"Not anymore, a story of revolution", di Matthew Van Dyke (Usa), che ha vinto a Skepto 6 la sezione dei corti documentaristici |
Sesta edizione di Skepto Film Festival, uno degli oltre 100 festival italiani dedicati annualmente ai cortometraggi. Nel poster acquaceo alla fuori orario una giovane filmmaker sub inabissata è circondata da balene. Non cetacei, giganteschi mammiferi, ma pesciolini in pericolo, rossi o gialli, da salvare (anche in senso metaforico) in realtà sono stati i grandi protagonisti della manifestazione. L'iraniano Fish and I che ha vinto il festival e Shadow tree (Tanzania) dell'indiano Biju Viswanath, premio speciale per la sostenibilità ambientale, attraverso la metafora del pesciolino fuor d'acqua e in fin di vita da soccorrere (e sono un cieco e un bambino squattrinato degli slums che si faranno in quattro per loro) ci avvertono. L'acqua è il grande problemo del momento. L'acqua avvelenata e inquinata dell'Africa in particolare. Ma l'acqua è anche un elemento assassino. Chi affoga nel Mediterraneo, i profughi che adesso se la dovranno vedere contro chi gli vuole affondare preventivamente le loro barche della speranza, scappa da guerre aizzate proprio dalle stesse grandi potenze occidentali e medio orientali che versano lacrime di coccodrillo. E non sarà mai salvato da questa Ue, dall'establishment wahabita, sciita e dell'Unione Africana. E' dal basso che si deve ricreare una coscienza etico politica della globalizzazione. Ribeliamoci contro i padroni delle acque. L'immaginario Ponyo seduce dunque i filmaker emergenti e vince. Nonostante il contributo culinario (di altissimo livello) di un noto chef carlofortino specializzato proprio in piatti di pesce, e di tonno in particolare, Luigi Pomata, miglior catering di festival dell'anno, senza discussione.
Premi a parte, vediamo come erano i cortometraggi in concorso della rassegna cagliaritana principale, sempre molto affollata, che si è svolta dal 14 al 18 aprile scorsi nella saletta dell'Hostel Marina, all'Auditorium e al caffé Savoia. 50 ore di programma, 120 shorts provenienti da 52 paesi. Daniele Lucca presentatore impeccabile, con o senza microfono, momento di commozione maggiore nel corso della proiezione speciale di un lungo, diretto da Marilena Moretti, Walking with Red Rhino-A spasso con Alberto Signetto, intenso ritratto a tutto tondo di un cineasta indipendente che veniva dai cineclub e dalla distribuzione alternativa, esegeta e allievo di cineasti estremi ed estremamente politici come Robert Kramer e Theo Angelopoulos, poeta fedele sempre al dogma della assoluta coerenza morale e del rigore espressivo come patente di libertà, indocile ai compromessi di mercato e che è stato per molti anni l'anima estrema e ribelle dell'appuntamento cagliaritano. Il premio dedicato ad Alberto Signetto è stato assegnato dalla giruia composta da marilena Moretti e Alberto Signetto al documentario belga, ma di set african, Yaar di Simon Gillard. La Film Commission della Sardegna ha invitato parallelamente al festival decine di produttori provenienti da tutta Europa che hanno visitato le location più adatte e discusso progetti e sceneggiature da girarsi nell'isola. Nevina Satta che dalla film commission è il presidente ha intrecciato l'iniziativa alle giornate festivaliere appoggiando altre iniziative di Skepto collegate alla ecosostenibilità.
Ero in giuria assieme a Mariuccia Ciotta, un critico catalano che adora l'horror spinto e fa parte del gruppo di Sitges, Diego Lopez, due cineasti inglesi emergenti, il regista Matthew Butler e la produttrice Tori Hart (di Fizz and Ginger Films) e un cineasta neosurrealista da tenere d'occhio, Matt Willis-Jones che vive in Norvegia ed è stato anche il creatore degli effetti speciali di Batman Begins (tutti i riconoscimenti sono stati dati all'unanimità, quasi senza discutere).
Tra le miriadi di manifestazioni internazionali dedicate agli short bisogna pur trovare qualche altra "testa di serie", al di là delle sezioni specifiche della Mostra di Venezia, di Torino e Roma non sempre attente all'off e all'off-off.
Certo, Invideo di Milano è la regina della sperimentazione. Poi c'è Ancona. E lo Short Film Festival di Ca' Foscari, per i saggi di scuola. Cagliari, per la sua vocazione mediterranea, potrebbe diventare un ponte indispensabile tra Nord e Sud, il punto di raccordo con l'altra sponda, anche per un glorioso passato fenicio in comune con la Tunisia. E anche per l'occhio e la sensibilità transculturale dei selezionatori, Stefano Schirru, Francesca Vacca e Riccardo Plaisant la triade artistica di Skepto.
L'Arcipelago dei festival "corti", per lo più organizzati in piccoli centri e possibili solo grazie a un volontariato entusiasta, è un antidoto all'invisibilità di questi film e rapresenta un bel segmenti di mercato o se si specializza maniacalmente (paranormale, cibo, sport, rurale, povero, "un minuto", ambiente, diritto, psicoanalisi, paura, transculturalità...) o se fa girare i film che saltano più all'occhio, passandoseli l'un l'altro. Si realizza così nei fatti quella specie di agognata distribuzione capillare sogno di ogni filmmaker indipendente. Valentina Carnelutti, l'attrice quest'anno all'opera prima con il bellissimo Recuiem (in gara anche a Cagliari) ne sa qualcosa perché con il suo film sta facendo da mesi un fortunato giro del mondo.
Il regolamento di Skepto prevede la presenza di opere realizzate negli ultimi tre anni. Dunque non si è vittima della guerra per accaparrarsi le anteprime mondiali o internazionali e scoprire il capolavoro a tutti i costi. L'esigenza è quella di proiettare i film più audaci, seducenti e innovativi, tra quelli inviati in Sardegna o che hanno già fatto incetta di premi, a un pubblico attivo e competente, e con la migliore qualità tecnica possibile (ed è il direttore organizzativo Mauro Montis che ne garantisce la qualità).
Le altre sezioni in competizione all'auditorium di Cagliari riguardano le ossessioni del decennio fatte genere: cartoon, doc, horror-splatter, sperimentazione, comicità, lavoro-non lavoro, clip musicali e corti eco-sostenibili. Per la lista completa dei premi cliccare su http://www.skepto.net/it/content/skepto-international-film-festival-2015-premi-e-menzioni-speciali. Dalle sezioni collaterali segnaliamo almeno tre film, il cartone animato darwiniano-bergsoniano che ha vinto il premio di categoria, Pandas, dello slovacco Matus Vizar, una modesta proposta per risolvere il problema dell'estinzione degli orsacchiotti op-art, che forse derivano dall'Orca Marina ma che mai penserebbero di diventare, per sopravvivere, dei goduriosi topastri affamati di tutto fuorché di canne di bambù... l'altro cartone animato, ancora più innovativo nello stile e nella concezione grafica, Dwarf Giant, di Fabienne Giezendanner, gioca con e sull'immaginario inuit (Francia/Svizzera) mentre Ladiri di Andrea Mura ci spiega che le case fatte di mattoni di fango e paglia secondo una antica tradizione sarda del sud erano molto più fresche d'estate e calde di inverno di quelle di cemento che le hanno sostituite. E che forse ci sono in giro attivi giovani architetti (europei e africani) capaci di ridare linfa a questa arcaica tecnica costruttiva ecosostenibile i cui ultimi maestri stanno scomparendo (e che Mura ha intervistato).
LA BAMBINA di Ali Asgari (2014, Iran)
Narges, l'attrice Sahar Sotoodeh (a sinistra) e l'amica, Faezeh Bakhtiar |
L’orrore
quotidiano metropolitano diurno e notturno che paralizza sadicamente una ragazza, anzi quasi di una bambina-madre, Narges, è ben descritto in questo come negli altri tre precedenti corti di Asgari che mettono sempre al centro i conflitti tra teocrazia e libertà femminile. Nascondere agli occhi di Tehran un bimbo appena nato e
senza padre, perché comunque la donna non è sposata e non ha le carte in regola, e stanno arrivando dalla campagna i genitori retrogadi, cercare addirittura una "grotta", un ostello per sole ragazze per esempio, dove nasconderlo per qualche notte, è già esageratamente cristologico per un paese islamico drastico, ma essere costrette a
chiudere un bebé nella borsa, e a narcotizzarlo un pochettino, trasforma quel gesto estremo in una critica feroce allo stato di cose
vigente. Amir Naderi, infatti, ama questo corto, ancora proibito in Iran.
Difetti del film, in originale intitolato Bacheh? Farhadi, Panahi, Kiarostami come angeli custodi e "cintura di sicurezza" di un lungo compresso in 15'. In più il frastornante cicaleggio urbano delle due amiche in strada, sull'autobus, al bar, con qualche simbolismo di troppo. Inoltre si dà per scontato un rapporto
poco laico con l’aborto (permesso dal 1978 ma con notevoli restrizioni che stanno peggiorando la legge dal 2005). Se però i film iraniani di regime colpevolizzano inguaribilmente la donna che
si svincola dalla famiglia, che non fa la moglie, che non sta ferma nel posto stabilito e che non sta mai troppo attenta ai figli perché pensa più ai balocchi e ai profumi, qui si rovescia tutto, con calma, e la critica moderata ma sanguinosa, è al regime-donna che non sta attenta
come dovrebbe alla libertà dei suoi figli. Li spia ma non li assiste né si preoccupa dei suoi problemi. Pensa troppo ai balocchi-armi e ai profumi-affari. Alì Asgari, pluripremiato autore di 4 corti, che hanno fatto il giro del mondo dei festival da Cannes a Venezia, dal Sundance a Capalbio, vive da 5 anni in Italia (uno dei produttori, Riccardo Romboli, è italiano).
La cosceneggiatrice del film |
E' il cortometraggio molto corto che ha vinto il primo premio. Un cieco urta sbadatamente in cucina il vaso del pesciolino rosso, che va in frantumi. Come salvare la vita del piccolino, visto che la stanza ha un buco nel centro e l'acqua sta pericolosamente sgorgando via? Semplice,
denso, poetico, politico suspense-short
antisistema. La dolcezza armata dei minori e delle minoranze oppresse di qualunque tipo sbriciola il potere e dà colore alla vita, anche dove vince il bicromatismo, il bianco e il nero. Non solo a Tehran. Sono le 50 sfumature di grigio a contare.
Splendida
pubblicità, a ritmo battente, per Syriza e Podemos. La crisi economica produce qualcosa di ostile
alla crescita, l’alienazione postumana. La metamorfosi è irreversibile.
Difetti. Rimane un certo automatismo patriarcale della situazione che si tramanda, nell'immaginario, da padre in figlio.
La
metropoli congestionata, sessuofobica e stressante rende impotente il controllo e la difesa
dei bambini distraendo i genitori e i figli maggiori e favorendo le opportunità per la pedofilia
violenta. Soprattutto perché il papà è meno consapevole. O i papà tutti? Un aumento di autoritarismo è possible? E' auspicabile?
Crescere
è andare in giro per il mondo, all’avventura, anche con una bicicletta e uno
zaino e imparare a non uccidere i sentimenti e le passioni, per quanto
conturbanti siano, a non cancellare il prossimo fino a dimenticarsene. La
memoria, anche se inquieta e a volte imbarazza, è fertile. Metafora di un paese
che rimuove la memoria storica e con troppi scheletri nell’armadio questo film
ha il sapore della scuola di cinema, anche se ben seguita.
Quasi
un piano sequenza senza stacchi di oltre 3 minuti dentro uno spazio fotografico
in 3D e un tempo reversibile ma di semplice decodifica. Perfomance tecnica
poderosa su una struttura narrativa un po’ troppo standard. Triangolo scoperto,
litigio, tragedia, fuoco, pompieri….
Ecco
com’era la guerra fredda, una bomba pronta a esplodere, almeno secondo la
vulgata tradizionale….Atmosfera Le Carré e set e performer di accademica precisione, anche se l’originalità
di questo summit è data dal primo piano affidato non ai plenipotenziari di Usa
e Urss, ma ai loro traduttori, assai più diplomatici e dai nervi quasi sempre saldi e sempre
baipassati e maltrattati.
La
casa nel verde giardino. Padre madre e figlio che sta traslocando. Leziose
inquadrature che ci trascinano nell’intimità di rapporti familiari intensi e di
routine. La casa lo sappiamo è il centro del problema di Israele, anche Gitai
ce lo ha spiegato. Ma qui la storia è messa fuori dalla porta. Nessuno racconta perché e come gli israeliani sono diventati campioni mondiali di Greenland. Ma chi si ricorda bene Chinatown sa bene cos'è successo, come si fa a trasfrmare il deserto in campo da golf, e perché Polanski è ancora perseguitato in California, fingendo che sia per altri motivi...
Casermoni,
teppisti, adolescenza difficile e pasoliniana tra clienti di sesso e ragazzi di
vita. Difficile produrre poesia. A volte riesce, basta un tocco surreale ogni
tanto.
Stilizzato
alla maniera di un noir. Ma noir è sì un’ atmosfera cupo, un piovoso ambiente
metropolitano, ma non si imita tanto dal punto di vista visivo, con le ombre
sui muri e tanto nero spalmato sull’immagine. E’ barocco scontro di poteri.
Lotta all’ultimo sangue. Qui si arriva a sangue versato
Le note a piè immagine, la voce fuori
campo, lo sberleffo, l’ateismo demenziale, la fantascienza che
più povera non si può, la sensibilità stracult, arricchiscono questo esercizio
stilistico di stravaganze brillanti ma anche ripetitive.
La morte vista con gli occhi
di un bambino e di una bambina… O forse cancellata. Fuori schema, fuori format. Fuori moda. Un grottesco poetico sul
gioco macabro della morte al lavoro.
La guerra, proprio dal punto
di vista di chi l’ha vista in faccia e ha perso i cari e ha visto sopravvivere
e forse vincere anche i peggiori. L’umorismo impensabile di quei giorni di
bombardamenti che questa veterana del doc usa come arma di consolazione,
svisata rock insofferente al corto. Come se fosse un promo per un lungo a venire
Un film visto, e rovesciato,
dalla parte degli ultimi, le comparse, come se fosse Hollywood Party di Blake Edwards o Anna di Grifi. Ma anche tra le
comparse c’è chi ha la presunzione di credersi il capo. A lui gli si dà una
bella lezione. Corto perfetto, senza battuta finale.
Menzione speciale della giuria per l'alta qualità della tessitura narrativa e il rapporto suono immagine. L'incubo orwelliano di una società a una sola dimensione ipercontrollata è originalmente isolato al solo mondo della musica, anche se la
dittatura dei ‘suoni unici’ è tutto tranne che utopia negativa. La carica
fantascientifica si contamina con il taglio mockmentaristico, e la situazione
dell’industria discografica contemporanea, nonostante qualche frase fatta francofortiana, appare in tutta la sua mostruosità. Ma per chi è abituato a Sanremo....
Signora molto matura molesta
implacabilmente il minore molto ingenuo per vendicarsi di suo padre. In
Giappone. Film olandese, sessualmente esplicito, diretto da un montatore spagnolo, particolarmente perfido. Questa
insalata di culture è esplicita nel duetto in auto, acido ed eccentrico. Che costituisce la scena madre, il cuore del film. Alla fine è un
pamphlet edificante contro la violenza ai minori.
Se in Italia vige la dittatura
delle commedie i giovani cortisti ne approfittano per sembrare più estremi e ne
deformano lo spirito, le rendono indigeribili, fermandosi sulla soglia dello
sketch e della parodia fuminea. Come in questo caso: la satira demenziale del
mockumentary, ripetitiva, non manca però di guizzi comici noteboli. Ma se il kitsch affonda nel kitsch non c'è conflitto.
Un corto talmente perfetto per
incastri narrativi, recitazione, idee di fondo e settotesti metaforici, da
sfiorare la noia accademica. Purtroppo cede sul finale con il colpo di scena immancabile (per accedere ai finanziamenti pubblici).
L’estrema unzione della movida
barcellonese in questo semidocumento sui rave party sotto tutela poliziesca,
tra droga sesso e rock’n roll rigorosamente spintonati nel fuori campo. Come
vogliono i poteri forti
Simbolo di Berlino e dunque
mito esoterico nazionale, ci sfuggono le infinite
sfumature umoristiche di questa satira, dallo schema ripetitivo, del
documentarismo biografico formato Bbc basato sulle fotografie del “grande personaggio”
del passato ormai defunto, che in questo caso diventa il papà del narratore, un
Orso immortalato in istantanee storiche significative e demenziali.
Siete propio voi il mostro che, la notte scorsa, ha sconvolto i sogni di tutta la comunità che vi circonda. La vostra dolce metà, la vicina di casa, il proprietario del bar dove lavorate, i clienti tutti, il commesso di un drugstore, il rapitore di quel drugstore... Tutti scappano da te, ti odiano, ti vorrebbero morto. Ma l'incubo in cui siete spofondato è solo all'inizio.... Menzione speciale della giuria. Possiede quel certo non so - come se un episodio di Ai Confini della realtà fosse affidato a un cineasta
spagnolo irriverente di oggi - che differenzia un buon prodotto da un eccezionale
gioiello. Una magnifica, originalissima storia, grande ritmo, sceneggiatura
perfetta, effetti speciali imprevisti e insostenibili, azione danzante, suspense, leggeri
tocchi di umorismo, conturbanti e improvvisi detour gore e recitazione giusta.
Si vede che è il frutto della scuola spagnola aperta da un genio dell’horror
contemporaneo, Brian Yuzna, al cui capolavoro Society ci si ispira
filologicamente in una delle scene ‘madri’ della commedia horror. Yuzna, assieme ai padri dell'horror estremo statunitense, Coscarelli, Henenlotter, Tobe Hooper e Craven sono stati costretti dal mercato e dalla censura impliciita al silenzio o al detour commerciale. Per questo Yuzna è fuggito, come Ornette Coleman in rue Monsieur Le prince a Parigi negli anni 60 per salvaguardare le scoperte del free jazz, e ha cercato una sponda e una complicità europea alla sua urgenza politica di produrre immagini adeguate alle mostruosità post umane che si compiono oggi, da Guantanamo al Mediterraneo, da Parigi a Aleppo...Affinché lo spettatore sappia distinguere l'orrore dal torpore. Il regista è del 1984, catalano di Barcellona. Non c'era a Cagliari. Adesso, dopo Appartamento 143, un horror cha ha girato e sconvolto il mondo, è diventato famoso ma sta continuando a fare shorts, come Hide and Seek e (dedicato espressamente a Moretti) M for Mom. Cineasta interessantissimo e da tenere d'occhio....
Molto ben costruita questa
commedia macabra che crea, attraverso un perfetto amalgama tra immagine e
dialogo, tonalità Hitchcock e dissonanze Monthy Python, un sistema di attese
diametralmente opposto alle aspettative. L’unica cosa non sorprendente purtroppo
è il grande finale sorprendente troppo accuratamente preparato …..
Deliziosa parodia di una
doppia serie di film, quelli europei, sentimentali e miserabilisti, sulla
monocultura calcistica nell’Africa nera, unica soluzione alla povertà totale, e
quelli africani sul desiderio di emigrare da una condizione di indigenza e di
sottosviluppo. Qui il regista spagnolo parla invece di ragazzi neri di passaporto spagnolo che non vedono l’ora di
andarsene da questo paese orribile e senza futuro. Insomma di scapparsene al
più presto…dalla Spagna.
Corto a sketch, ma rovesciato
e un po’ banalizzato. Tipo: le donne al volante sono tutte un disastro….Se
rimorchia un uomo va tutto bene ma se rimorchia una donna, che non è abituata,
lo fa a suo rischio e pericolo. E soprattutto sono guai per tutti
La crisi e la Spagna. Ci si
vende al reality show. Ma la situazione è davvero tragica e neppure la tv ti
salva, anzi… Grottesco non privo di spunti deliziosi ma anche costretto al
colpo di scena finale, cui si arriva attraversando non pochi luoghi comuni del
genere ‘quinto potere diabolico’.
Migliore colonna sonora (Club
Moral compresi) tra tutti i corti di Cagliari e premio dadà per questo inno alla vita notturna africana che si sottrae a ogni classificazione di filone e genere. Un’
eccentricità lisergica che si dedica ai freaks delle boite di Adis Abeba (e di
tutto il mondo), che chissà cosa devono inventarsi per far fronte alla
disperazione (qui una divisa e i baffetti da Hitler) senza i quali ubriacarsi e
ballare tutta la notte e divertirsi non sarebbe la stessa cosa.
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