manifesto del film |
Mariuccia
Ciotta
L'estasi
nel martirio del concedersi schiavo, godimento estremo fino
all'umiliazione e alla morte, Venus im Pelz dell'austriaco
Leopold von Sacher-Masoch si trasforma nel divertissement all'acido
di Venere in pelliccia (Venus à la fourrure) diretto
da Roman Polanski, sui nostri schermi proveniente da Cannes e
ispirato all'adattamento teatrale di David Ives, co-sceneggiatore
del film.
Wanda
von Dunajew, la perversa complice di Severin, il “masochista” del
romanzo, si materializza nella voluttuosa Emmanuelle Seigner,
attrice e moglie del regista, primadonna in un film a due voci, lei e
Mathieu Amalric nelle vesti di Thomas, regista teatrale dalle
ambizioni sproporzionate al suo calibro, un po' ridicolo e molto
frustrato.
Emmanuelle Seigner in "Venere in pelliccia" |
La
dimensione erotica originale si infrange subito, dichiaratamente, fin
dall'ingresso in scena di Vanda non più Wanda - quella della Venere
allo specchio di Tiziano, ispiratrice di von Sacher-Masoch -
ragazzona in guepière, fradicia di pioggia, fuori il temporale
tuona, arrivata in ritardo ai provini. L'abbigliamento da
avanspettacolo contrasta con la pièce, e Thomas la guarda
disgustato, Vanda dimostra ignoranza abissale, è l'ennesima
attricetta da quattro soldi sfilata sul palco per tutta l'esasperante
giornata del regista. Chi può interpretare la femme fatale
ottocentesca tra le squinzie ruminanti chewing gum?
Polanski,
lui sì perverso, si attrezza a manipolare la materia grezza della
post-modernità e a estrarre oro dalle rape in un crescendo di
capovolgimenti inattesi. La sua Vanda perde man mano consistenza
umana, diventa l'Ava Gardner di Il bacio di Venere, la
statua vivente di Kurt Weill trasferita sullo schermo da William A.
Seiter ('48).
Emmanuelle Seigner e Mathieu Amalric |
Gioco
di smontaggio e rimontaggio del cinema, ancora una volta, dopo
Carnage, sezionato nello spazio chiuso delle quinte, il film
si inoltra nel luogo rarefatto dell'immaginazione. Vanda non esiste,
il suo nome non figura nell'elenco dei provini, è venuta dal nulla,
fantasma del regista. E, calata nella parte, l'improbabile aspirante
recita alla perfezione le battute della pièce con un'altra voce,
morbida tanto l'altra era urticante, diventa sceneggiatore e
regista, corregge lo sgomento Thomas, modifica l'arredamento di
scena, controlla le luci, comanda. Impugna la frustra virtuale e
punisce l'ometto incapace - i registi senza memoria, arroganti e dal
budget milionario – in un aggiornamento dello schiavo amoroso.
Thomas cadrà ai piedi non tanto della donna ma di Polanski, che
smaterializza sempre più la sua Emmanuelle, trasfigurata in
un'apparizione onirica, attraversata da lampi elettrici, Baccante e
vendicatrice, musa crudele e poi di nuovo Vanda in un'intermittenza
vertiginosa di ruoli.
Emmanuelle Seigner in "Venere in pelliccia" |
Di
lato, c'è anche lo sbeffeggiar di genere, maschio/femmina seduttivi
secondo copione, l'attrice polposa che vuole la parte a tutti i costi
e il regista che non resiste mentre la moglie lo chiama al cellulare.
Spazzatura che Polanski mette in bella vista per esasperare l'effetto
del tocco magico di un cinema mai servo dello spettacolo.
Così
torna lo spirito di Wanda von Dunajew iniettato nella pietosa
disoccupata con la giarrettiera che si muta in Salomé danzante nei
sette veli a pretendere la testa dei tanti Thomas.
Roman Polanski |
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