lunedì 24 marzo 2014

Non lo so ancora. Una giornata e una nottatta particolare. Il film d'esordio di Fabiana Sargentini, aspettando l'acid test

Donatella Finocchiaro in "Non lo so ancora"


Roberto Silvestri

Anche in Miele: giovane donna (Jasmine Trinca) incontra vecchio affascinante (Carlo Cecchi). La giovane generazione delle registe sta facendo finalmenti i conti con i padri? Siamo al salutare patricidio simbolico? E il progetto di Anna Negri di un film tratto da Con un piede impigliato nella storia che fine ha fatto?
A proposito. Chissà perché qualche cineasta si cruccia di essere collegata a insigni genitori e definito, tra l'altro, "il figlio di tale", "la nipote di talaltro"... come se l'informazione non servisse a comprendere meglio le radici artistiche-culturali di Brandon Lee, Jane Fonda, Robert Downey jr., Angelina Jolie o Michael Douglas. 

Fabiana Sargentini, a sinistra, e Donatella Finocchiaro
Certo, se Anna Negri si lamenta tuttora di essere associata alle opere del suo magnifico papà, e a Toni Negri, l'unico uomo politico in 40 annni che non ci si dovrebbe pentire, come paese, di aver mandato a Palazzo Madama, rimpiangendo tutti, tranne Marco Tullio Giordana, di non esserci riusciti con Pietro Valpreda - e che anche di cinema ne sa più di quanto non si pensi (partecipò perfino a un profetico seminario del Csc epoca Rossellini per trasformare in film vita e opere di Lord Keynes) - è perché l'Italia sta morendo di clientelismo e nepotismo (politico, perché invece i figli di Tognazzi e Gassman, De Sica e Rossellini, Emmer e Crispino, il figlio di Risi e le figlie di Comencini non sono niente male...), maneggia e perpetua un sistema di "luoghi comuni" da rottamare al più presto (altro che i politici...) e ha edificato il suo 'buon senso' su fondamenta peggio che fasciste o clericali, perché ancora più banali come il servilismo, il moralismo, il conformismo... malattie interiori tossiche e degenerative. Basta ricordare il trattamento riservato a Braibanti, Pasolini e a Ultimo tango a Parigi. Alla fifa del Pci quando si trattò di andare al referendum su aborto e divorzio. E ai salamelecchi riservati oggi al pregiudicato Berlusconi perfino dal presidente della Repubblica. E infine perché "io sono mia'. E Toni, per non venir sbranato vivo da Maria Rosa Dalla Costa e dal collettivo del salario al lavoro domestico dell'università di Padova, avrebbe certo annuito...

Fabiana Sargentini sul set di Non lo so ancora
Perfino di un eletto dal popolo, come il professor Toni Negri (mica come Renzi), infatti, il senso comune diffida d'istinto, con la velocità e la soddisfazione da branco di un cane di Pavlov. Come se i reati di Negri fossero frode fiscale, appropriazione indebita, corruzione, sfruttamento della prostituzione (che si vuole legalizzare) anche minorile e mercimonio parlamentare e non quelli commessi per aiutare tutti, anche i magistrati, a colpirli e reprimerli meglio prefigurando un paese migliore, controllato dal basso e non da mafie e servizi deviati (magari dal Fmi e dalla Banca Centrale e dalla Merkel!)... Che stranezza. 

Donatella Finocchiaro
Toni Negri, filosofo della prassi, proprio sui 'luoghi comuni' e sul cattivo 'buon senso' si è messo a lavorare di buona lena, in esilio e dopo, smascherando i limiti della nostra democrazia fin dall'epoca di Potere Operaio processato per reati di opinione, scandalizzando bigotti e ipocriti, psicotici e nevrotici che non hanno ancora fatto il coming out, di qualunque risma, area e cultura politica... Perfino quella radicale, visto che, dopo averlo candidato, il Partito Radicale fece in modo, sadicamente, di costringerlo alla fuga, rifiutandosi di contrastare in aula la richiesta di revoca dell'immunità parlamentare. Bastavano i loro voti. Vendetta inconscia di liberali drastici mascherati da libertari ma terrorizzati da chi aveva contribuito a mandare in malora - tramite quell'incontrastabile corteo operaio durato circa dieci anni - la fabbrica fordista, Fiat e non solo, e il suo sfruttamento bestiale e scientificamente perfido?    

Morando Morandini, co-sceneggiatore
Ma, sicuramente, non è una cineasta di questo tipo Fabiana Sargentina, il cui film Non lo so ancora potreste avere la fortuna di incrociare in qualche sala scelta e il cui padre, come attore, regista, scrittore e gallerista, animatore di mostre d'arte d'avanguardia dagli anni 60 e 70 non è da meno quanto alla militanza sul versante "ecologia della mentalità", e "bonifica delle zone cerebrali più intossicate". Anche se Fabiana ha avuto certamente molti meno traumi, mediatici e esistenziali, di Anna, questo film in fondo è proprio una bella lettera d'amore al padre.

Si vanta infatti, anche nel nome, di essere la figlia di Fabio Sargentini, che aveva fatto dell'Attico di piazza di Spagna e poi di via Beccaria un covo davvero sovversivo, la doppia galleria romana di punta, aperta all'arte vivente e alla ricezione non cloroformizzata, insomma un mondo a parte e un dinamico happening continuo. Senza convergenze parallele non solo con quello di Rumor, Leone, Restivo, Segni, Saragat e Andreotti, ma anche con quello commerciale e apologetico dell'arte dominante. 

il critico Morando Morandini
E dove voragini fertili nell'immaginario erano costantemente  aperte da Pino Pascali, Jannis Kounellis, Luigi Ontani, Piero Pizzi Cannella, Nunzio, Sergio Ragalzi... Piero Manzoni, Fabro, De Dominicis, Sergio Lombardo... artisti incaricati di maneggiare e decostruire le punte alte del patrimonio artistico anche classico ereditato, di sbarazzarsi di ogni immagine 'espressiva' in sé, cioé usurata, isolando e indicandone i detriti più laterali, 'negativi' e dimenticati (come Carmelo Bene alle prese con le parole di Shakespeare; Jonas Mekas con i paesaggi cartolinizzati; Morton Feldman, Charlemagne Palestine, Terry Riley, La Monte Young, con i suoni biopoliticamente utilizzati per addestarre alle merci, Trisha Brown con i muscoli umiliati e sconquassati del corpo, Marisa Mertz con gli occhi che guardano e non vedono...) da liberare, rianimare e socializzare, affidandolo all'occhio e al corpo esterno coinvonti il compito di renderli 'espressivi', significanti, dotati di senso in più collettivo.  

Il poster del film
Era l'arte concettuale, pericolosa come un gatto selvaggio alla catena di montaggio, perchè rompeva tutta la filiera opera/mercato/critico/compratore esclusivo... contagiando nel gioco artistico chi doveva esserne escluso per statuto e per natura. Una Galleria che non ghettizzava le arti, non beatificava gli artisti da culto, ma tendeva all'interferenza nella ricerca avanzata di pittori, scultori, musicisti, cineasti, attori, danzatori, poeti, passanti in grado di creare situazioni in progress. Rompendo ogni barriera tra Arte e Vita.
 
Già i documentari di Fabiana ossessionati dalla maternità, Sono incinta (2003) e Di madre in figlia (2004) - che avevano vinto due festival di Bellaria, diretti da Morandini - cinema diretto montato in prima persona femminile singolare collettiva, dimostrano una certa dimestichezza con le zone più provocatorie dell'arte concettuale, parlare e far parlare gli intervistati di ciò che si sa e si pensa, senza falsi e veri pudori, non per crogiolarsi nel proprio foro interiore e discettare dall'alto in basso, ma scoprendo zone dark impreviste e toccando - se il gioco riesce - coinvolgimenti automatici e orizzontali nel pubblico, che gratifichino i neuroni-specchio, i nostri apparati di comunicazione umana che collegano e mettono in contatto identità familiari e sociali, sistemi simbolici e sessualità, maschili, femminili o diversamente favolose. 

Giulio Brogi e Donatella Finocchiaro
Era quel che aveva appreso dai 'giocattoli' dell'Attico, dagli appuntiti ma generosi strumenti conoscitivi e ludici della sua infanzia e adolescenza, tutti aperti all'avventura dell'ignoto. Arte concettuale, pericolosamente liberatoria e non solipsistica, che fu maltrattata non meno dei gruppi extraparlamentari di quegli anni. Si divertivano troppo, quei contestatori generali. Per cui: censure, arresti, sberleffi, provocazioni, congiure (la droga era lo strumento perfetto per incastrare chiunque, come Kafka aveva spiegato bene nel Processo), condanne, manganelli, campagne denigratorie, esili. Per fortuna sua Pascali morì giovanissimo. Altri sarebbero caduti in alcune trappole ben dislocate nella giungla metropolitana. La droga. Il terrorismo che ipnotizzò le anime più sensibili, incapaci di controllare le proprie zone dark e di conoscere quelle degli altri.
Giulio Brogi e Donatella Finocchiaro

Ambientato interamente a Levanto, sulla costa ligure, il primo lungometraggio a soggetto di Fabriana Sargentini, Non lo so ancora, è stato scritto dalla regista mescolando suggestioni semiautobiografiche varie (e l'ansia della maternitò, ovviamente) con l'aiuto 'strutturante' del giornalista, romanziere e documentarista d'inchiesta Carlo Pizzati, e del critico cinematografico Morando Morandini, conosciuto già a Bellaria, direttore di un piccolo grande festival del cinema che si svolge lì, il "Laura Film Festival", in omaggio alla moglie con la quale aveva redatto le prime edizioni del dizionario il Morandini, e vero ideatore del progetto. 

Giulio Brogi e Morando Morandini a Levanto
Già, è il debutto nella sceneggiatore di questo decano della critica moderna, dopo aver fatto l'attore indimenticabile in Prima della rivoluzione di Bernardo Bertolucci e in Remake di Ansano Giannarelli, aver scritto l'autobiografia Non sono che un critico (1995) e aver duettato con Daniele Segre e i suoi ricordi nel documentario Je m'appelle Morando - Alfabeto Morandini (2010) e con Amedeo Fago nell'omaggio alla moglie, A Laura (2004).  In Era la città del cinema (2011) di Claudio Casazza, Morandini e gli storici e i critici milanesi più giovani rievocano l'importanza delle 'sale perdute' della metropoli, e non solo il mitico Obraz di Enrico Livraghi.  

Giulio Brogi e Donatella Finocchiaro
Non lo so ancora è la storia, un po' irreale, di una giornata di attesa. Di un incontro. Di un tempo sospeso. Ed è anche l'incontro di due storie, generazionalmente asimmetriche (e anche professionalmente, se si pensa alle differenti tecniche degli attori protagonisti, che nascondono o esibiscono la meccanica morbida della loro performance). Sarà amicizia a prima vista, chissà forse anche una certa forma d'amore. Fuori stagione, una donna, Giulia (Donatella Finocchiaro) terrorizzata da ciò che le sta riservando il futuro e inquieta per una relazione appesa a un filo, incrocia un signore di qualche decina di anni più maturo di lei, Ettore (Giulio Brogi, che sarebbe Morandini), all'apparenza chiuso, tosse insistente a parte, se non burbero, perché ossessionato da traumi e dolori del passato e da un presente che non annuncia nulla di buono, ma colto, spiazzante, sardonico e 'ricco' dentro. 

I due, diversamente distratti e attratti, passano (merito di uno sciopero dei treni) un’intera giornata insieme, gironzolando e chiacchierando a bordo del mare, nei caffé, sulla giostra, in una stanza d'albergo, perfino, non senza contrasti e monomanie divergenti, giri a vuoto, separazioni, re-incontri, inseguimenti e delicati avvicinamenti, nell’attesa nervosa di alcuni risultati medici che entrambi aspettano per l’indomani, soprattutto la protagonista, cui verrà comunicato dalla ginecologa se potrà o meno diventare madre o se è affetta da menopausa precoce. E che deve decidere se lascerà o non lascerà il suo uomo (in fuori campo, a portata di cellulare). E se non abbia esagerato a magnetizzare l'interesse, non solo platonico, di quell'uomo....Anche se non vi anticipiamo cosa succederà nella stanza d'hotel. E il risultato delle analisi. E se l'incontro/scontro tra generazioni così lontane sarà intenso, delicato, vitale, fifty-fifty, o opportunisticamente sbilanciato.

Il cinema che esplicitamente punta sulla 'geografia emozionale' sul 'qui non succede niente eppure sentiamo che qualcosa sta succedendo', dall'epoca di Uomini di domenica (1930) non si preoccupa certo della 'storia emozionale' a ritmo di sonata melodica: tema/antitema/contrasto/risoluzione, specialità del cinema di genere e di Hollywood in particolare. Il problema è che Non lo so ancora  non è dramma, non è commedia, non è love story, non è 'dramedy', ed tutto un questo mischiato, non shakerato, con un happy end (che vuol dire finale riuscito, non necessariamente bello e felice) ovviamente garantito dalla trama: che diranno le analisi? Ma, ricordiamocelo. Parliamo solo di quel conosciamo, non vogliamo descrivere il mondo, vogliamo che il mondo si esprima, facciamoci risucchiare dal paesaggio, le ombre, il mare, il verde, facciamo che diventi la colonna sonora, in forma di ballata, di questo esordio interessante ... 

Morando Morantini e Fabiana Sargentini
E anche se i più grandi maestri del genere, quelli delle nouvelle vague mondiali, prima di tutto, e Agnes Varda in particolare, visto che si parla di una attesa di analisi mediche (Cleo dalle 5 alle 7), hanno costruito nel corso del tempo 'dei modelli' di cinema girovago, deambulante e nullafacente. Modelli che prevedono di sfuggire a tutti i modelli, se no c'è la disfatta, l'artefatto e l'artificioso. Mentre ai personaggi è lasciata completa libertà nervosa,  la narrazione è minimale, lenta, tranquilla senza l'ansia della battuta di spirito dopo un terzo, a metà e sul finale... 

Louis Malle diceva che la nouvelle vague non esiste. E anche Morandini nel suo bellissimo libretto sul Nuovo cinema francese del 1964: "Le onde non esistono, non c'è che il mare. Sono le navi che cambiano". Ce ne sono nuove,  giovani insolenti e timide. Che usano non più la camera-stylo di Astruc, ma, oggi, la camera-iphone. Il linguaggio di internet. Qualche acquarello di Luca Padroni, sintesi grafica che prende progressivamente colore, sospende e ritma il tempo... Quelle che affermano come la Varda (e Sargentini traduce) "se si aprissero le persone, vi si troverebbero anche dei paesaggi" e allora perchè non mettere in immagini un dialogo attraverso il paesaggio, invece di raccontare una vicenda? E' addirittura Agnes Varda di La Pointe Courte, del 1954, un provocatorio 'film da leggere'. Costo 7 milioni di lire...

Secondo me di Morandini invece c'è l'idea-chiave contenuta in Hiroshima mon amour di Resnais: "come inserire una storia d'amore in un contesto che tenga conto dell'infelicità degli altri" che qui diventa "come inserire una storia d'amore che tenga conto dell'infelicità dell'altro". Di Morandini, nave esperta, anche certi accorgimenti alla Bresson: siamo indifferenti alla costruzione drammatica tradizionale, usiamo l'ellisse, spingiamo per l'improvvisazione, anche se qualche attore potrebbe non reggere la tensione.       

Il film, girato con pochi soldi in 4 settimane,  presentato alla Mostra di Pesaro 2013, è ancora in attesa di distribuzione, ma sta girando nel solito piccolo circuito virtuoso di sale non omologate. Del resto corsara è stata anche la produzione, che si è avvalsa della Genova Film Commission ma non del finanziamento pubblico nazionale, e anche di una nota e cinefila catena di ristoranti romani, Settembrini. Cinema & cibo, d'altra parte, è un binomio di ferro, e non solo per i pop corn, segnatempo immancabile di ogni blockbuster degno di questo nome, per gli svariati festival sparsi per il mondo che non si vergognano più di dare una connotazione superpositiva all'aggettivo, un tempo stroncante per un film di 'gastronomico' (vedi la Berlinale) e poi per Hitchcock e la sua nota battuta: "i film non sono messaggi da spedire, ma fette di torta da mangiare".  











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