roberto silvestri
Esiste un festival, si svolge
a Trieste ed è uno dei pochi festival di ricerca sopravvissuti allo sterminio
veltroniano-renziano dei piccoli grandi festival (ne sono rimasti solo alcuni,
più obesi, lenti e controllabili
perché ben finanziati) che si chiama “I mille occhi”. E’ un festival partecipato e in forma mosaico che
si avvale dei contributi di talent scout delle immagini passate e “future”,
corte, lunghe, digitali, d’animazione, found footage, documentaristiche,
fantasy eccetera, che vivono in ogni parte del globo e che sono coordinati da
Sergio Grmek Germani.
Adesso esiste anche un
oggetto “seriale” non ben identificato, forse ispirato anch’esso a Amy Warburg
e al suo Mnemosyne, gigantesco panottico iconico eterogeneo che, nel 1929,
ricordavano la sopravvivenza di antiche immagini di divinità nella cultura
europea moderna. Il problema era raccordarne l’una con l’altra attraverso
segrete forme di attrazione/repulsione….
Potremmo dare anche a
quest’oggetto misterioso il titolo ombra di I mille occhi. Si tratta del
progetto messo a punto da qualche anno dalla cineasta napoletana, Antonietta De
Lillo (e dalla sua società, Marechiarofilm), esploratrice spavalda di nuovi sentieri
dell’immaginario e linguaggi, che coinvolge attorno a una serie di idee forza
(come il pranzo di Natale, 2011 e
adesso l’amore) tutti i cineasti e
videoasti italiani che vogliano collaborare. Ognuno resta padrone del suo
lavoro (o magari del suo work in progress in cerca ancora di un produttore da
attirare) ma nello stesso tempo può farsi suggestionare dal progetto e poi
tranquillamente cannibalizzare e tagliuzzare fino a partecipare anche solo in
forma di frammento all’affresco-mosaico definitivo, a questa specie di “Frankenstein”
più grande che racconta una realtà (per esempio il rito del Natale) attraverso
una molteplicità di storie, di sguardi, di supporti e di formati.
Oggi insieme domani anche, presentato nella sezione Festa nobile del Torino
Film Festival 2015 in questi giorni, è dunque il secondo film partecipato a cui
De Lillo aggiunge un finish unificante, musiche (niente musiche se non visuali), montaggio e interferenze e “armonici”
d’archivio .
Sul tema “amore”, in una
sorta di libero e frammentato “comizio” dei nostri tempi e in giro nel nostro
paese - visto che festeggiamo i 40 anni del referendum sul divorzio e dell’inchiesta
di Pier Paolo Pasolini - sono stati coinvolti e si sono lasciati sedurre questa volta una ventina di
cineasti e videoartisti indocili alle forme narrative e documentaristiche
rigide, alcuni più esperti (per esempio Marco Simon Puccioni, Agostino Ferrente,
Giovanni Piperno, Fabiana Sargentini, Erika Tasini...) altri emergenti, altri meno conosciuti e giovani, alle prese
con il più inafferrabile, liquido, gassoso e imprevedibile dei sentimenti.
Insomma a differenza del progetto di film interattivo di Gabriele Salvatores
che è l’ottimizzatore finale e
definitivo del progetto di cui lui è solo un destinatario, qui Marechiaro (e un
coordimaneto artistico di cui fanno parte un’attrice come Aglaia Mora, la
matematica cinefila Maria Di Razza, i critici Anna Maria Pasetti e Antonio Pizzuto,
i cineasti Marcello Garofalo, Betta Lodoli e Giovanni Piperno) si fa organizzatore
attivo di talenti attraverso rassegne, incontri, seminari e laboratori, coordina una rete di istituzioni e festival (come il Molise cinema
e il Sulmonacinema film festival), la Casa del cinema di Roma, il Cantiere
delle storie del premio Salinas, l’Apollo 11, MyMovies, Aamod, Matrimovie e l’Archivio audiovosivo del movimento operaio e democratico
(per il reperimento dei materiali di repertorio).
Il risultato è una sorta di C’era
una volta Hollywood. Lì il montaggio dei numeri musicali più mozzafiato
della storia delle majors produceva però una sorta di ipnosi ripetitiva, di
indigestione per troppa bellezza geometrico-dinamica.
l'amore quando supera la prova del nove |
L’amore è un soggetto meno
obbligato, gli esercizi sono più a corpo
libero. Evolve nel corso del tempo come evolvono i nostri corpi sempre più
macchinici, e sfalda via via alcuni miti ad esso connesso, dalla verginità al
matrimonio, dalla famiglia tradizionale a quella monogamica, dal tabù
omosessuale alla sessualità infantile, dalla centralità della coppia alla
deriva quasi catacombale della comune libertaria. Incontreremo chi ha passato
tutta la vita insieme riuscendo a trovare un equilibrio segreto anche
producendo continuamente “bad vibrations”, chi l’amore non lo ha ancora
incontrato, chi l’amore ha paura di esibirlo, la tragedia dell’abbandono, il
rancore che segue una separazione e spesso la perdita angosciante di un figlio,
dato in adozione al partner, la “produzione di amore per mezzo amore” che non
basta per aver diritto legale all’adozione, nel caso delle coppie gay. Ovviamente i materiali sono messi in metrica
e in rima dal montatori, Pietro D’Onofrio con la collaborazione di Giogiò
Franchini, che riesce da una parte a evitare che gli 85 minuti siano sottomessi
all’effetto sketches (da web-maniaci) e dall’altra allo srotolamento di uno
spot dopo uno spot.
Non si tratta di scegliere di ogni contributo il clou, la
sua scena madre, ma di rispettare l’atmosfera di ciascun contributo e di
rendere i materiali interconnessi amalgamabili. Creare un flusso credibile, transtemporale
e musicamente ben ritmato come il tango da strada (di Gabriele Camelo). Solo
così lo spettatore troverà il suo filo, il suo ritornello preferito e i suoi
oggetti di affezione e di inquietudine. Anche scavando nei suoi ricordi o nelle
sue pulsioni.
Per esempio il compito della nostra generazione è stato quello di
creare altre e più rispettose forme di convivenza non patriarcali e non
autoritarie. Al di là della coppia (chiusa o aperta) e del matrimonio
eterosessuale. Missione impossibile. Ma missione fallita solo in parte. A
giudicare da una coppia felice come Gertrude Stein e Alice B. Toklas, e dal frusciar
cacofonico dei vestiti canditi da sposa, della produzione di figli zero, della
crisi economica che ha ancora più depresso il panorama non fosse per le gay
parade raccontati con profondità finezza e humor disneyano da
Fabiomassimo Lozzi (L’amore è una scarpa
comoda).
Avere mille occhi per
osservare e guardare l’orizzonte del mondo al di fuori della comunità limitata
e rassicurante delle nostre piccole idee. Questo fa grande questo esperimento.
Che produce e riflette cuori sapienti.
Oltre che una buona arma di combattimento per imporre la soluzione dei diritti
civili ai conviventi di qualunque sesso siano e ai figli di mamma e papà di
qualunque sesso siano.
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