu' alti dell'arte cinematografica.
“Quest'uomo colpisce la nostra attenzione al di la' dei valori narrativi di un film”. Parola di John Ford. Credo che perfino i nativi d'America e i vietcong abbiano tifato, colpevolmente, per John Wayne (1907-1979), sul grande schermo. Jean-Luc Godard spiego': “Non si puo' non odiarlo ferocemente, per
esempio in Sentieri selvaggi, perche' il suo Ethan e' un mostro razzista. Ma non si puo' non amarlo follemente quando, nello stesso film, Ethan solleva dolcemente la nipote "contaminata" dai Comanches, Nathalie Wood, decide di non ucciderla piu' e supera se stesso e tutti i suoi orrori mentali, in un solo
gesto”. In L'uomo che uccise Liberty Valance, Wayne colpisce a morte, ma alle spalle, il cattivo, Lee Marvin, smitizzando centinaia di falsita' western e spiegando la differenza tra realta' e leggenda, la sola che poi “andava stampata”.
Il mito John “Duke” Wayne si rafforza nel tempo, a quasi 40 anni, ormai, dalla morte. Anzi siamo ormai al di la' della mitologia, all'icona. Incorporando alti valori spirituali, onesta', come coraggio, integrita' e combattivita', questa fortissima personalita' schermica - mai in difficolta', se con le donne
piu' sfrontate e spavalde di lui ma non solo – ambizioso e individualista assoluto, ma a suo agio nello spirito di corpo, fino a farsi odiare per lo sciovinismo militarista e imperialista di Berretti verdi, e' diventato sinonimo di “America”, dell'idea che l'America ha di se stessa. E che il mondo ha dell'America.
Pero' nel 1957 Wayne, al culmine della carriera, spiego': “Il ragazzo che vedete al cinema non sono io. Io sono Duke Morrison, e il nomignolo l'ho rubato al nostro cagnolino di famiglia, Airedale. Non ho e non avro' mai la personalita' di John Wayne. Certo, lo conosco, sono uno dei suoi piu' attenti studenti,
vorrei diventare come lui. Ma vivo fuori di lui”.
Insomma a Kirk Douglas che lo stuzzicava continuamente chiamandolo John, lui neanche rispondeva finche' in un party hollywoodiano ironizzo' sui personaggi, “finocchi senza spina dorsale” come Van Gogh, che Kirk amava impersonare.
Una meticolosa e autorevole biografia, John Wayne The Life and Legend, di Scott Eyman ci fa scoprire meglio queste contraddizioni ela differenza tra “Duke” Morrison e John Wayne, un personaggio inventato, strato dopo strato. Seguiamo Duke dalla natia Winterset alla californiana Glendale, da star del football all'Usc al primo grande successo, The Big Trail, dall'incontro con il “padre sostituto” Ford fino all'invenzione di quella “camminata da giusto” ai matrimoni a The Shooting del liberal Don Siegel dove ci racconta la sua ultima battaglia contro il cancro.
Il libro di Eyman, uscito ad aprile del 2014 e' gia' un best seller. Certo, non fara' cambiare idea a chi odia o ama incondizionatamente Wayne, se non riesce a far coesistere le due cose, il giustiziere e il servo del maccartismo. Anche se
scoprirermo parecchi lati segreti della sua personalita', come una insospettata competenza nella letteratura inglese del 700-800 e una particolare passione per la poesia o il terribile dolore provato alla morte del suo grande amico, un altro grande reazionario, l'attore Ward Bond. Non mangio' piu' per settimane e dimagri' di 10 chili. Eyman e' un professionista della biografia: ha scritto
su De Mille e Mary Pickford, Bergman e Ford, Lubisch, Louis B. Mayer e Robert J. Wagner. Ma ha conquistato con questo librone di 600 pagine frutto di lunghe conversazioni con parenti e amici di Duke, perfino i critici piu' esigenti, come Peter Bogdanovich (“ci introduce nella sua vita, nella sua morte e nella sua leggenda in modo cosi' preciso e piacevole”). Patrick McGillighan lo pizzica pero' su un aneddotto dimenticato. Wayne contribui' alla cacciata di molti rossi di Hollywood e questo Eyman lo dice. Ma dimentica di fare due nomi, Sam Ornitz (uno dei “dieci” arrestati perche' comunisti) e Bernard Vorhaus, rispettivamente sceneggiatore e regista di Three Faces West, del 1940, un no budget della Republic. Ebbene se cercate un western antifascista e antinazista di Wayne, che piu' rosso non si puo', eccolo. Ma il biografo qui tace.

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