Shoot! Clint Eastwood |
Mariuccia
Ciotta
L'occhio
inquadra l'obiettivo, sceglie distanza, posizione e luce giusta...
shoot.
Solo che Chris Kyle non è un regista. E' un cecchino, il migliore.
Dietro l'obiettivo, Clint Eastwood sovrappone l'effetto del ciak, la
danza fantasmatica del cinema, con l'”action” che dà la morte.
Si inserisce là dove sfuma l'assoluta certezza del texano, tiratore
scelto del corpo speciale dei Seals, e lo demolisce dentro. Lo
sgretolamento del giustiziere - sceriffo, ispettore, tenente - da
parte di se stesso è il leit motiv del cineasta dai tempi di Dirty
Harry che ritorna,
sempre più declamato, in Le
bandiere dei nostri padri, Lettere da Iwo Jima,
Gran Torino,
quando l'ex marine cinico e disilluso confessa l'assassinio di un
soldato inerme, nemico in terra di Corea, senza che nessun
superiore glielo avesse ordinato. Dall'allora quel ragazzo ritorna
notte dopo notte a tormentarlo... e finisce nel corpo minuto di un
bambino iracheno in American
Sniper.
Bradley Cooper in American Sniper |
Il
film ha un primo impatto devastante, non si può volgere lo sguardo,
siamo tutti Chris Kyle sul tetto di un edificio a Sadr City,
costretti a decidere all'istante se premere il grilletto sul piccolo,
carico di un ordigno esplosivo, o mandare all'inferno un'intera
squadra di marines. Questa è la guerra, questo è il “my job”
contro i terroristi delle Twin Towers, la valorosa spedizione per
salvare dai “selvaggi” i compagni.
Il
vero protagonista, autore dell'autobiografia best-seller da cui è
tratto il film, non si è chiesto se la coppia Bush/Blair mentiva
sulle armi di distruzione di massa. E’ andato a combattere per il
“paese più bello del mondo” e ne ha fatti fuori 160 o forse 255
tra Falluja e Ramadi, tanti da meritarsi il titolo di Leggenda.
Patriota, texano, macho, quasi identico all'attore che l'interpreta,
Bradley Cooper, ma delicato nell'animo, voglioso di casa e d'amore,
una moglie adorante e trepidante, due figli, trascurati per un ideale
più alto, il bene collettivo. Lui è un “cane da pastore”,
difende il gregge, né un lupo né un agnello, come gli ha insegnato
un padre roccioso, fucile imbracciato e colpo in canna per stendere
un cervo regale, alter ego dell'elefante di Cacciatore
bianco, cuore nero.
Bradley Cooper |
Eastwood
taglia le immagini con lame affilate, scarta la dimensione emotiva,
si cita nelle scene grottesche di addestramento,
non cede al
romanticismo. Di eroi non c'è traccia. Chris Kyle è un uomo privato
dalla facoltà umana di scegliere - così è la guerra - e il film ne
mostra le conseguenze. Per la seconda volta un bambino-soldato gli
passa nel mirino, “non prendere il fucile, non prenderlo!”
implora il cecchino. Soltanto il cinema può accontentarlo, e va in
dolce dissolvenza.
American
Sniper è una
radiografia radicale dello sport ammazza-uomini - attualmente
preferito alla via diplomatica - che il regista accosta con gusto
beffardo alla disciplina del tiro a segno: il rivale di Kyle è un
sensuale, bellissimo siriano in trasferta, ex campione olimpionico.
Al disinnescatore di mine, quindi dalla parte dei vivi, di The
Hurt Locker, film
Oscar di Kathryn Bigelow, Clint preferisce il killer nascosto tra le
fenditure dei muri, essenza estrema della morte in agguato, lo
stesso personaggio che in Gli
spietati colpiva
dall'alto di una roccia un cow-boy ferito e invocante un sorso
d'acqua. L'angoscia gelida dell'uccidere, la malattia mentale che
penetra nella parte nascosta dai muscoli d'acciaio, il disfacimento
dell'umano, tutto sintetizzato nell’immagine ossessiva degli
occhiali scuri che Kyle non abbandona mai, marca Wiley X, product
placement del
classicismo tragico di Nick
mano fredda e dello
“spietato senza occhi” interpretato da Morgan Woodward.
Chris Kyle, il cecchino |
Il
cecchino impegnato nella “missione per conto di dio”, e in
particolare nell’eliminazione di uno djadista di tarantiniana
efficacia, “il macellaio” (che sembra uscito da Driller
Killer di Abel
Ferrara) sentirà smuovere dentro di sé qualcosa che assomiglia alle
deformità psico-fisiche dei reduci, di cui, tornato dopo quattro
“turni” dall'Iraq, si prenderà cura, anche lui catatonico,
immerso in un delirio di visioni e rimbombi, assente dal giardino
fiorito del Texas dove frigge il barbecue familiare.
Fine
di ogni pulsione vitale, nemmeno la lotta contro il “male” darà
più la carica al “Diavolo di Ramadi” che voleva fare il cow-boy
da rodeo, e che vaga ancora nella nebbia dei campi di battaglia. Una
coltre di polvere offusca lo schermo, rinuncia all'atto di vedere,
messa fuori fuoco definitiva. E come nella tragedia greca non c'è
risposta, non c'è soluzione, tutto resta in sospeso, se non l'idea
che ognuno è responsabile delle proprie azioni, tema caro a Eastwood
l'individualista.
American
Sniper lascia
inquietudine, scandalo
e disorientamento per
questo suo innocente
assassino, il
“narratore” disturbante che non concede vie d'uscita. Chris Kyle
aveva scelto di combattere la morte con la morte, e finirà ucciso, a
coronamento simbolico, proprio in un poligono di tiro da uno come
lui, un reduce affetto da disturbo post-traumatico.
Eastwood
lo accompagna nella processione funebre, lungo l'interstate 35, tra
Midlothian, la cittadina di Kyle, e il cimitero militare di Austin,
lungo 250 km di folla assiepata e silenziosa, un'immagine desolante
che ricorda le bandierine meste sventolate al ritorno degli eroi
fasulli dell'invasione di Grenada in Gunny.
Clint Eastwood cita la scena finale di Gran Torino |
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