Su Wikiradio (Radiotre Rai) oggi 17 ottobre 2017, alle
ore 14 un ricordo di Montgomery Clift
Roberto Silvestri
Il poeta perduto di Omaha
con Elizabeth Taylor |
Oggi, 17 ottobre di 97 anni
fa,
nasceva Montgomery Clift, occhi grigio verdi, capelli neri, il "bellissimo perdente",
l’attore ribelle che iniziò
una rivoluzione, anche attoriale, ancora incompiuta.
Giulio Cesare Castello,
autore di un fondamentale saggio sul divismo, ne riconosce l’originalità ma
vede Monty carente per mancanza di un
mordente più netto, di un prestigio fisico più evidente, almeno secondo il
gusto e la moda postbellica. Mordente e prestanza (cattiveria si direbbe
oggi?) che possedeva invece, oltre a un eccezionale temperamento, il suo
successore al box office, Marlon Brando: “Ha il volto di un poeta e il fisico
da giocatore di football americano. E’ Clark Gable più Rodolfo Valentino”. Ma
per Montgomery Clift il rifiuto di Hollywood e delle sue regole del successo è
più viscerale. Istintivo. Totale. Se ne va in Palestina, al culmine della carriera, gettandosi alle spalle un contratto da un milione di dollari, per vivere nei kibbutz e girare per lo stato di Israele, distrutto dalle visite nei campi di concentramento dove era stato assieme al regista Zinnemann durante le riprese in Svizzera di The Search. Il suo primo film in assoluto, del 1939, lo gira poi per la televisione. E' Hay Fever, di Ed Sobol, da un dramma di Noel Coward. Poi. Fa in modo da non dover nemmeno rifiutare mai
la statuetta dell’Academy sul palco. Preferisce sfiorarla, con raffinatezza.
Riuscire a perderla sempre non è facile. Vincerla sarebbe volgare. Ma per il
suo pubblico senza smoking Monty vince sempre.
Vomit, California.
Così infatti intestava le sue
lettere da Los Angeles, Edward Montgomery Clift, detto Monty, durante il periodo d’oro della sua breve
carriera di grande attore e strana star di bellezza apollinea e spessore culturale
alto, interiorità inquietante e sostanza
problematica.
E si teneva il più lontano
possibile da Hollywood. Un “fitgeraldiano perfetto”, come spiegò il critico
Enzo Ungari scrivendo di Fango sulle
stelle, il pamphlet rooseveltiano di Elia Kazan, un film del 1960 sui
fantasmi del passato che tormentano gli uomini incapaci di liberarsene, tema
fitzgeraldiano per eccellenza, completato come era da una forte sensibilità
anti razzista e ecologista ante litteram.
Lettore del New Yorker |
Preferiva vivere a Manhattan,
Monty, la città della cultura esplosiva, dei teatri off off, dei documentaristi
liberi, di John Cassavetes, della scuola di New York del cinema diretto e dell’underground.
O magari a Roma con De Sica, dove andò per per girare il poco hollywoodiano Stazione Termini.
“In California bevono caffè
solubile e amano stipare le persone in tante piccole piccionaie”.
Lui invece ha un Cimbalino in
casa e adora scegliere i soggetti e i registi, sbagliare le parti, sperimentare
ruoli nuovi anche a costo di fare fiasco. Gli piace accettare ruoli di opportunista,
di infame, di cattivo, di viscido, farsi odiare dal pubblico, ma essere
indipendente. Tra i film che ha
rifiutato: Viale del tramonto
(William Holden), Shane-Il cavaliere
della valle solitaria (Alan Ladd), Fronte
del porto (Marlon Brando), Moby Dick
(Gregory Peck), La gatta sul tetto che
scotta (Paul Newman) e La valle
dell’Eden (James Dean)….
Eppure, esordendo a Hollywood
a 28 anni, conquistò la copertina di Life
immediatamente. Giovanissimo aveva fatto pubblicità alle t-shirt Arrows ed
era
un modello tutelato dalla
celebre agenzia di talenti neworkese “John Robert Powers”. Ma, a differenza di
altri enfant prodige meno anti-conformisti della scuderia J.R.Powers, come
Carole Landis, Henry Fonda e John Wayne, non puntava a Hollywood. E se ci
arrivò fu alle sue condizioni. La sua vita è stata una lotta interiore continua
tra il desiderio di vivere conflittualmente e, contemporaneamente, il sentirsi
in colpa perché viveva conflittualmente…"Papà, io sembro proprio un ebreo, tutti mi credono un ebreo". E la madre: "Monty, non ci fare questo!" e Lui: "Mamma, sei proprio una bastarda".
La generazione della ribellione
rivoluzionaria, nelle università, nei ghetti, nell’esercito, nelle fabbriche di
Detroit, vivrà conflittualmente, senza mai più sentirsi in colpa…
Ma gli anni 50 sono un’altra
cosa. La pentola a pressione sociale non è ancora scoppiata. Sono quelli i veri
anni plumbei. Le donne ricacciate in casa, anzi nelle piccionaie dei burbs, e a
pedate (che si vendicano pretendendo cucine automatiche e aizzando i figli a
uscire di casa). Maccartismo che spopola. Bomba atomica che penzola sulla testa
del mondo. Operai sconfitti dopo il più poderoso ciclo di lotte della storia
Usa (1945-1947). Gli omosessuali sono ancora off limits. Lenny Bruce è
perseguitato dai processi per oscenità, così Henry Miller, così Allen
Ginsberg….Però c’era il bebop, il rock’n’roll, i drive in, i beach movies, i
drammi tv non riconciliati, Marilyn che decostruiva le pannose maggiorate senza
cervello e turbava, con il suo sesso ben dipinto in faccia… e Monty Clift che
il sesso lo nascondeva dentro, dentro, dentro.
A 40 anni, dopo l’incidente
automobilistico del 12 maggio 1956 che gli ha distrutto la sua fiammante Chevrolet
Bel Air e deturpato il bel volto adolescenziale, Montgomery Clift progetta di
creare una casa di produzione indipendente, la Kermot, assieme all’amico attore
e collega dell’Actors Studio
Kevin McCarthy (testimone dell’incidente, fu lui a
allertare Liz Taylor), per esordire come regista, una delle sue grandi
aspirazioni, lavorando alla sceneggiatura di un film mai girato, You touched me! da un dramma di Tennessee Williams. Anche se un suo dramma, Glass Menagerie, scritto nel 1945, divenne un radiodramma nel 1964, interpretato da lui, con Jessica Tandy e Julie Harris. E un documentario sulla resistenza nel sud alla disgregazione sociale e sull'eredità letteraria di un grande scrittore, Willliam Faulkner's Mississippi, con la voce fuori campo di Clift e di Zachary Scott fu programmato nel 1965 e uscì come documentario nelle sale, postumo, nel 1967.
Jack Palance, Jason Robards, E.G. Robinson, Carole Lombard, Ann
Margaret, Merle Oberon hanno diviso con lui lo shock di un viso deturpato e
chirurgicamente ricostruito.…Ma il corpo intero, la carne
invecchiata, oltre al viso rotto, era il suo cruccio perché professionalmente
ne limitava gli orizzonti. “Se non posso più interpretare un contadino di
sedici anni, ora che ne ho 40, però posso sempre dirigerlo…”.
La Liberty Films di Capra, Wyler
e Stevens, la compagnia di Ida Lupino, Howard Duff e Douglas Morrow, e altre, avevano aperto la strada della
produzione indipendente nel 1945. Dentro il sistema delle Majors si possono
aprire relativi spazi di autonomia. Conquistare, per il regista, il final cut
(sindacalmente neanche Robert Aldrich alla presidenza della Dga, Directors
Guild of America, ci riuscirà per l’opposizione degli Studi). Non subire le
idiozie del codice di autocensura Hays, o almeno sgretolarlo lentamente.
Dopo Monty, e anche grazie a
lui, che indicò la strada, la new Hollywood alla fine degli anni 60 aprirà
varchi (Spielberg, Lucas, Woody Allen, Eastwood…) a costo di qualche
compromesso, ma la guerra non è mai stata vinta. Chi comanda il gioco grosso
resta l’alta finanza, pochissimo cinefila. O i Weinstein di turno.
Liz Taylor, la sua più cara
amica, un amore platonico fortissimo che ha legata lei a lui fin dal loro primo
incontro sul set di Un posto al sole, e lei aveva solo 17 anni, cercò di impedire
la sua autodemolizione dentro e fuori il set: “Era l’attore più emotivo che
abbia mai conosciuto. Passava ore e ore a concentrarsi. Monty fa della
recitazione un atto fisico, ombelicale, cerca di produrre fulmini, una corrente
elettrica non sempre benigna che deve passare dal suo corpo agli altri…”. Si
dice che i fulmini non provengono affatto dal cielo, ma sono prodotti dalla
terra. Siamo noi del sottosuolo che coviamo quelle palle di fuoco, mai
schivabili, che ci distruggono. La forza della recitazione implosa e esplosiva,
in primissimo piano contro il vigore fisico estroverso e radiante della
sorridente e solare star classica, Gary Cooper, Clark Gable o John Wayne che,
in piano americano o in campo lungo, scazzottano il cattivo di turno. Fu quello il passaggio epocale.
Diversamente maschile, a più
strati, la recitazione sensuale di Clift, macchina orgonica prepotente, che si
avvale anche della forza femminea per tenere a bada la sua debolezza virile, e
viceversa. John Wayne ne rimane piuttosto sorpreso, e poi travolto sul set di Fiume rosso, film d’esordio di Monty,
anche se esce nelle sale dopo The Search,
Odissea tragica di Fred Zinnemann.
Né Hitchcock né Wayne
Monty deve essere stato anche
l’unico attore a mettere in difficoltà Alfred Hitchcock, che si sente bloccato
sul set di Io confesso … “Era Clift che dirigeva me …non mi era mai capitato”
spiegò imbarazzato il regista inglese che non farà mai più un film con lui,
neanche Nodo alla gola, che pure è uno
dei primi film esplicitamente omosessuali di Hollywood. Farley Granger prenderà
il suo posto. Ma Monty è un gay che non può fare il coming out. Il complicato reticolo psicologico della famiglia
(sudista e conservatrice del Nebraska) pesa troppo sul suo collo. Un fratello
maggiore, una sorella gemella, Roberta, un mamma ossessionata dal pedigree, un
padre ex banchiere crollato con la depressione…. Se Monty fa un passo falso, Hollywood lo getterà via. Basta un
solo articolo al vetriolo di Hedda Hopper o del settimanale scandalistico Confidential. Ecco perché viene pagato pochissimo, al massimo 130 mila dollari
a film. Il potere politico delle star in quel decennio si abbassa notevolmente.
Il caso Monroe, con i suoi perenni braccio di ferro con il tycoon Harry Cohn, è
altrettanto emblematico. Droga e alcool sono i soli palliativi. E Scientology
ancora non c’è, per farsi proteggere da occhi indiscreti.
“Il mio idolo è sempre stato
Monty Clift” ammette James Dean, che però ha deciso di fare l’attore, dopo aver
visto Marlon Brando in Il mio corpo ti
appartiene. Invece Clift non ama troppo Dean: “Recita sempre come se fosse
sul lettino di uno psicoanalista”. Sono le stesse critiche che farà, a
proposito della trilogia di Jimmy, Samuel Fuller.
Certo l’Actors Studio è una
scuola interessante, che Clift frequenta con zelo, basta che il Metodo non
diventi però una professione di fede. “Quando recito un ruolo vi metto tutta
l’energia e l’emozione possibile. Il mio corpo, però, non sa che sono solo un
attore. Quando ci si butta in una scena emotiva l’adrenalina scorre intorno
veloce come se si trattasse della vita vera….”
Uno dei suoi spettacoli teatrali giovanili di successo con Lynn Fontaine e Alfred Lunt |
Monty Clift fa teatro per 11
anni sotto le affettuose cure esperte di una coppia di mattatori della scena, Lynn
Fontaine e Alfred Lunt, che sarà il suo Pigmalione, oltre che uno dei suoi
primi amanti. Sfida clandestina al puritanesimo imperante, soprattutto feroce
contro i costumi da antica Grecia. Gore Vidal e l’anglocaliforniano Christian
Isherwood furono ancora più sfacciati nell’esibire amanti adolescenti. Comunque
Fontaine e Lunt lo svezzano e
conducono per mano sulla scena che conta, l’ off off Broadway.
Il cinema del secondo
dopoguerra ha fame di talenti naturali del palcoscenico, proprio come nella
Hollywood che dal muto passava al sonoro tra la fine degli anni venti e i primi
anni trenta. Deve sostituire il suo intero, ingrigito, parco star (dalle
pretese economiche supersoniche, oltretutto) e soprattutto lo stuolo di attori mediocri
del periodo bellico, obbligatoriamente affidato a seconde scelte, a ragazzi e
ragazze della porta accanto (la generazione Van Johnson, Robert Walker, Guy
Madison e l’altro gay in incognito, William Eythe).
I generi cinematografici sono
usurati, e, in attesa degli effetti speciali digitali 1977, il vero punto d’attrazione
spettacolare saranno i corpi speciali e sexy - anche se emblematici della
gioventù bruciata, teddy boys, antisociali, hell’s angels - capaci di
performance fisiche (le maggiorate) o psichiche (i ribelli psicotici mai
riconciliati) straordinariamente potenti.
Sul set di Fiume rosso John Wayne definisce Clift “quel
piccolo bastardo presuntuoso”. E’ irritato dallo stile recitativo interiore e
inquietante, fatto di tensione implosa e espressività penetrante. Performance
troppo intellettuale e non natural-popolare, priva della spavalderia arrogante,
della sicurezza etica sfrontata e della trasparenza egemone del maschio Big
Duke….Ma Wayne e il regista Howard Hawks rimarranno basiti quando di fronte ai
loro consigli da veterani del set, Monty accetterà di modificare gesti e tempi,
assorbendo i loro insegnamenti come una spugna, fino a distruggere ogni manierismo
da Metodo e migliorare la sua tecnica con chi di cinema ne sa molto più di lui.
Bogdy su Monty
Il regista e critico
cinematografico Peter Bogdanovich chiamerà Monty Clift, nel suo libro Pieces of time, il poeta perduto di Omaha, il più romantico e commuovente attore
della prima generazione di ribelli. Dopo arriveranno Marlon Brando, James Dean e
gli altri “spostati”, nevrotici e fuori schema, Anthony Perkins, Jack
Nicholson, Martin Sheen e figli, Warren Oates, Harry Dean Stanton, River
Phoenix, Heath Ledger, Vincent Gallo…
L’incontro di Bogdanovich con
la star sul viale del tramonto avviene nel 1961, quando, accompagnato dalla
signora Walter Huston, va a rivedersi in I
Confess, dopo aver parcheggiato la sua Rolls Royce, nel tempio del cinema
d’essai, il New York Theater. La star ha subito nel frattempo numerosi
interventi di chirurgia plastica al viso. Fuma nervosamente, si alza dalla
poltrona ripetutamente. Il cinema è gestito da Gene Archer, raffinato cultore
di nouvelle vague e vecchi film hollywoodiani dimenticati, un punto di
riferimento assoluto per la nuova critica, e che considera I confess il migliore film di Hitch. Bogdy (che fa la programmazione
nel cinema) è d’accordo e raggiunge Monty in una galleria laterale della platea.
Si presenta. “Gran bel film, vero? Ti posso
mostrare una cosa ?”. Sul librone che raccoglie i giudizi critici del pubblico
uno ha appena scritto: Proiettate qualunque
cosa con Montgomery Clift!
L’attore è commosso, e
piange, e sbirciando la sua faccia di allora commenta: “E’ dura… molto dura…”.
Clift, secondo Bogdanovich era
il più puro esponente della nuova recitazione introversa, oltre ad essere stato
di una bellezza adolescenziale incredibile: “forse è il più sensibile,
certamente il più poetico dei nuovi attori”. La prova? I 17 film in carriera, “di
cui almeno 13 di altissimo livello” diretti dai migliori: Hawks, Zinnemann,
Huston, Hitchcock, George Stevens, Wyler, Kazan…Tre candidature al premio Oscar
in 6 anni, Odissea tragica, Un posto al
sole, Da qui all’eternità, “e avrebbe dovuto vincere sempre”. Fu amato sia
dai teenager che dal pubblico maturo. “Quattro
delle sue performance sono tra le migliori di tutti i tempi, aggiunge
Bogdanovich: Fiume rosso 1948; Un posto al sole, 195; Io confesso, 1953; Di qui all’eternità 1953.
Un lord senza fede, scrive invece negli anni 80 Piera De Tassis in Star (un catalogo per una rassegna sul divismo a cura di Giovanna
Grignaffini), attratta da quegli “occhi fissi quasi maniacali e dal suo gioco
recitativo fragile e trasparente, fatto di brevi increspature e leggeri
sommovimenti sul pallore liscio del volto…Il volto - gentile, femminile, un po’
impaurito” - è il suo campo di battaglia
recitativo, non i muscoli possenti ma sarcastici di Brando o il ghigno
inossidabile di Dean…. E il volto maschile apollineo viene indagato dalla
cinepresa, radiografato per la prima volta con l’attenzione erotica e la
passione scientifica che negli anni trenta e quaranta era stata riservata solo
a Greta Garbo, Louise Brooks, Gloria Swanson, Marlene Dietrich, Carole Lombard…
. Quel volto che è stato l’origine della sua ascesa folgorante sarà anche la
causa della disastrosa caduta divistica e umana. Si legge lì dentro qualcosa
che non va. Si legge che l’America come scrive Henry Miller è un incubo ad aria condizionata.
l'auto di Montgomery Clift dopo l'incidente |
Già, l’incidente di macchina
nel 1956. La frattura della mandibola. Il viso completamente distrutto.
A Hollywood dopo un party da
Liz Taylor. Mentre girava con lei, terzo e ultimo duetto, a Natchez,
Mississippi, L’albero della vita,
film in costume, ambientato durante e dopo la guerra civile, diretto dall’ex comunista
pentito, e traditore, Edward Dmytryk.
Sarà la stessa amica a raggiungerlo tra le lamiere e a salvargli la vita,
perché rischiava di morire soffocato dai suoi denti finiti in gola.
Farà, dopo quella notte
terribile - a un solo anno di distanza dalla morte in un crash d’auto di Jimmy
Dean - altri 8 film.
Ma l’Albero della vita avrà la caratteristica unica di avere come
attore protagonista un uomo dai due volti (mentre sarà affidato a Liz Taylor un
ruolo “alla Clift”: la moglie, in preda a una forte depressione che ne mina
l’equilibrio psicofisico, è avviata verso la follia del dopo parto).
Quelle otto performance
comprendono Improvvisamente l’estate
scorsa, Vincitori e vinti, per il
quale ottiene la quarta candidatura agli Oscar, ma come attore non
protagonista, Gli spostati e Freud di John Huston che apprezzerà come
particolarmente giusta quella faccia ricostruita, segno di una personalità
complessa e indecifrabile, proprio come quella del padre della psicoanalisi. E scodelleranno
la stessa intensità concentrata e una identica integrità dei sentimenti.
Da qui all'eternità |
Ma il mistero del suo charme sembra
manomesso e la magica perfezione di tono è svanita per sempre. “Come un
cantante di ballate popolari che avesse perso la bellezza della sua voce ”
scriveva nel 1962 Peter Bogdanovich...A proposito di voci. I doppiatori
italiani sono Giuseppe Rinaldi (Fiume
rosso, Improvvisamente l’state scorsa, Gli spostati, Fango sulle stelle, Freud);
Giulio Panicali (Ereditiera, Posto al
sole, Io confesso, Da qui all’eternità, Stazione Termini); Gianfranco
Bellini (Vincitori e vinti, Odissea tragica),
Nando Gazzolo (I giovani leoni) e Pino
Locchi (L’albero della vita).
L'ereditiera, con Olivia de Havilland |
Odio per il sistema
Monty Clift è stato un “fuori
divo” perfetto, gay quando non era tollerato anzi era innominabile, anti
maschilista in un mondo di machi, insopportabile con i giornalisti snob e gli
Studi, famigerato per il suo alcolismo drastico, consumatore professionista di
droghe di ogni specie e genere, distruttore di contratti capestro con le majors,
sempre indipendente nella scelta dei soggetti, dei registi, dei ruoli….
“Posso memorizzare una battuta
in un secondo quando è valida - affermava -
ma non ci riesco quando la battuta non funziona” (spiegò così gli
scontri con i produttori della Universal, sul set di Freud)
Nel 1941 respinge un
allettante contratto della Mgm perché lo bloccherebbe professionalmente per 7
anni. Ma nel 1945 anche per merito di una lotta sindacale degli attori del
cinema la Corte Suprema annulla la legge che permette agli Studi di obbligare
la firma di contratti capestro pluriennali. Così puà accettare, nel 1946, di
firmare un’impegnativa di soli 6 mesi per esordire sul grande schermo con Il fiume rosso di Hawks, un western che
sgretola il mito della frontiera e del patriarcato. Il suo personaggio lotta con
ogni mezzo necessario per svincolarsi dal “padre padrone” putativo, il boss
John Wayne, scopre una strada alternativa per trasportare la mandria e arriva
ai pugni con lui per strappargli la donna… In cambio perde una a una tutte le
sue “idee da laboratorio” . In questo modo, scrive la critica americana Janet
Maslin diventa un “elemento sovversivo nello schema, estremamente maschile, del
western”.
Poi.
Cinque anni di grande gloria.
4 candidature all’oscar. Però. C’è una strana interruzione nella sua carriera
tra il 1953 e il 1956, negli anni più bui del maccartismo e della caccia alle
streghe. In questo periodo vuoto fallisce il tentativo di Jerry Wald,
produttore della Columbia, di convincere Jack Cohn a realizzare Figli e amanti da Lawrence con Monty
nella parte del figlio e Alec Guinnes in quella del padre…Un filmone per il
quale il cachet di Clift poteva lievitare esageratamente (e poi il libro era
davvero troppo pericoloso per la sensibilità del momento).
con Donna Reed in Da qui all'eternità |
I suoi film memorabili infatti
fanno vacillare il baricentro dell’immaginario americano… Fiume rosso, e anche Odissea tragica
(dramma post bellico ambientato nella Germania in fumo che racconta
l’amicizia di un soldato americano e di un cecoslovacco che ha perso la casa e la
famiglia. L’ereditiera (è l’opportunista
gigolò che punta a sedurre la ricca ereditiera). Un posto al sole (il vagabondo che vuole procacciarsi la ricchezza
a tutti i costi, assassinio compreso, anche se sul lago Tahoe non tutto va come
crede). E’ la storia di Una tragedia
americana di Theodore Dreiser, il romanzo che avrebbe voluto trasformare in
film Sergei Eisenstein e che George Stevens
ha intitolato nel 1951 A place in the sun con Clift nel ruolo
dell’operaio George Eastmam che sogna
tutto e subito dopo aver magnetizzato la ricca ereditiera Angela Vickers, Liz Taylor. Di qui all’eternità (l’ex boxeur soldato di Pearl Harbour che non
vorrebbe più combattere dopo aver accecato un avversario ma sarà costretto a vendicare
l’amato amico Sinatra, vittima del nonnismo) che secondo Donald Spoto, autore
di un libro sulla immagine del maschio nel cinema americano, Camerado, consente a Clift, in un tipico
ruolo alla Henry James, di raggiunge il massimo. E poi.
Io confesso (un
prete lotta con la sua coscienza perché un assassinio gli ha confessato un atroce
delitto ma lui non può dire nulla…), L’albero
della vita (dramma della guerra di secessione), I giovani leoni, tragedia parallela in cui è un soldato vittima
dell’ antisemitismo mentre Marlon Brando è un ufficiale nazista disilluso (e si
parlò di una love story con Brando sul set). Del 1959 è Improvvisamente l’estate scorsa pietra miliare nello sgretolamente
del codice Hays, visto che comprende una scena di orgia omosessuale, e sarà l’ultimo
film con Liz. Collaborano alla sceneggiatura Tennesse Williams e Gore
Vidal, lo scandaloso autore del primo
romanzo esplicitamente omosessuale, La
statua di cera, che ha sconvolto da poco il perbenismo del paese (“non
recensirò mai più un libro di gore Vidal! annuncia il recensore del New York Times) , fanno capire come
questo dramma in cui Clift ha il ruolo di psichiatra ma in fondo anche quello
fuori campo, del gay assassinato, il marito di Liz, sia stato salutare per il
riconoscimento della diversità sessuale nel paese.
Fango sulla luna è invece del suo maestro, Elia Kazan. Qui è un odiato burocrate, un
funzionario della Tennessee Valley e sua nonna, Jo Van Fleet lotta perché la
sua terra non le venga tolta da superiori, anche se rooseveltiani, interessi
superiori; Gli Spostati del 1961, nei panni di un disilluso cowboy da
rodeo che ha una storia con Marilyn appena divorziata, e sul set, tra i due,
gigantesche bevute e pere a volontà. Freud,
sempre di Huston, e durante le riprese subisce anche una operazione alla
cataratta. Infine The Defector del
1966, il suo ultimo film, diretto da Raul Levy, produzione franco tedesca nella
quale tutte le devastazioni della sua vita tormentata erano tutte visibili…..
La moda androgina
Monty Clift trasforma in moda
un pericoloso modello di uomo, l’androgino.
Fa diventare spettacolare, grazie a doti di sensibilità recitative mozzafiato,
a una bellezza naturale magnetica e a una sensualità radiante, la personalità
fragile e complessata, dagli oscuri dilemmi interiori, dai non risolti problemi
edipici ma che rifiuta d’istinto di incorporarsi nel ruolo tradizionale del
maschio…..
E, prima di Farley Granger e
di James Dean, Monty, sa scavare nelle
personalità contorte e perfino criminali dell’adolescente puro che rifiuta una identità conformista e ipocrita perché punta
più in alto. Se gratti il teddy boy, ecco brillare l’anima bella.
Lo studio system e lo star
system a colori degli anni 50 finali, in una Hollywood ridimensionata dai nuovi
assetti finanziari e dalla subalternità alla televisione, in cambio di pulizia
politica interna e di un po’ di kennedismo, può osare di più dal punto di vista
dei costumi sessuali e perfino razziali. Marilyn, appunto. Sidney Poitier. Ma
anche lo slittamento progressivo dell’amicizia virile precedente che diventa
esplicita “voglia di ambiguità”: esplodono talenti esplicitamente gay come Rock
Hudson, James Dean, Farley Granger, Vincent Price, Roddy McDowall, Anthony
Perkins, George Nader, e prima ancora Maurice Chevalier, Randolph Scott, Cary
Grant e Clifton Webb (che era stato espulso nei decenni 20 e 30 dagli Studios
perché si era esplicitamente battuto contro l’omofobia di Hollywood) e Monty Clift…
Molti di questi attori ruotano nell’orbita
della 20th Century Fox perché il mogul era il meno omofobo (o il più
furbo analista dei consumatori), Darryl F. Zanuck.
Certo, la star senza moglie e
amante era piuttosto sospetta e il sistema promozionale degli Studi lavorava
sodo per normalizzare la propria scuderia e creare matrimoni di comodo o love
story finte a manetta, come il presunto legame tra Monty e Terry Moore o tra
Monty e Liz Taylor (un po’ come succederà in Italia, ai tempi di Medea con l’amore impossibile tra
Pasolini e Maria Callas). Hedda Hopper sapeva la verità e teneva Monty sotto
continuo ricatto. Le Major utilizzavano i media scandalistici e la pettegola
n.1 di Hollywood per abbassare ogni richiesta troppo esosa delle star o farle
fuori definitivamente se troppo scomode.
Insomma per il grande pubblico Clift era eterosessuale e gran seduttore.
Anche se tenero ed effeminato cinematograficamente.
Il ribelle la
personalità anti sociale e anti puritana appare per la prima come modello
maschile positivo nel cinema americano degli anni 50. Il corpo imbavagliato che
trova una via per liberarsi nel rock ‘n’roll e nel be bop, o nella scrittura
liberata e urlatrice della generazione beat, ne è l’equivalente musicale e
letteraria.
Lo shock della seconda guerra
mondiale, i morti i feriti e soprattutto una generazione di malati di mente da rimuovere,
intossicare o resettare. L’incubo delle
bombe atomiche sganciate e di quelle, apocalittiche, a venire trovano uno sfogo
nell’eroe rabbioso, tormentato e alienato, per la prima volta ben analizzato,
descritto da Robert Lindner nel famoso saggio dell’epoca Must You Conform? Il seme della violenza e Gioventù bruciata sono gli esempi più
eclatanti di film d’opposizione a quegli anni di piombo e si mettono se non dalla
parte delle gang giovanili, dei teppisti di quartiere, da quella di chi cerca
di comprendere come quella soggettività desiderante, che non vuole più obbedire
agli ordini, né reprimere la propria energia sessuale, ovunque vada
indirizzata, possa essere costruttrice di nuova civiltà.
IIl palazzo di Montgomery Clift |
Geografia divistica
A Omaha, Nebraska, dove
Mongomery Clift nasce nel 1920 con la gemella Roberta (Hetel), secondogenito di
famiglia (il fratello William Brooks jr. Clift ha 18 mesi di più), potete
ritrovare la sua casa al 3527 di Harney Street, quartiere della borghese opulenta
(anche se il padre, banchiere, fu rovinato economicamente dalla Grande Crisi). A
Omaha sono nati almeno 420 cineasti: Marlon Brando, Nick Nolte, Fred Astaire,
Alexander Payne, Swoosie Kurt. Oltre al presidente Gerald Ford e a Malcolm X. E
a Omaha Henry Fonda, Jane Fonda, Peter Fonda e Dorothy McGuire fondarono il
Fonda-McGuire Theater al 6915 di Cass Street. Henry Fonda era nato in Nebraska,
ma a Grand Island, però aveva studiato all’Omaha Central High School della
città e inziiato a fare teatro. Altri miti del Nebraska sono Robert Taylor,
Henry Fonda, Sandy Denis, Harold Lloyd, Darryl Zanuck e il poeta, pittore,
jazzista e cineasta sperimentale Weldon Kees.
Clift muore a New York il 23
(o 27?) luglio 1966, 46 anni, giovane come altri attori non conformisti (Errol
Flynn, Tyrone Power, James Dean), nella sua lussuosa residenza al numero 217 East della 61esima strada: 60 stanze, 6
bagni, un grande giardino. Un palazzo che era appartenuto al preseidente Teddy
Roosevelt che l’aveva regalato alla figlia Alice Longworth per il suo matrimonio.
Acquistata dai Clint la mansion fu poi venduta dalla gemella Roberta a patto
che i nuovi proprietari mettessero una targa in ricordo di Monty: “visse qui
dal 1960 al 1966”. Il luogo però divenne meta di una tale venerazione di massa
che quella targa fu dapprima nascosta nel giardino di ingresso e poi eliminata
del tutto.
Vincitori e vinti |
Gli ultimi anni della vita di
Monty sono stati turbati e molto infelici. Qualcuno ha parlato di “sei anni di
lentissimo suicidio”. Malato, ipotiroideo, alcolista e tossicodipendente,
malato di sesso, era ossessionato dalla
bellezza svanita (come si vede in Il
processo di Norimberga dove è una vittima degli esperimenti nazisti di
sterilizzazione) e dalla morte dei suoi amici Clark Gable e Marilyn Monroe con
i quali aveva girato Gli spostati.
Organizzava festivi sempre più pericolosi perché ormai chiamava dalla finestra
al piano superiore i passanti più belli. Il fratello e i medici pagarono per
lui compagnie maschili più sicure e a tempo pieno per prendersi cura di un uomo
che stava spegnendosi.
Il funerale in grande stile fu
a cura della celebre agenzia di pompe funebri Frank E. Campbell di Madison Avenue 1076, famosa per le
sontuose esequie di Rodolfo Valentino, James Cagney, John Garfield, Joan
Crowford e Judy Holliday.
Monty Clift è sepolto a Prospect
Park, Brooklyn (dove c’è un walk of fame newyorkese con targhe in onore a Woody
Allen, Mel Brooks, Clara Bow, Zero Mostel, Susan Hayword, George Gershwin,
Arthur Miller, Mae West, Gene Tierney, Barbara Stanwyck, Neil Simon, Edward
Everett Stone…), nel cimitero quacchero perché la madre Sunny Clift era
diventata quacchera negli ultimi anni della sua vita. Il monumento funebre lo
ha realizzato John Benson, l’autore della statua per John Fitzgerald Kennedy nel cimitero di Arlington, Virginia.
Hetel "Sunny" Fog Clift, la madre, nella
ossessiva ricerca di antenati illustri, pare abbia scoperto un antenato
illustrissimo, di cui Clift era nipote. L’eroe unionista della guerra civile
Robert Anderson (nato in Nebraska), comandante di Fort Sumter, il primo
bombardato dai confederati sudisti quando il Sud Carolina nel 1860 decretà la
secessione. Il maggiore Anderson pur essendo proprietario di schiavi, rimase
fedela a Washington e agli Stati Uniti d’America.
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