lunedì 21 novembre 2016

Su "Dottor Strange" e "The Young Pope", i film del momento


Roberto Silvestri
Tilda Swinton mette ko Benedict Cumberbatch
Dottor Strange e Young Pope. Sono usciti contemporanea due oggetti non identificati, spettacolari ufo dell'immaginario, uno in sala di lunghezza normale uno per via satellitare di dieci ore, quasi alla Lav Diaz, diversamente lisergici entrambi, ma più simili di quanto non sembri (e non solo per il successo internazionalmente decretato). Anche se di religiose trattano entrambi. Di dio, di riti, di Potere temporale e di tentazioni diaboliche, addirittura di Papa e di Illuminato Supremo,  di religione d'Oriente e d'Occidente. Con la leggerezza del fumetto, e ricco di combattimenti a grafica danzante, il primo; o con la solidità del gesto smitizzante che inanella pomposamente gag strampalate ma stipate di poesia, il secondo (nel quale però Jude Law fa una gustosa caricatura facciale di Buzz Lightyear, "verso l'universo e oltre", cioé dell'astronauta Pixar di Toy Story). Si diceva un tempo che non esisteva film italiano senza un prete e un cane. Il primo film infatti è nordamericano e il secondo italiano a metà. Via i cani e al loro posto un numero spropositato di preti e prelati, di suore e missionarie, tutti baroccamente vestiti. Segno della coproduzione internazionale. E di un quoziente di difficoltà alto, non fosse per Nanni Moretti e Ron Howard che hanno imposto da tempo, al centro della meditazione contemporanea, il filone Papa e anti Papa. L’attore italiano Silvio Orlando accanto alla Diva di Hollywood Diane Keaton e a Jude Law e addirittura a James Cromwell senza il sio porcellino Babe ci permette di scalare su su su fino al cielo dello star system. Tutto ciò che di immateriale sembra esservi, ma a cui si accede attraverso il corpo, la lingua, il grosso neo sulla guancia destra, la facezia, la fisicità, il gesto (l'apertura delle braccia verso il cielo, o le dita che producono elettricità quantista e buchi neri spazio-temporali), la materia, ascesi compresa, perfino la cacca, le formule scritte, e anche la fede, che è terragna. Basta vedere, dal campo di calcio, l'estasi rumorosa e canterina del tifoso sugli spalti. E ammirare l'amore eterno, fanatico e sconfinato per certi colori... Fede Assoluta Collettiva. E orizzontale. Non sempre è così. Le religioni istituzionalizzate hanno gerarchie ferree, dogma, capi, sudditi, etichette, vestali, nemici da inquisire e impalare. La chiesa ortodossa russa e la sua omofobia sbandierata non è certo seconda al fondamentalismo cristiano, ebraico, buddista, induista e islamista...E visto che papa Francesco ci ha davvero abituati al politicamente sconcertante, ecco che un film lo fiancheggia e un altro ne resta sinceramente scandalizzato.

Uno scrittore milanese morto giovane e geniale, Alberto Episcoli, che pubblicò Festino & Destino nei primi anni 70, mi raccontò, alla metà degli anni sessanta una barzelletta su un futuro Papa degli anni 2000, Uranio Primo, ex gesuita naturalmente, che aveva deciso di rivoluzionare la chiesa, in crisi di consensi, officiando in basilica messe con donne nude stile Otto Muhl. Però cominciò davvero a infastidire i benpensanti, non solo musulmani, solo il giorno in cui pubblicò l’enciclica Porcus Deus. Quella barzelletta è un po’ l’incipit di entrambi questi film. Il sogno del giovane papa che immagina di rivolgere ai fedeli un salute scandaloso, così come quel laicismo ateo, e quella sguaiataggine da magnate alla Trump, sbandierato dal neoliberista dottor Kildare-Strange, sono segnali chiari. In questi film di nichilismo si tratta, “il più inqietante di tutti gli ospiti”, come diceva Nietzsche, ma anche quello cinematograficamente più appeal, per lo show business. Un nichilismo politicamente antiistituzionale, il primo, e “quietista”, più filosofico e anti barricadero, il secondo. Si può infatti mettere in discussion ogni principio di autorità e rifiutare senso alla vita se mossi da due impulsi diversi. Quel che esiste non vale niente, mi delizio nell’abbattere ogni modello di società. E’ Il Caligola di Camus.  E il dottor Strange il cui imperative morale, essere libero, va al di là dei limiti biologici, e le cui fantastiche acrobazie sembrano per una volta convincenti. Il nichilismo quietista (che è di ogni artista) rifiuta la realtà perché non vale niente, ma vi riconosce valore e sensatezza, solo che crede di conoscere altro, vuol portarci al di là di essa. E’ quell che Sorrentino chiama “l’immaginazione al potere”, l’unica cosa buona del 68, il resto – aggiunge e sintetizzo – immondizia, se non criminalità”. Dimenticando che immaginazione al potere non era solo la fantasia geniale che premise ai redattori di Strage di stato di non essere rapiti e uccusi dai servizi deviate, dormendo ogni notte in un posto differente, ma quella che il Potere aveva già ben immagazzinato e gli premise di incriminare Negri e Sofri come i responsabili dei più aberranti delitti, Moro e Calabresi. L’immaginazione al potere, secondo I sessantotttini era già il teorema Calogero.  
Dottor Strange
Quel che è interessante infatti è proprio questo. Che entrambi i film funzionano perché superano, quasi programmaticamente, e a volte noiosamente, per ordini superiori quasi, i limiti consentiti dai codici dell’ Ortodossia. Poco importa che sia Ortodossia Marvel (il buono contro il cattivonei fumetti è la norma, ma qui non è proprio così) o Ortodossia Vaticana (e qui ci si può sbizzarrire di più perché in quella storia secolare, dai Borgia allo Ior, c'è tutto e il contrario di tutto. E il copione sa citare astutamente qui e lì, storicizzando e destoricizzando, alludendo o confondendo tutto, persino la geopolitica, che diventa dada con l'invenzione dello stato di "Groenlandia"). Carente solo a proposito del tema pedofilia. Qualche lettura in più di Foucault a proposito della trasmissione precristiana della sapienza anche sessuale adulto/teenager tra i greci antichi avrebbe reso meno più cartoonistica e non meno feroce la critica alle gerarchie cattoliche bostoniane (azzerate in realtà da testimonianze infinite e controfirmate, altro che omertà).
La sua religione è la rivoluzione (né di destra né di sinistra)
L'iconoclastia è un po' nello spirito dei tempi. Si adorano i cattivi più cattivi, si eleggono con nonchalance presidenti Mostri come Putin, Erdogan e Trump. E perfino il papa buono del nuovo millennio come Francesco deve essere striato di qualcosa di infido, almeno di gesuitico, come nelle raffigurazioni anticlericali degli anni cinquanta, se no niente soglio: ed ecco quella Croce di Ferro da peronista di destra, o quella santificazione dei sacerdoti spagnoli che furono criminali di guerra durante il conflitto civile del 1936 in Spagna... E così l'unica candidata delle presidenziali Usa dotata di umanità, e un sindaco di Roma semplicemente "diverso", vengono trasformati nel simbolo del Male assoluto.
Questi due film così dissimili cercano di capire quale è il segreto di questo desiderio di cattiveria suprema che regna nei piani più bassi della ricezione schermica, domestica o pubblica compiacendosi di questo meccanismo e abusandone fino alla volgarità. Esempio. Se 105 sacerdoti sono stati massacrati in America Latina dal 2005 al 2015 per aver lottato contro immani soprusi, ecco che qui il cardinale Dussolier, l'amico del Papa giovane e fumatore, è trucidato per motivi non di narcotraffico ma di corna. E tutti a ridere pensando all'arcivescovo Oscar Romero. Politicamente scorretto. E non solo. Nello stato africano tra il dittatore finanziato dall’occidente e la suora che ruba l’acqua la giustizia di dio chi colpisce? La suora. Da morire dal ridere. Cosa c'è di liberatorio, di antagonista addirittura nel Male (secondario, spesso insignificante) come Super Star. Quasi tutti i piaceri seriali funzionano utilizzando questo schema, l'immersione nelle nostre zone più dark e torbide, che a forza di enfatizzare il politicamente scorretto fanno rivalutare, per effetto noia, la buona informazione, l'affermative action, il rispetto per il diverso e per l'altro e l'educazione con tutti. Ma non al cinema o comodamente sulle nostre poltrone. O nell'urna elettorale. Comunque.


Dottor Strange
Nelle sale italiane è in programmazione il bel Dottor Strange, le avventure del neurochirugo per soli vip che perde il perfetto uso delle mani in un incidente automobilistico e che lo recupererà, adornandolo con tanti altri doni sovrumani, perché sale rapidamente i gradini della perfezione spirituale (consigliabile più del fitness) in un tempio nepalese, e supera così il suo vanitosissimo e limitante Ego castrante (è ultimo e non meno interessante capitolo della interminabile saga Marvel). Le sua dita invece di far soldi operando solo ad alti livelli, diventano lo scudo stellare dell’umanità, producendo energia atomica al solo muoverle ritmicamente o terremti spazio-temporali.


Salverà il mondo dal dio maligno che vorrebbe dominarlo, irregimentarlo e schiavizzarlo lo "stregone supremo" Benedict Cumberbatch (è lui che adorna l'eroe del fumetto di tutte le necessarie ambiguità e sottigliezze, anche sadiche, aiutato dalla super maestra Tilda Swinton), grazie alla Cappa della Lievitazione e all'Occhio di Agamotto? O diventerà proprio come il suo nemico, un Lucifero trionfante? Magia bianca o Magia nera? E si può diventare un Mago Merlino senza addentrarsi negli antri scuri della turpitudine e sapere dunque come sconfiggere il nemico assorbendone i poteri?
Ricordate The Rope di Hitchcock? Nodo alla gola, in Italia. In quel film contro lo sfoggio del sadismo da sergenti maggiori dei due studentelli nazi che uccidono per il piacere onanistico di farlo, il loro professone, nietzschiano vero, Jimmy Stewart fa la lezione: la democrazia sa essere più crudele di qualunque Hitler da strapazzo, perché ne conosce bene le limitate dinamiche autodistruttive, certe insignificanti fissazioni come il genius loci e il narcisismo celibe e trombone. Ed è più longeva perché utilizza come armi contundenti anche il fascino, la bellezza, la seduzione, le virtù, il sorriso, l'autoironia e il continuo cambiar pelle. Metamorfosi continua e congelamento delle virtù patrie e della tradizione, sono agli antipodi...
Infatti, quasi fosse un Dante Alighieri, che era membro della setta segreta dei Fedeli d'amore, un combattente contro l'oscurantismo, questo super eroe estremamente Strange dovrà dimostrare di saper conoscere, e maneggiare proprio come il sommo poeta, tutto il bene e tutto il male concepibile umanamente, subumanamente e sovrumanamente.... L'inferno, soprattutto. E senza farsene sedurre, sconfiggendo il rischio di tramutarsi in mostruosa divinità. In falso dio.
Il film è tratto dal fumetto dello statunitense di origini slave Steve Ditko (l'autore dell'Uomo ragno, altro super eroe della metamorfosi addirittura artropode) è quel che c'è di bello almeno nella versione cinematografica di Scott Derrickson (che è di Denver, Colorado, e certe contiguità con la cultura mistica orientale e con l'uso urlato dell'arma poetica dimostra di averla appresa dai santoni della beat generation) è che il protagonista conosce a memoria tutta la storia della canzone pop e rock, almeno quanto il protagonista di Guardians of the Galaxy e quanto il regista dell'altra opera di cui vogliamo parlare, la cui play list, da Dylan a Hendrix, da Cohen a Peppino di Capri, è gelidamente inattaccabile (solo Gary Goetzmann saprebbe fare di meglio), e che della Società Sportiva Calcio Napoli, così si chiama dal 1964 dopo una caduta in serie b, sa morte e miracoli. 
The Young Pope
Su Sky, infatti, è andato in onda il primo serial tv (le prime 10 puntate) ma per qualcuno giustamente è un film lungo e zigzagante, di Paolo Sorrentino, il primo serial tv di Jude Law (nel ruolo di Lenny Belardo, orfano americano di origini italiane) e di Silvio Orlando (il cardinal Voiello come la pasta, forse per product placement, come X-File che prepotentemente fa autopromozione in tv) che recita in inglese, la prima coproduzione Sky, Hbo e Canal Plus. Young Pope,”creato” da Sorrentino, quasi si sentisse l’ultimo imperatore di Cina, e scritto con la complicità di Rulli, Contarello e Tony Grisoni. Dopo Nanni Moretti una differente (e apparentemente meno rispettosa) escursione in Vaticano, "quel luogo di cui Roma è piccola frazione" che costringe Luca Bigazzi e creare le luci della Santa Sede, dorate, soffocanti, spettrali, calde e seducenti nello stesso tempo. Visto che non si sapeva mai dove Sorrentino volesse mettere la telecamera Leica Summicron-C Lenses Red Epic, Bigazzi ha dichiarato nel makinf off che il lavoro è stato difficile ma che da ora in poi non avrà più paura di niente”. E, indipendentemente dalla ricchezza estetica, dall'umorismo, dalla scienza narrativa e dal dinamismo emozionale che  differenzia I due film, e che dividono i fan della spettacolarità hollywoodiana dagli ultrà del sofisticato pittoricismo d'autore european style, in contrapposte tifoserie, le due visioni hanno molto in comune. Come l’ opposta valutazione del rapporto tra libertinismo ed eresia come cura rivoluzionaria per istituzioni o interi mondi che mostrano la corda. Il film americano sembra certo più simpatizzante della passion rivoluzionaria di un Jacob Frank, il rabbino nichilista polacco del XVIII secolo, leader dell'ala estremista dei sabbatiani (da Sabbatai Zevi, eretico apocalittico del seicento) capaci perfino di travestirsi da marrani cristiani o da islamici, pur restando ebrei nella dissimulazione, ma dando della Bibbia una versione molto "strana": non è un dio buono e vero che ha creato il mondo, se no sarebbe eterno e l'uomo immortale. Il nostro mondo è un prodotto di potenze inferiori, forze del male che hanno introdotto la morte e bloccano la via verso il vero dio (oscurato, lasciato nello sfondo, da raggiungere con l’ascesi mistica elaboratissima). Questo mondo infatti è governato da leggi indegne. Dunque compito dell'uomo è mettere fine al dominio di queste leggi, di tutte le leggi di questo mondo e di tutte le religioni istituzionalizzate - che sono appunto statuti di morte e che violano la dignità dell'uomo. Il vero dio è rimasto finora del tutto nascosto, e solo gli adepti lo conoscono. E potrebbe essere perfino una donna il messia capace di guidarci.... (qualcosa che papa Luciani aveva estremizzato, sfortunatamente), la Shekhinah ebraica (che nel film è proprio Tilda Swinton).
Penso che Sorrentino abbia utilizzato la sostanza di questa visione apocalittica erotica per farne materiale drammaturgico sorprendente e scandaloso, ma senza portare fino in fondo, come fa Scott Derrickson, gli esiti della dottrina: l'abrogazione di tutti i valori, di tutte le leggi (anche spazio-temporali, come si vede nella scena dei combattimenti in panorami anche metropolitani curvi e mutanti di Dottor Strange) e di tutte le religioni positive in nome della liberazione della vita. La via che conduce a ciò passa per l'abisso della distruzione (la scena finale nella quale Strange beffa il falso dio che non sopporta l'eternità, ha la comicità di un racconto filosofico e non della battuta sferzante e celibe e lieve, che predilige Sorrentino).
Cento anni prima di Bakunin, e più di duecento anni prima dell'Isis, ricorda Gershom Scholem in "Il nichilismo come fenomeno religioso", Frank scriveva: "Sono venuto per distruggere e annientare, ma ciò che costruirò durerà in eterno". L'idea della discesa nell'abisso come via che porta alla vita è il legame tra i due film, l'americano, più estremista e combattente, disciplinato figurativamente e "militarista", anarchico e libertorio, l'italiano più moderato e giocoso, ancora scatenato nel citazionismo pittorico-letterario pop e incatenato all'istituzione, a cui dice un commosso sì. Non fanno certo una grande figura i frikkettoni, gli hippies che fumando e impasticcandosi abbandonano dove capita i loro figlioletti. E che sarebbero I perturbatori professionisti, quelli che prima il divorzio, poi l’aborto, poi I matrimony gay, poi le antistaminali, le provette….
Accomuna infatti i due film una data, per il Napoli ferale, quella dei 1963, e una atmosfera che si chiuderà nel novembre di quello stesso anno, con l'assassinio di John Fitzgerald Kennedy. Si interrompe in quel momento la speranza di un mondo che possa ravvicinare lentamente, secondo il progetto rooseveltiano, il campo socialista ostile al mercato e quello capitalista ostile al socialismo. Ci vorrà una grande rivoluzione proletaria in Cina, all’epoca del maoismo, seconda fase, e la contestazione studentesca e operaia in tutto il mondo, per raddrizzare le cose.
Il dottor Stephen Vincent Strange nasce come fumetto nel luglio del 1963 (e già avverte il Trump di allora, Goldwater: se non conosci l'oriente e la sua saggezza millenaria e la sua forza, dopo l'avvisaglia Corea, è meglio lasciar perdere il Vietnam). E Paolo VI viene eletto papa quasi contemporaneamente, nel giugno del 1963. Paolo VI, erede di Giovanni XXIII e del suo scandaloso concilio vaticano II che mise la minigonna alla chiesa, fu costretto a cambiare rituali, abolire il latino dalla messa e deporre per sempre la tiara metallica sbrilluccicante di pietre preziose, utilizzata per la cerimonia di investitura e altre ritualità medievali come il baldacchino sul quale Pio XII amava farsi dondolare e temere. Ed ecco che novello lefevriano/ratzingeriano/francescano Sorrentino finge di rivalutare oro e porpora e di riabilitare la tradizione, attraverso questo giovane papa americano arrogante, combattente e oscurantista (tranne nell'uso dei media), che ama la famiglia tradizionale e la fertilità meglio della Lorenzin, che non sopporta i gay, la gentilezza formale, l'egualitarismo e la Curia romana che in questa descrizione è bizzarramente un misto di Andreotti (capace di ogni nefandezza per la Causa) e di progressismo opportunista da cardinal Michael Spenser (James Crowell fa una esplicita parodia del cardinal Martini). Silvio Orlando riesce a sostenere questa schizofrenica impresa ben comprendendo che non si costruiscono nelle serie tv personaggi a tutto tondo, ma personaggi che potrebbero compiere e dire qualunque cosa, questo e il contrario di tutto, se no alle dieci ore si arriva con il fiato corto. Dunque più contraddittorio è, meglio è il suo segretario di stato Voiello. Riportare la Chiesa all'antico splendore, o come macchina della paura che terrorizza i peccatori (perché vacilla nella Fede), come nella prima parte, o come macchina dellasantità e dei miracoli, in stile San Gennaro, come nella parte centrale, o come macchina del sorriso (prendendo in prestito l'idea dal Dalai Lama) per il finale, liberatorio e far piacere all'Osservatore romano, è il tragitto, poco sovversivo ma molto apocalittico ("Sorrentino gira ogni sequenza come se fosse l'unica, l'assoluta" ha dichiarato nel making off Silvio Orlando) di The Young Pope. Eppure. Se si richiede alla spiritualità, orientale nel primo caso e occidentale nel secondo, di riempire un vuoto esistenziale causato da un serio incidente d'auto nel primo caso e dalla perdita traumatica dei genitori dall'altro, si spiega solo parzialmente il segreto dei due film. Che si abbeverano nella tradizione eretico-anarchica delle religioni, una per affiancarla e l'altra per reprimerla.   
PS. Ma se il grande scontro finale sarà non più tra comunisti e capitalisti, per estinzione di uno dei due contendenti, ma tra nichilisti e populisti, e saremo con i primi se non altro per la loro rosselliniana ansia didattica (non c'è nulla di più costruttivo di un nichilista), che quietisti e azionisti stringano un bel patto d'alleanza contro gli Erdogan, i Trump, i Putin, gli al Sisi, i Netanyahu e gli Emiri di turno.  


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