di Roberto Silvestri
Dal 1980 non ricordiamo un
film d'apertura di Cannes così brutto e abietto. Neanche quel polpettone
nazionalista di Fort Saganne, tanti
anni fa. Con Gerard Depardieu legionario giovane,
quello. E questo con l'altra gloria nazionale e leggenda vivente,
Catherine Deneuve, nel ruolo di un giudice minorile, sempre con
quell'aria distratta, sufficiente, appagata compunta ed “eternamente
giovanile.
A testa alta, che era fuori competizione a Cannes e in Italia è uscito senza grande successo qualche settimana fa nelle sale, è diretto anzi riportato all'ordine da una messa
in scena squadrata e autoritaria dall'attrice-sceneggiatrice-regista Emmanuelle
Bercot (già semiresponsabile di quell'elogio lepenniano alle forze
dell'ordine che era Polisse, 2011, regia della amica e complice Maiwenn, che l'ha diretta nel gemello Mon Roi). E comunque si avvale
di due attor giovani, il biondo protagonista Malony (Rod Paradot) e
la sua amata ragazzina skinhead Tess (Diana Rouxel) che sarà bene
tener d'occhio perché sembrano sarcasticamente distaccati
dall'atmosfera nella quale sono costretti a muoversi qui e cioé come - si
immagina – facciano gli strafattoni adolescenti di oggi. Cinici
maleducati arroganti e indemoniati.
La polemica sotterranea
del film è contro l'ispirazione giuridica imposta dai rooseveltiani
nordamericani nel 1945 alla Francia e nonostante tutte le sei sette riforme del
settore postbelliche ancora valida, e che pretende la rieducazione e non la più severa punizione per i delinquenti (e non solo minorenni) che come si sa sono irrecuperabili. I
film americani ci dicono che negli Usa quella ispirazione giuridica è
stata già tradita (anche in Vizio di forma ce ne siamo
accorti, e si era attorno al 68). Cosa aspetta l'Europa a girare
pagina e privatizzare le carceri minorili e trasformarle in ditta di correzione severa?
Il nostro protagonista
quindicenne-sedicenne guida senza patente e quasi non manda in
paradiso il fratellino; si immagina che si faccia di tutto; distrugge
macchine; ruba e rapina; lavora più che svogliatamente, altro che
art.18; urla a perdifiato sempre; butta un tavolo contro la pancia di
una donna incinta di 7 mesi; tenta di picchiare gli educatori, appena
possibile; evade dal correzionale più volte (e, non essendo né nero
né maghrebino, non verrà rispedito mai in carcere)... Ma è buono
dentro, perché invoca sempre, quando è alle strette, la mamma e
considera l'aborto il peggiore dei crimini. Ci fossero più
schiaffoni paterni in famiglia, e manette più strette, tutto sarebbe
risolto, sembra suggerirci la regista. E magari aboliamo anche il
divorzio che ha davvero distrutto nel profondo la sacra famiglia...
Oltre al matrimonio gay (non mancano battute omofobe di Malony) e
alla marjiuana come erba curativa.
Liberation
definisce A testa alta un “film sociale sarkoziano”. Di centro destra. Ed è
un eufemismo. Si finge di far pubblicità al sistema giudiziario
francese e agli sforzi immani e commuoventi di un magistrato (donna)
e di un rieducatore dai femminei soprassalti emotivi (e dei
carcerieri, mai così ridicolmente sensibili e comprensivi) per
riportare, con faticosa abnegazione, ai sommi valori (la compostezza
dei gesti, la paternità, l'ideologia del lavoro) un ragazzino
francese di colore bianco (truccato e shakerato come fosse Brad
Dourif da cucciolo), disadattato e nevrastenico, bisognoso piuttosto
di un buon psicologo, perché a disagio perfino nella doom, X, no
future e black block generation. Insomma. Una scarica di cattive
vibrazioni adrenaliniche, addomesticate da uno sguardo paramilitare
preoccupante. Cosa ribolle di malsano dentro la pancia della Francia?
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