Roberto Silvestri
Durante l’aggressione in Vietnam
anche in Inghilterra furono non pochi gli attentati terroristici, incruenti, o sanguinari solo per
sbaglio, a basi militari americane o a residenze (vuote) di politici britannici
favorevoli all’escalation dei bombardamenti nel sud est asiatico.
Un episodio poco noto, che i
media del Regno Unito attribuirono genericamente agli irlandesi dell’Ira, ma
che si ispirava alle tecniche di resistenza violenta delle suffragette, l’ala
radicale di un movimento emancipazionista più ampio e possente, raggruppate
nell’ Unione politica e sociale delle donne (Wspu) , borghesi e proletarie,
che, all’inizio del 900, esaurito ogni
mediazioni parlamentare, indissero sfrontate manifestazioni di strada, si
difesero dai manganelli della polizia, affrontarono le prigioni del re,
spaccarono vetrine, sabotarono linee elettriche e cassette delle poste e fecero
esplodere con la dinamite la dimora estiva di un ministro contrario al voto e ai dirittti politici delle
donne che pure producevano ricchezza, sottopagate, nelle fabbriche, e per 13
ore al giorno.
Queste azioni di guerriglia
incruenta a fin di bene (il voto alle donne si ottenne, anche se parziale, nel
1918, come si sconfisse Nixon in Vientam) sono al centro e sullo sfondo di un
anticonformista film politico in costume che festeggia anche il suffragio
universale conquistato in Italia, grazie alla Resistenza, proprio 70 anni fa.
Si intitola “Suffragette”, cast, troupe e spirito femminista, regia di Sarah
Gavron, copione scritto dalla storia e
rielaborato da Abi Morgan. Non manca la leader in clandestinità, Emmeline
Parkhurst (Meryl Streep), la farmacista bombarola Edith Ellyn (che è Helena
Bonham Carter), il maschio operaio che perde la ragione quando si mette in
discussione la sua centralità e superiorità “simbolica”, la “traditrice opportunista” che però
prefigura una più equilibrata classe operaia restia allo slogan qualunquista
“fatti e non parole” e insensibile al fascino dell’atto emblematico, isolato e
risentito; la martire Emily Davison che si gettò sotto il cavallo del re
durante il Derby del 1913 scioccando il mondo e la ricca moglie di un
parlamentare, Alice Haughton, che chiede pari salario mentre gli operai maschi
la sbeffeggiano (“ma tu non hai mai lavorato!”) e ha la fierezza indomita ed
egemonica di Mary Poppins. Manca solo il finale della storia, con la Parkhurst
interventista liberal che inneggia alla guerra patriottica. Erano soprattutto
riformiste umiliate, non socialiste rivoluzionarie, le suffragette. Ma che coraggio. E' vero che per convincere Lloyd George a firmare la legge che concedeva il voto alle donne maggiori di 30 anni (e senza che si potessero presentare candidate, per il momento) furono anche movimenti femministi meno radicali e abili tessitrici dell'accorto tra Labour Party e liberali, contro i conservatori. Ma senza qualche dimostrazione di forza robusta, come sempre, i centristi moderati proprio non riescono a muoversi.
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