Roberto Silvestri
Dopo il successo parziale
del Front National nelle elezioni regionali di Francia, e le copertine dei
quotidiani e dei settimanali transalpine che raffiguravano la biondissima
Madame Le Pen come una novella Giovanna d’Arco, soldato della cristianità in
armi contro pagani, infedeli e eretici, ci si chiede, analizzando un film che è
nei nostril cinema in questi giorni, Mon
roi, cosa c’è questa volta dietro
una grande donna di destra, che senza il suo uomo dominante non è nulla. Certo. C’è un papà
illustre, come mon roi, anche se è
stato messo provvisoriamente da parte perché più impresentabile del boss Trump.
C’è lo Spirito della Francia cattolica. Ma io credo che ci sia qualcosa di più.
Non l’Europa, che è sostantivo femminile e che andrebbe messa in epoché,
secondo la signora col tricolore sbandierato.
C’è l’Idealismo come
inguaribile mon roi delle nostre destre, dai Salvini agli Orban. C’è l’Io. C’è
il solipsismo che di tanto in tanto riemerge a cancellare ogni vizio
cosmopolita. C’è l’incapacità di definire l’altro se non alieno, differenze e
anche un po’ pericoloso.
Emmanuelle Bercot in Mon Roi di Maiwenn |
Secondo il filosofo
fenomenologo Emmanuel Levinas, le cui origini ebraiche certo, secondo i Le Pen,
compromettono la sua francesità, scriveva che “l’Io non è né soggetto, né amore
attraverso i quali tenderebbe all’essere. Il dialogo non riassume la società,
perché non include il terzo. La condizione di un io nel mondo non si definisce
né con la sua struttura di soggetto – che pensa il mondo come oggetto – né con
la sua struttura d’essere che ama scegliendo un essere ma dimenticando gli
altri. L’Io si definisce, a differenza che nell’Idealismo, con la giustizia. Il
rapporto tra uomini non va da me a te, o da me al mio alter ego, ma passa
attraverso gli altri, l’apparizione degli altri. Io=io dono agli altri”.
Tradotto in politica non c’è sinistra senza donare agli altri. Lo ha fatto
Roosevelt I e II. Kennedy e Obama. Tradotto in cinema è il grande insegnamento
etico che, dalla costituzione Americana, quella che punta alla felicità di
tutti, è diventata nel cinema l’individualismo democratico, da Frank Capra a
Spielberg, Dante, Zemeckis e Landis. Un quartetto composto dai valori che
guidano il comportamento non degli europei ma di tutto il mondo anti fascista.
Libertà, eguaglianza, fraternità e giustizia. Invece il cinema francese degli
ultimi anni sta emanando cattivo odore e pubblicizzando cattivi umori.
Prediamo Mon Roi.
Louis Garrel in Mon Roi |
"Tu, tu. Mio tetto,
mio tutto, mio re" canta l'idolo pop uruguagio Elli Mederios in questo
emblematico film dei nostril tempi. E’ nelle nostre sale, dopo la prima
mondiale a Cannes e l’enigmatico trionfo in Costa Azzurra, il film-Eurocanzone Mon
Roi, love story diretta da Maiwenn, genere sentimentale, quello che i
registi e le registe transalpine sanno maneggiare con maggiore perizia e
sfoggio di nuances - ma qui è più che altro idolatria da matrimonio che
non ammette sfumature - e che ha permesso alla attrice e regista Emmanuelle
Bercot (nonché collaboratrice alla sceneggiatura di Naiwenn in Polisse
che fu a Cannes qualche anno fa e fu miracolosamente fu premiato) di
aggiudicarsi ex aequo la Palma d’oro per per migliore sposina del festival. Inspiegabile, anche se un riconoscimento ex
aequo. Ma non va confuso (anche se i maligni lo hanno fatto) con il riconoscimento
semiserio assegnato al cane di Le mille e una notte di Miguel Gomes,
"miglior animale recitante" del festival.
Eppure Bercot, nel ruolo di
una donna autodistruttiva, non smania forse a 360°, e con la gola e con la
lingua, guaisce perfino, per essere o tornare ad essere "la più fedele
adoratrice del maschio latino"?
Questi problemi d’identità
sessuale, di riconquista del genere, più che una epidemia misteriosa da
suicidio-omicida che colpisce i ventenni d’ambo i sessi, spiegano l’attrazione
fatale di uomini molto barbuti verso il califfato molto fascista. E quella di
donne inquiete in cerca di una collocazione più precisa, dentro un burka, e al
fianco (e un po’ sotto) dei loro uomini tornati, grazie a dio, definitivamente machi padroni.
Mi sa che per la Bercot, in
questa commedia deprimente serissima, "Je suis Charlie" vuol dire,
approfittando del doppio senso in francese, "io seguo Charlie", vengo
sempre dopo di lui... Se sono rotta dentro mi riaggiusto e ne riconquisterò la
tenerezza che so nascondersi dentro la scorza del duro... Inquitante davvero se
fosse così.
Il film (del genere
rimatrimonio, ma per nulla screwball)
è un inspiegabile duetto d'amore e odio, un'odissea di liberazione che dura
estenuanti 2 ore e più, dopo una relazione decennale complicata da scenografie
coi colori pop sparatissimi e oggettistica kitsch sbandierata ovunque, dentro e
fuori gli interni domestici.
L'idea centrale è quella
che il super macho smetta a un certo punto di esser solo attratto da
donne-manichino, sempre tutte uguali e noiose. E a quel punto una donna che sa
giocare di contro balzo e mettere nel sacco un paio di battute spiritose e
inaspettate (aiutata da un fratello, Louis Garrel, per la prima volta davvero
brillante, quasi lubitschiano) che riescano a sorprenderlo, a scoprirne le zone
dark, intime e pornografiche del "sentimento", lo farà suo.
Non troppo originale, vero,
questa apologia della donna con le palle che sa sottomettersi?
Così lei, Tony, in un night riadesca nel giorno giusto (letto sull'oroscopo?) un lui, Georgio, Vincent Cassel, che già l'aveva fulminata da studentessa-lavoratrice. Ora è un imprenditore farfallone di effimero successo (ristoratore) e, non lo manda a dire, da sempre un impenitente sciupa femmine. Ma la fa tanto ridere. Tony e Georgio in effetti sembrano nomi scelti per rendere universale il film, e farlo piacere non solo fuori dalla Francia ma anche dalle coppie gay e lesbiche. Georgia on my mind.... Mon Roi Cassel (piacionissimo, che si compiace di farsi vedere, come al solito, dall'epoca di L'odio non riesce mai a portare se stesso in un viaggio schermico avventuroso e inquietante, fuori dall'ammirazione obbligatoria), il disinvoltone, miracolo, se la sposa. E prende tutti in contropiede. Poi il figlio. E le corna. Scandalo, urla, separazione. Forse un ritorno.. Più probabilmente un suicidio (di lei). Il pubblico dice: approfittane! scappa! scappa!
Il film inizia dalla fine, e poi fa un lungo flashback, con l'incidente di sci che rompe la gamba, malamente a Tony, ricoverata in un centro di riabilitazione dove la ritroveremo nel corso della storia tra le mani sapienti di un fisioterapista. Una paziente in via di guarigione, attorniata da una assistenza di lusso (congratulazioni per il ministero della sanità) e soprattutto da una rosa multiculturale e sorridente di riabilitati, che neanche Benetton.
Cassel, Maiwenn e Bercot a Cannes 2015 |
Il suo personaggio si
nasconde dietro il ben dire, ma non riesce mai a catturare una sonorità
charming o la postura sexy e impudica di chi sa indagarsi dentro e
rappresentare un orginale bersaglio del desiderio. Tony non è una donna
problematica a tal punto da giustificare un approccio così tecnicamente
variegato e costantemente sopra le righe. E' una masochista moderata che ha
perso la gioia di vivere, da quando il suo uomo, Giorgio l'ha abbandonata,
facendole perdere l'equilibrio interno ed esterno. E soprattutto si è fatto
pignorare maldestramente un mobile di famiglia a cui teneva profondamente.
Così assistiamo all'ascesa
e alla caduta e alla ricucitura di un personaggio senza essere mai
"trascinati dal vento", senza esserne travolti. Piuttosto sfogliamo
un saggio da scuola di recitazione. Bercot è manierata nel pianto, nel riso, nell'urlo
di disperazione; se la cava così così nei litigi, nella seduzione,
nell'amplesso, nell'amore filiale, sfuma lo sbigottimento, accentua la
perplessità... come soltanto una professionista da sit-com sa fare, stile
Giorgio Albertazzi nella parodia di Carmelo Bene.
Non è, purtroppo, un robot
commuovente che cresce tra le mani del dottor Frankenstein. E' Bercot. Al
naturale. Rappresenta solo i bordi estremi di un personaggio (non standogli mai
"un po' accanto", secondo il saggio metodo brechtiano di Margherità
Buy in Mia madre) memorizzato anche nei gesti più improvvisati, sempre
conditi con tic e orpelli. Insomma passeggia sullo schermo come su un
marciapiede. Diciamola tutta. E' tremendamente, oscenamente disinvolta. O è
solo tutta colpa degli anti dolorifici?
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