venerdì 23 dicembre 2016

A bordo dell'autobus fantasma, Paterson

Mariuccia Ciotta

Il film più bello dell'anno, passato e prossimo, esce nelle sale italiane fuori dal grande circuito, distribuito da Cinema di Valerio de Paolis.

Paterson vive a Paterson e percorre alla guida del pullman n.23 la stessa strada tra le casette di mattoni rossi, ascolta le voci dei passeggeri, i movimenti impercettibili della luce e annota versi sul suo “carnet segreto”. In concorso a Cannes (titoli zero, Palma d'oro virtuale), il film di Jim Jarmusch, convoglia gli spiriti dei poeti e di chi ha lasciato un segno nella cittadina del New Jersey, contea di Passaic, dove non accade nulla. Eppure è lì che si annida il nuovo ritmo per parole e immagini nell’eco degli ospiti che passarono al bar del paese, Sam&Dave, il duo vocale soul, Gaetano Bresci, l’anarchico italiano che uccise il re Umberto I, Lou Costello, calabrese di origine, il comico maldestro e “lettrista” della coppia Abbott and Costello (Gianni e Pinotto) e soprattutto William Carlos Williams, il maestro che lo ispira nella sua ricerca di liriche senza lustrini, frasi dalla musica interna sulle cose semplici della vita, come per esempio i Blue Tip, fiammiferi blu dell’Ohio. Il poeta, amico di Duchamp e guru di Ginsberg, autore di cinque volumetti intitolati a Paterson, è il fantasma amico che lo segue fermata dopo fermata. I versi in realtà sono di Ron Padgett, nato a Tulsa, Oklahoma, nel '42, che traccia un sentiero di suspense, un'avventura quotidiana attraverso il parabrezza del pullman n.23.
 Una spazialità sonnambula che filtra il reale e sfuma i contorni delle cose, impalpabile percezione di ritmi e profumi di Paterson al quadrato. Acquario che dilata e altera la prospettiva. E c'è una bambina arrampicata su un muretto che invece di twittare crea sonetti sulle pagine di un quaderno e intreccia conversazioni filosofiche con l'autista ispirato (Adam Driver, coppa Volpi per Hungry Hearts di Saverio Costanzo). E c'è il solito bar di Jarmusch, compositore e performer, microcosmo serpeggianti di vite misteriose.
Il regista di Dead man trasferisce la poetica d’avanguardia sullo schermo, dilata tempo e spazio in un incanto solenne e umoristico, con lo sguardo di Aki Kaurismaki che vede le nuvole in viaggio. E qui siamo negli occhi di un conducente di autobus nella città che porta il suo nome, e dell’amata, bellissima Laura (l’attrice iraniana in esilio Golshifteh Farahani), anche lei sognante e dalle aspirazioni multiple: essere una cantante country con chitarra arlecchino op-art, dipingere tutta la casa, dalle tende ai pasticcini, di cerchi, pois e righe ondulate in bianco e nero, etc.

Due perfetti amanti, per non parlare del cane, direbbe Jerome K. Jerome, un piccolo bulldog inglese, capace di tutto pur di essere al centro dell’attenzione. Come per esempio frantumare il diario poetico di Paterson, così distratto e sognante da vedere gemelli dappertutto, un riflesso del desiderio di Laura, e accumulare sul suo taccuino, divorato dal cane geloso, le piccole differenze della vita giorno dopo giorno, un flusso che si ripete apparentemente uguale come ne Il giorno della marmotta di Harold Ramis. Ma, sorpresa, un nuovo quaderno bianco attende le rime mai baciate di Paterson. Lo spirito di un haiku, un giapponese inatteso che sa pronunciare perfettamente quel “AhAaah!” alchemico capace di curare qualsiasi dolore, un misto di complicità e humour.
Versetti in diretta, scritti sulle facce di sconosciuti, nello scambio di sguardi tra passeggeri occasionali, poesie di strada che dicono di fugaci amori.




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