martedì 3 settembre 2019

La Mostra sulla via della seta, passando da Ryiad

Ji yuan tai qi hao (No.7 cherry Lane) di Yonfan
Roberto Silvestri

VENEZIA. Non solo nel calcio. Ora investono anche nel cinema. I regimi wahabiti, terrorizzati per secoli dall'immagine, iconoclasti per motivi religiosi, considerando blasfema la rappresentazione della figura umana, visto che è stata creata a immagine e somiglianza di dio, dal nulla,  ed  è inimitabile, soprattutto in supporti mercificanti, anche se artistici, iniziano da qualche anno a finanziare il cinema, a tollerare la tv, a organizzare festival, a favorire il finanziamento di progetti giovani e di donne. Molti film ormai sono stati ideati a Doha o a Dubai, ed è arrivato in competizione perfino un'opera dell'Arabia Saudita, diretta da una regista, Haifaa Al Mansour, Il candidato ideale. Un medico donna, che guida la macchina (da pochi mesi ormai è permesso), indignata perché il pronto soccorso non è raggiungibile facilmente dalle automobili e le barelle devono superare viottoli di fango e sassi per trovare assistenza, dopo inutili lamentele respinte dai burocrati, si trova quasi per caso candidata alle elezioni municipali. Anche se i bookameker la danno stra-perdente, in campagna elettorale, è sulla strada da alfaltare che punta, perché bisogna toccare corde concrete, quelle che dicono i qualunquisti di ogni parte del mondo "interessano davvero i cittadini". A parte questo la ragazza  fa mosse sempre più eretiche, e passo dopo passo conquista piccoli pezzi di potere immaginario, anche se resta assodato, ed è un macigno simbolico da strappare come il velo integrale, che la donna abbia costantemente bisogno di un tutore maschio per ogni movimento che compie, urbano, provinciale, regionale, nazionale e internazionale. La richiesta di un visto per l'espatrio come parlare direttamente agli uomini in pubblico senza l'uso di uno schermo. Ecco infatti perché il cinema è tollerato. Si tratta di un gioco di ombre, di pixel, di tubi catodici. Soprattutto se, come in questo caso, la rappresentazione delle personalità è così schematica e manichea: il buono il cattivo, l'opportunista, l'addolorato, la gelosa, il burocrate, la mannequin, la casalinga pia, il ferito che non vuole farsi curare dalla dottoressa e preferirebbe (ma poi cambia idea) morire tra le braccia di un infermiere, purché sia uomo....Un'altra cartuccia "sovversiva" sparata dal film è l'uso della musica, il padre della dottoressa infatti è un musicista classico che finalmente ha l'autorizzazione a tenere "diabolici" concerti dal vivo nelle piazze del paese. E qui il tono diventa propagandistico è direttamente contro l'Iran la polemica, perché per anni, colpa di Khomeini, ogni tipo di musica e danza, perfino derviscia, era bandita per la sua potenza sensuale (Makhmalbaf è diventato un oppositore, lui così fanatico, proprio polemizzando con quella crociata).

Mila Alzahrani protagonista di "Il candidato ideale"
Nei paesi cattolici non ci sono questi problemi. Anzi il regista più blasfemo di tutti, Paolo Sorrentino, si permette di irridere queste fantasie feudali, facendo scrivere sui poster del suo nuovo film tv, The New Pope" non regia di ma "creato da Paolo Sorrentino". Una finezza da Oriana Fallaci.
Ha molto colpito il pubblico del festival il cartone animato di un cineasta cinese, ma anche fotografo e pittore celebre, Yonfan, "No.7 Cherry Lane". Le vertiginose conquiste tecnologiche dell'animazione in 3D qui sono ignorate. Lentezza invece che dinamismo veloce. Pochi gesti animati in quadri per il resto fermi, e oltretutto rallentati, come i salti di un gatto grigio, l'evoluzione nel vento di un foulard o di un manifestino  politico inneggiante alla Grande Rivoluzione Culturale Maoista. Anche se qui siamo a Hong Kong, nel 1967, quando le bandiere del Regno Unito venivano bruciate e il peso neocoloniale di Londra era più intollerabile della prospettiva di unificazione con Pechino. Uno studente molto cinefilo e progressista, che gioca a tennis senza palla con un collega solo per citare Blow up di Antonioni, si innamora della misteriosa madre di una sua allieva d'inglese (una giovane indossatrice che vive l'ebbrezza di un paese in piena esplosione consumista) e con lei insegue i film di una attrice francese (Jeanne Moreau? Simone Signoret?)  che, notoriamente sensuali e peccaminosi, li avvicinano pericolosamente. La donna viene da Taiwan, si occupa di import esxport di beni di lusso, ma è una comunista, forse ex spia rossa di Pechino, costretta a lasciare Taipei. Ilsuo disincanto di fronte al progetto maoista è visibile quando, incrociando una manifestazione di guardie rosse locali, esclama: "questa non è una rivoluzione vera". Probabilmente faceva parte della "fazione nera"di Liu Shao Chi.

Il regista cinese Yonfan
Ma non sono questi accenni politici a rendere interessante il cartoon, quando la nostalgica passerella, attraverso personaggi e situazioni "minori" del cinema hongkonghese degli anni 60 e 70, quello nuova onda che insegnò al mondo a trasformare una inquadratura in un fuoco d'artificio, anche se statica, mossa solo da impulsi poetici. Si sente dietro il disegno la presenza di Tsui Hark, per esempio, non solo quello impegnato e rivoluzionario di Incontri pericolosi del terzo tipo (che gli inglesi proibirono e che raccontava, attraverso metafora insostenibile lo stato di servitù del popolo honkonghese rispetto alla City) ma anche quello romantico di Pechino Opera Blues o Shanghai Blues che trasformava i cento tipi di lotta alla Bruce Lee in moti interiori della passione e in combattimenti d'amore.  Non è un caso se tra le voci che arricchiscono il parco suoni del film ci siano quelle di tutte le super star di Hong Kong (almeno a giudicare dagli appalusi dei cinema accanto a me) e anche di un grande regista di quella scuola, Fruit Chan.

       

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