Il film più bello
dell'anno, passato e prossimo, esce nelle sale italiane fuori dal
grande circuito, distribuito da Cinema di Valerio de Paolis.
Paterson vive a Paterson e
percorre alla guida del pullman n.23 la stessa strada tra le casette
di mattoni rossi, ascolta le voci dei passeggeri, i movimenti
impercettibili della luce e annota versi sul suo “carnet segreto”.
In concorso a Cannes (titoli zero, Palma d'oro virtuale), il film di
Jim Jarmusch, convoglia gli spiriti dei poeti e di chi ha lasciato
un segno nella cittadina del New Jersey, contea di Passaic, dove non
accade nulla. Eppure è lì che si annida il nuovo ritmo per parole e
immagini nell’eco degli ospiti che passarono al bar del paese,
Sam&Dave, il duo vocale soul, Gaetano Bresci, l’anarchico
italiano che uccise il re Umberto I, Lou Costello, calabrese di
origine, il comico maldestro e “lettrista” della coppia Abbott
and Costello (Gianni e Pinotto) e soprattutto William Carlos
Williams, il maestro che lo ispira nella sua ricerca di liriche senza
lustrini, frasi dalla musica interna sulle cose semplici della vita,
come per esempio i Blue Tip, fiammiferi blu dell’Ohio. Il poeta,
amico di Duchamp e guru di Ginsberg, autore di cinque volumetti
intitolati a Paterson, è il fantasma amico che lo segue fermata dopo
fermata. I versi in realtà sono di Ron Padgett, nato a Tulsa,
Oklahoma, nel '42, che traccia un sentiero di suspense, un'avventura
quotidiana attraverso il parabrezza del pullman n.23.
Una spazialità sonnambula che filtra il reale e sfuma i contorni delle cose, impalpabile percezione di ritmi e profumi di Paterson al quadrato. Acquario che dilata e altera la prospettiva. E c'è una bambina arrampicata su un muretto che invece di twittare crea sonetti sulle pagine di un quaderno e intreccia conversazioni filosofiche con l'autista ispirato (Adam Driver, coppa Volpi per Hungry Hearts di Saverio Costanzo). E c'è il solito bar di Jarmusch, compositore e performer, microcosmo serpeggianti di vite misteriose.
Una spazialità sonnambula che filtra il reale e sfuma i contorni delle cose, impalpabile percezione di ritmi e profumi di Paterson al quadrato. Acquario che dilata e altera la prospettiva. E c'è una bambina arrampicata su un muretto che invece di twittare crea sonetti sulle pagine di un quaderno e intreccia conversazioni filosofiche con l'autista ispirato (Adam Driver, coppa Volpi per Hungry Hearts di Saverio Costanzo). E c'è il solito bar di Jarmusch, compositore e performer, microcosmo serpeggianti di vite misteriose.
Il regista di Dead man
trasferisce la poetica d’avanguardia sullo schermo, dilata tempo e
spazio in un incanto solenne e umoristico, con lo sguardo di Aki
Kaurismaki che vede le nuvole in viaggio. E qui siamo negli occhi di
un conducente di autobus nella città che porta il suo nome, e
dell’amata, bellissima Laura (l’attrice iraniana in esilio
Golshifteh Farahani), anche lei sognante e dalle aspirazioni
multiple: essere una cantante country con chitarra arlecchino op-art,
dipingere tutta la casa, dalle tende ai pasticcini, di cerchi, pois e
righe ondulate in bianco e nero, etc.
Due perfetti amanti, per
non parlare del cane, direbbe Jerome K. Jerome, un piccolo bulldog
inglese, capace di tutto pur di essere al centro dell’attenzione.
Come per esempio frantumare il diario poetico di Paterson, così
distratto e sognante da vedere gemelli dappertutto, un riflesso del
desiderio di Laura, e accumulare sul suo taccuino, divorato dal cane
geloso, le piccole differenze della vita giorno dopo giorno, un
flusso che si ripete apparentemente uguale come ne Il giorno della
marmotta di Harold Ramis. Ma, sorpresa, un nuovo quaderno bianco
attende le rime mai baciate di Paterson. Lo spirito di un haiku, un
giapponese inatteso che sa pronunciare perfettamente quel “AhAaah!”
alchemico capace di curare qualsiasi dolore, un misto di complicità
e humour.
Versetti in diretta,
scritti sulle facce di sconosciuti, nello scambio di sguardi tra
passeggeri occasionali, poesie di strada che dicono di fugaci amori.
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