mercoledì 4 settembre 2019

I disegni e gli scritti profumati di Angela Ricci Lucchi




VENEZIA
I Diari di Angela. Secondo capitolo

Si ricomincia dal monte Ararat. Da dove la vita era partita di nuovo, dopo l'apocalisse delle acque. Walter Chiari che è lì, sulle orme di Raphael Gianikian, scampato al genocidio del 1915-1916 e oltre, ce lo indica con il dito, lontanissimo, altissimo, una punta bianca in un panorama che va in dissolvenza dopo altre due formazioni montuose.
Anche Angela Ricci Lucchi, pittrice, cineasta, scrittrice fine che annota sul suo diario il 23 dicembre 2015, citando Mandelstam, “io non ti rivedrò mai più miope cielo armeno”, riferendosi proprio al viaggio del 1987, e agli occhi del mondo che non funzionarono d allora troppo bene, è una sopravvissuta alla grande violenza del secolo, perché abitava da piccola nel 1944 e fino alla primavera liberatrice del 1945, sul set italiano peggiore, in un paese e nelle campagne della Linea Gotica, tra retate naziste, vendette alleate, cibo introvabile, bombe che “si abbattevano sulle nostre teste, sulle case, sulle strade, sui campi, sui fossi”. Le immagini segrete e intime filmate da lui, le parole e i disegni e i silenzi di lei, questa volta, duettano a distanza, mentre la scrittrice Lucrezia Lerro dove manca la registrazione audio originale di Angela, più che leggerne i testi si fa eco, voce del coro, coda musicale.

Angela Ricci Lucchi (1942-2018)

E dalle radici armene di Yervant all'America, anche se nel fotogramma le acque degli uragani e dei maremoti (New Orleans?) occupano nella sovrimpressione le parti basse. In America per due volte di seguito, 1980 e autunno 1981. Un tour, il secondo, in ben16 tappe. Università, cinema d'essai, musei, istituti culturali, hotel, l'ospitalità di amici, il vagabondare nelle strade tra la segnaletica pop del paese di Reagan e di dio... A volte il pubblico è folto ma la proiezione mediocre, a volte succede il contrario. San Francisco, Los Angeles, Toronto, New York, Minneapolis, Vancouver, El Paso, Pasadena, Berkeley, Madison, Pittsburgh, Utica, Binghampton, Chicago.... Stancante. Yervant ne è provato. Sopravvive a 24 voli interni Pan Am. Come i padri pellegrini a un anno di traversata. Nonostante la gloria.
Non è così scontato per una coppia di cineasti underground europei, Yervant Gianiakian e Angela Ricci Lucchi, girovagare per gli States nei primi anni 80, con i loro “Scented Film”, con le bottigliette delle essenze alchemiche cinquecentesche da liberare in sala - perché di “cinema profumato” allora si trattava - esperienza sinestetica unica e inebriante tra immagine e odore, ospiti dei colleghi d'oltreoceano. Che realismo può esserci nelle immagini se gli odori del mondo non si riescono a restituire. John Waters elabora stratagemmi simili in quei mesi. Jonas Mekas e i suoi amici li avevano chiamati dopo un primo successo all'Anthology Film Archive, ma un'eco simile tra la comunità dei film-maker sperimentali o nei giornali di punta della controcultura e dell'establishment, dal Village Voice al New York Times, era inimmaginabile.
Torneranno molte volte Angela e Yervant al Moma di Manhattan e al Museo d'arte moderna del Queens, da dove l'11 settembre del 2001 vedranno le gemelle crollare.

I cineasti sperimentali Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi 

Il capitolo secondo dei Diari di Angela, intitolato Noi due cineasti, uno dei momenti magici della Mostra 76, è composto come il primo di materiali filmati eterogenei, meno 'compatti' e rilavorati del solito. Non i reels di repertorio fermati rallentati ricolorati decolorati della Grande orribile Guerra, del genocidio armeno, di Luca Comerio, degli archivi di Mosca, del Colonialismo, o il girato dalle collezioni di bambole e giocattoli o dai festival dell'Unità. Qui siamo nel campo ancora più libero dell'home movie e dell'improvvisazione mnemonica, al montaggio asincronico di momenti di vita e di lavoro, sulla base dei diari, immagini private, registrazioni, risignificazione di un connubio artistico che molto deve ai bellissimi disegni da fumetto espressionista di Angela: “macedonia o insalata russa di ciò che frulla nella mia fantasia secondo i giorni e le notti” scriverà mentre Yervant inizia a elaborare col robot “von Polzum Aequator”, il film che decreterà il successo mondiale dei cineasti. Le sofferenze private, le operazioni, la malattia, la gamba rotta, e le sofferenze politiche, Praga 1968, il riflusso politico, la memoria che sbiadisce. Le gite, in Alto Adige nel 1984. Il lungo studio sul fascismo e i suoi emblemi. E le sue vittime. Etiopi, zingari.Cristiani stessi. A giudicare dai brani per me inediti che sono il cuore horror di questo film. Pasqua 2007. Al Santo Sepolcro di Gerusalemme. Un pellegrinaggio religioso che diventa una gigantesca manifestazione di odio tra cristiani di differente provenienza e prepotenza per aggiudicarsi più centimetri quadrati possibili dentro la chiesa che li dovrebbe rappresentare tutti. Ci vogliono i soldati armati di Israele per calmarli. Quelli di Brooklyn con la Croce pesante che asfaltano chiunque si presenti davanti a loro, con gli occhi violenti del fanatismo fondamentalista. “Molte cose non descrivibili. Gli odori. I puzzi. I sapori. I sudori. L'odio. Durante questo viaggio ho sofferto per l'odio che trasudava ovunque. Mi si è bloccata la parola. Non riuscivo più a districare le parole. Ho detto a Yervant: devo stare in silenzio e riposare. La regigione è usata come un'arma feroce”. Per dividere cattolici di rito diverso. Cristiani ortodossi di rito diverso. Copti e Etiopi. Armeni e Greci e Russi. Serbe povere con il loro Pope. Armeni in fuga dall'Iraq. Siriaci. La torre di Babele vista per la prima volta nella sua essenza. Ecco da dove viene quell'urlo poco calvinista dell'ultimo film di Paul Schrader. Il Makhmalbaf del Nuovo Testamento, First Reformed – La creazione a rischio.

Nessun commento:

Posta un commento