mercoledì 18 dicembre 2013

Il cinema come happening. Un saggio di Luca Caminati. Da una parte Pasolini, dall'altra Piero Manzoni. I migliori libri di cinema dell'anno sono dedicati all'arte e alla letteratura d'avanguardia?

Piero Manzoni

di Roberto Silvestri 


Il poeta è stanco di ondeggiare quotidianamente tra la figura rossa dello sciamano e quella nera del funzionario 
Adriano Spatola



Adriano Spatola, poeta del gruppo 63
Il 68 breve. E' finito, represso dalla polizia, nel 1964 a Tokyo, Berkeley e alla Columbia University di Harlem, New York. Ma anche in Italia forse è morto prima di nascere, nel 1964. Quando il minimalismo e la conceptual art sono state detronizzate, Piero Manzoni è morto, da un anno, a trent'anni, il Gruppo 63 si è già autoestinto... e l'arte povera ha conquistato non solo il mondo dei mercanti (e Alain Elkann) ma si è impadronita della sfera di cristallo (visualizzando la povertà assoluta crescente nel XXI secolo). 

Ci sono due nuovi libri che consiglio appassionatamente agli appassionati di cinema. Uno è Gruppo 63 - Antologia, Critica e teoria (Bompiani editore, euro 19, 50). L'altro è Piero Manzoni Vita d'artista di Flamino Gualdoni, edizione Johan&Levi, euro 27. Perché agli appassionati di cinema? Perché i rapporti tra artisti visivi e cinema in quel frangente sono strettissimi e fecondi. Non solo Antonioni e Fellini, ma il cinema di genere, Mario Schifano, Franco Brocani, gli underground, Morire gratis di Sandro Franchina lo dimostrano. Adesso, invece.... 

Nanni Balestrini, del Gruppo 63
Alberto Sordi, Paolo Sorrentino, Daniele Luchetti, Antonio Monda, Nicola Piovani... c'è un crescendo nell'occuparsi, perfido e malvagio in alcuni casi o giocondo e inconsapevole in altri, da cineasti, musicisti o da divulgatori emigrati, dell'arte d'avanguardia (di pittura "incomprensibile", di musica postdodecafonica, di cinema sperimentale, di Jean Luc Godard...), fino a ridicolizzarla nel fraintenderla. Si può scusare a Sordi, ma dopo un ventennio di azzeramento culturale ripetuto e continuato,  è piuttosto vigliacco il giochino patrio. E figuriamoci quando Checco Zalone incasserà 200 milioni di euro, soldi pagati per occupare i cinema (una sola volta all'anno) di teleutenti disinteressati al cinema, come ai tempi di Lascia o raddoppia - che almeno ci faceva conoscere John Cage - che sollazzo! 

Potere Operaio collage di Nanni Balestrini (1972)
Fa ancora molta paura, inquieta, evidentemente, l'arte ben temperata, quelle strutture di immagini dissidenti, orizzontali, antisessiste e antirazziste, non logocentriche e non eurocentriche, che non pone altra potenza costituente al di fuori di se stessa e del suo essere non riconciliata con questo mondo. Mai asservita. Leggiamo su Azimuth, rivista indipendente di Piero Manzoni (che aveva fondato una galleria indipendente, seguace di Disney e anticipatore di Luicas): "Larte ha sempre avuto un valore religioso...E' evidente che per portare alla luce zone di mito autentiche e vergini, l'artista deve avere consapevolezza estrema di se stesso e del suo essere dotato di una precisione e di una logica ferrea". La scienza come metodo. Visto che non c'è arte se non sperimentale o di combattimento. Tutto il resto è apologia dell'esistente, idolatria del Mercato, sub-casta, regressione identitaria (cattolica in questo caso) o sghignazzo consolatorio (ben pagato). 

Otto Muehl "Mama and Papa"
Torniamo un po' indietro nel tempo, allora. E prendiamo Federico Fellini in Occidente (e Dusan Makavejev all'est). Olivier Messiaen (e la sua ossessione per il canto degli uccelli, del vento, della pioggia...) che si nasconde dietro il personaggio di Steiner, e dietro le sue aride acrobazie intellettuali, non viene ridicolizzato in La dolce vita, semmai indicato come mistero da esplorare, teorico discutibile e contestabile per riaffermare il 'potere Fellini' sulla vita: la politica non estetizzata ma sottomessa all'artista politicizzato. E l'artista aktionista austriaco Muehl, e le sue orge liberatorie, erano come l'arcivernice utilizzata in Sweet movie per azzardare frammenti di socialismo festivo, nel lugubre mondo titino. 

Otto Muehl processato (e condannato)
Prendiamo ora la Grande Bellezza. Il tono è, invece, sinistro e beffardo, da Antonello Trombadori e CC del Pci. L'artista che pontifica è un paggio nel salotto del politico (che è celato ai nostri occhi, è il sottobosco il regno di Toni Servillo-Jep Gambardella). Bob Weinstein va in visibilio. Vi riconosce, un'altra volta, L'Artista. "Sarà perché in un mondo che non conosce l'aereo ma solo l'automobile chi costruisce aerei viene percepito come un costruttore di automobili sbagliate" come diceva Maurizio Mochetti... 

Otto Muehl, happening
E visto che se chiedete a una assemblea di liceali di qualunque città d'Italia chi conosce Charlie Chaplin o ha mai visto Charlot, nessuno alzerà la mano e scopriremo in un attimo cos'è successo in Italia (l'esperimento è di Maurizio Nichetti, ed è stato effettuato a Trento, la città n.1 per qualità della vita), sarà bene tornare agli anni sessanta-settanta. Quel decennio oltraggioso ma studioso che dette un motore turbo alla rivolta e che, dagli anni ottanta è diventato l'obiettivo unico di una subdola fabbrica del fango che vide Mosca e Manhattan, reazionar-chic e comunist-snob, da La Repubblica al Giornale, uniti nella lotta affinché il mondo non si spostasse più in avanti di un millimetro. Come se la trasmissione della memoria storica si dovesse interrompere con ogni mezzo necessario. Lo scodellamento della bellezza kaput, come un flipper rotto. Il metabolismo culturale del novecento, segnato profondamente nelle istanze rivoluzionarie dalle avanguardie storiche e dalle neoavanguardie sessantottine, un'altra volta ostruito, impedito, censurato dalle semplificazioni della cultura globalizzata (come nel ventennio fascista, nel trentennio Dc o in quello putiniano).

Piero Manzoni, la linea più lunga del mondo
Avanguardia e Formalismo sono congegni-mostri disciplinati e sincronizzati che attivizzano tutte le nostre facoltà nello stesso tempo, che divorano cultura, passato, miti, memoria, che tornano indietro per andare avanti, che scoprono nel nuovo che appare la stessa scintilla che manda in estasi lo scienziato... Ma c'è avanguardia e avanguardia. Quella facile e quella definita, in un indispensabile volume, dall'artista e psicologo Sergio Lombardo "difficile" (edizione Lithos, 2004, euro 25). "Per l'artista si tratta di una immersione cosciente in se stesso, per cui, superato ciò che è individuale e contingente, egli affonda fino a giungere al vivo germe dell'umana totalità (Manzoni, 1957, Azimuth, citato da Sergio Lombardo in L'avangardia difficile).
Sergio Lombardo. Mappa minimale tiroidale a sette colori (1998)

Il recente interesse anche editoriale per le pubblicazioni e le provocazioni del Gruppo 63 - critici, artisti e scrittori esporatori dei nuovi mondi dell'arte, che furono un po' il versante italiano di Tel Quel e delle neoavanguardie artistiche, cinematografiche e letterarie europee -  e la ripubblicazione di alcuni romanzi ormai classici prodotti in quel decennio incandescente (come la impressionante costruzione cut-up operaista intitolata Vogliamo tutto di Nanni Balestrini) - attualizzano un altro interessante e nuovissimo saggio di Luca Caminati, professore genovese di Film Studies che insegna a Montreal e che Postmediadata ha appena edito (sia in versione italiana che in traduzione inglese) e che si intitola Il cinema come happening - il primitivismo pasoliniano e la scena italiana degli anni sessanta (pagine 64, euro 12,60). 

Luca Caminati, autore anche di un saggio su Rossellini documentarista
Gli anni sessanta della contestazione generale, della strategia di attacco più poderoso all'alienzazione e alla mercificazione globale, furono selvaggi o scientifici? Beat o Pop? Razionalisti o spontaneisti? Neoprimitivi e stregoneschi o già cibernetici? E c'è stata una frattura nel decennio?  In questo libretto si avanzano alcune interessanti ipotesi.

Il saggio non si dilunga sui rapporti iconografici, già molto ben studiati, tra l'immagine cinematografica pasoliniana e la pittura antica - medievale, rinascimentale, manieristica e barocca - ripetutamente studiata attraverso Longhi e i suoi corsi di Bologna, citata e 'evocata' come antidoto all'immagine piatta, superficiale, consumabile e gastronomica dilagante dall'era del boom in poi - con fumetto cinema pubblicità e televisione a molestare, abusare e dissacrare letteratura scultura e pittura 'alta', scandalizzando privilegiate baronie e caste trombonesche - e non solo nei film 'in costume mitico e adamitico'. 

Pasolini in Africa per gli appunti su un'Orestiade
In realtà Pasolini - con la stessa forza polemica con la quale Alberto Abruzzese e Alberto Asor Rosa ne criticavano il populismo e la nostalgia tradizionalistica, cioé la sacralizzazione dei reietti confezionata in modo da lasciar intatte le cose, meglio se adornate di passatismo, allargava voracemente e 'maschiamente' (la cosa piacerà molto ai giovani figiciotti scapigliati che si diranno inguaribilmente pasoliniani, da Borgna a Veltroni da Marrazzo a Bettini) i territori dell'immaginario e della ricognizione postmoderna di miti, favole, orrori e eresie in un corpo solo, il suo. Dandolo in offerta sacrificale agli eventi. Soprattutto dopo aver sbriciolato il muro razzista innalzato per proteggerci dai tre mondi (e dal nostro rimosso passato coloniale). E concependo il suo viaggio a ritroso già come un back to the future più che zemeckisiano, verso la Black Athena.  

Pier Paolo Pasolini. Appunti per un'Orestiade africana
Ci si occupa infatti questa volta, nel saggio di Caminati, del rapporto tra Pier Paolo Pasolini (che cavalca verso l'orrore sadiano di Salò e del nazismo non estirpato riattraversando la storia euro-asiatica del movimento erotico di liberazione dei corpi, dall'islam a Geoffrey Chaucer a Boccaccio) e gli artisti visuali più avanzati a lui contemporanei. L'arte realista, che troneggia ancora sul pensiero unico dei partiti comunisti ufficiali, viene intepretata, con Brecht e Ernst Bloch, e contro Lukacs "come un'arte che si sforza di sfruttare le reali fessure nelle interrelazioni superficiali e di scoprire cosa c'è di nuovo nelle loro crepe", insomma il realismo deve mostrare la discontinuità, non la tipicità, del mondo. Il realismo socialista zdanoviano, poi, è un vero mostro. Cosa ne sanno in Russia di Rinascimento? Sono fermi all'icona, come scrisse John Berger.

Pier Paolo Pasolini Appunti per un'Orestiade africana
In particolare lo stile visivo neo-primitivista (bianco e nero, cinepresa a spalla, uso continuato della panoramica documentaristica 'sporca', forma libera, frammentazione, voce off asincronica, scollegamento tra immagine e suono, tensione da street art...) dei diretti interventi antropologici-rivoluzionari di Pasolini sul Terzo Mondo, Appunti per un film sull'India, Appunti per un'Oresteade africana (1969-1970), lo collegano alla pratica anti-establishment e di resistenza alla modernità di Pino Pascali e degli esponenti dell'arte povera che"miravano esplicitamente a creare una rottura con la mercificazione dell'eternamente nuovo, donando superiorità a una materialità spoglia, con un'enfasi sull'impiego di materiali arcaici, naturali ed autentici". Tela di sacco, terra, acqua, ferro, stoffa bruciata, carta, specchio. Ovvero Fontana, Burri, Palladino, Pistoletto....Pensiamo a Piero Tosi e ai suoi costumi arcaico-futuristi in Medea....

Pier Paolo Pasolini. Appunti per un'Orestiade africana
Non solo si mette in discussione, in antrambi i casi, lo status culturale dell'autore, demistificando l'autonomia del 'regno dell'arte' e cercando di incorporare lo spettatore nello spazio dell'opera d'arte, in un work in progress che dà il finish alla ricezione, che sperabilmente vada in direzione della vita da cambiare più che in quella del palcoscenico o dello schermo superalienante (cfr. La verifica incerta di Grifi e Baruchello), ma ci traghetta verso a una altra concezione estetica, che Nicolas Bourriaud chiamerà 'estetica relazionale'.

Pier Paolo Pasolini e la camera in spalla
Dove ciò che conta non è l'essenza dell'arte, ma una nuova relazione dell'oggetto d'arte con lo spettatore, nella quale il significato dell'opera esiste, in forma di investimento epistemologico condiviso 'in' e 'intorno' all'opera, sul piano dei partecipanti all'evento in cerca di vita 'nova'. Lo spettatore soggetto attivo è quello fabbricato dall'happening, evento nel quale l'oggetto d'arte disperde la sua reale sostanza.  Non è un caso che in Medea (1969) Pasolini lavorerà con Julian Beck del Living Theatre e con Carmelo Bene che nella sua pratica sperimentale sta mettendo in discussione tutti gli elementi dello spettacolo borghese (testo determinato e fisso, interpretazione del testo, recitazione espressiva, autore, arte, regia...). A Pasolini il cinema di Andy Warhol e di Stan Brakhage non piaceva affatto. Però si chiede, in Empirismo eretico, se la strada del cinema di poesia-poesia non sia proprio quello. E commenta: "ma che orrore!" Immaginandosi che in futuro "la poesia del cinema non potrà che essere espressionista, macro-pop, deformante, gigantesca, angosciosa, allucinogena". L'irrealtà diventerà la super-star sensazionale che appiattirà il paese e il mondo occidentale portandolo a una irreversibile 'mutazione antropologica'. 

La tomba di Adriano Spatola
La sua concezione del cinema come "lingua scritta della realtà", nel senso che ciò che accade nella vita viene inciso sulla celluloide, però non si distacca molto dal non cinema warholiano e brakhagiano, anche se nel primo la star è tutto (Empire State Building compreso) e nel secondo non è tutto (ci sono anche i cani e gli uomini). "Il mondo rappresentato - e qui Caminati cita Pasolini - la natura, è già artificio, cultura, spettacolo. Non esiste più nulla di elementare, primario, ogni cosa rimanda a un codice preesistente. La realtà si atteggia a arte, meglio è già arte. Vivendo dunque noi ci rappresentiamo e assistiamo alla rappresentazione altrui. La realtà del mondo umano non è che questa rappresentazione doppia, in cui siamo attori e insieme spettatori: un gigantesco happening, se vogliamo". Anche, e forse di più, nell'Accra di N'Krumah. Conta poco il fatto che Warhol adori i nuovi mass media e Pasolini li aborra. Che il loro 'fronte di resistenza' sia agli antipodi, il passato agricolo e sub proletario, un sentimento religioso primitivo, il terzo mondo come alterità geografica, per l'uno, come per l'altro la metropoli, la pubblicità, il consumismo, il glamour, la sedia elettrica, il crash d'auto sanguinante, la pornografia e soprattutto la sensibilità camp che rovescia tutti i valori. La produzione di irrealtà può essere criticata anche attraversandone la 'primitività', in modo maschio o femmineo o transgender è lo stesso. Sono tattiche differenti. Warhol preferisce la lunga marcia seduttiva dentro le istituzioni della società dello spettacolo per mostrarne gli orrori. Pasolini è per una terapia d'urto 'esterna'.

Gunther Brus fa riemergere il rimosso nazismo in Austria
Colpisce infatti il collegamento diretto, subliminale ma intenso, ben evidenziati dall'autore nel saggio, ma generalmente poco tracciato, con gli Azionisti viennesi e con i loro sconvolgenti, radicali (e limitrofi a quelli pasoliniani) happening corporei sadomasochisti, sanguigni, gore e splatter, capaci di tracciare nuove mappe del futuro. Riti orgiastici simbolo del caos creativo...Il grand guignol è sempre stato tenuto alla larga dal nostro establishment culturale, perfino da quello estremista e sovversivo....

Performance di Rudolf Schwarzkogler
Le radiografie viventi del sessismo e della sessuofobia dilagante, allestite nelle piazze o nei cinema a luci rosse da Valie Export; le contro-messe rosse di Otto Mühl; i riti preistorici e precristiani di Hermann Nitsch che indicava nel paganesimo e nell'ellenismo radici di cui riappropriarsi; i bendaggi faraonici di Rudolf Schwarzkogler, il Sun Ra della nostra Europa bianca...E Günter Brus che gironzolava in pieno centro nella capitale austriaca come una scultura vivente materica e selvaggia, uscita da un horror di Eli Roth, spaccata in due da una linea che lo trasformava nel Visconte dimezzato, di qua tutto il Male (di un'Austria ancora nazista e ipocrita nel profondo, che riciclava addirittura un suo ex gerarca qualunque delle SS nel Segretario Generale dell'Onu Kurt Waldheim), di qua tutto il Bene nelle moltitudini di un paese in rivolta che reagiva con movimenti di piazza poderosi al ritorno del Moloch. Riti sacri(ficali) e quasi di autoimmolazione che in qualche modo esauriscono in un solo corpo d'artista la violenza che potrebbe scatenarsi nell'intero tessuto sociale. Anche Pasolini ci provò. Ma gli azionisti, che si scarnificarono prima dei punk, riuscirono a bloccare o deviare la lotta armata suicida. Niente Baader-Meinhof a Vienna. Insegnarono il grande sì alla vita. Altro che Moloch. Fu un trauma salutare per l'immaginario sessantottino in tumulto austriaco. 

Otto Muehl, "Astronauta"
Ma nel libro di Caminati si sfiorano solamente i rapporti, molto più conflittuali, di Pasolini con una parte, quella anti primitivista, di arte post-figurativa militante, pur vitalissima in Italia in quel frangente storico, e quasi egemonica a livello mondiale (basta ricordare le opere concettuali di Piero Manzoni, Mario Schifano, Enrico Castellani, Tano Festa, Franco Angeli, Giulio Paolini, Maurizio Mochetti, Giuseppe Uncini, Francesco Lo Savio, Sergio Lombardo, il gruppo N, il gruppo T, Enzo Mari.....). Fu guerra mondiale contro i monocromi and C. Proprio come era stata guerra mondiale quella contro il neorealismo. Una recensione negativissima del New York Times bloccò la lunga serie di esposizioni di arte italiana prevista ovunque, da Cicago a Los Angels.

Piero Manzoni e la linea più lunga del mondo
Ci volle la bomba atomica del Pop americano prima, e del postmoderno poi, per distruggerne i virali effetti devastanti, comportamentistici e intellettuali, dei nostri artisti concettuali. I media americani si occuparono di massacrarli criticamente. E sparirono dal grande business dell'Arte. E Pasolini può vantarsi di essersi involontariamente alleato con i suoi più acerrimi nemici modernisti, dell'Usis, per esempio, gli istituti culturali post-maccartisti che curavano l'invasione planetaria dell'arte nordamericana durante la guerra fredda. In fondo le opere della Pop Art e prima ancora dell'action painting o gli scritti della Beat Generation non sono più oggetti estetici del primo tipo. Siamo nell'estetica relazionale anche qui. Spesso nell'happening (o nel suo equivalente, la jam session jazz dell'era be-bop). Calvino direbbe che all'artista americano è permesso un ampio margine di resistenza, ma non la conquista dell' "immagine". Rabbia e urlo, sì. Antitesi no. E l'immagine è l'antitesi. Ciò che combatte il visuale omogeno.    

Nanni Balestrini
Un rapporto più che ostile che mise in scena una polemica non secondaria nel più generale combattimento all'ultimo sangue che una parte del Pci - che da Alicata ad Antonello Trombatori, da Berlinguer a Walter Veltroni si mosse piuttosto omogenamente, e male, sul terreno culturale, da cannibalizzare e strumentalizzare) ingaggiò contro gli esponenti più indomabili dell'arte di ricerca, in una sorta di regolamento estetico dei conti del gruppo dirigente (storico e novissimo) contro ogni tipo di comportamento sovversivo, tipico dell'estremismo di sinistra, individualista e inguaribilmente borghese: da Vittorini in poi, dal Politecnico all'Attico, la galleria d'arte foindata a Roma, in piazza di Spagna nel 1957 da Fabio Sargentini, "chi esalta le avanguardia, il formalismo e l'arte decadente è lontano dal popolo, ed è alla continua e mercantile ricerca del nuovo e fomenta il ribellismo individualista degli intellettuali che minano la saldezza del Partito comunista".
Gunther Brus

La Pravda dell'epoca, organo ufficiale del partito comunista sovietico, depositario unico della verità rivoluzionaria, anche se a sovranità limitata, definiva il Gruppo 63, che aveva ben poche simpatie per il troppo poco lavorato realismo soprattutto socialista e che comprendeva nelle sue file non pochi critici e artisti di alto livello, ancora iscritti al Pci, come Elio Pagliarani e Edoardo Sanguineti, 'la tipica interfaccia culturale borghese del neocapitalismo'.

Tecnocrati affamati di potere accademico e non solo, che traghettavano nell'arte e nella cultura, acriticamente, le tecniche combinatorie e  sperimentali che il neocapitalismo stava applicando in fabbrica e nella società per massimizzare sfruttamento e profitti trasformando la produzione artistica in un gioco già robotico, in 'merci prodotte elettronicamente a mezzo merci'. 

Piero Manzoni. Fiato d'artista
In realtà le neoavanguardie italiane che ci interessano di più oggi sono proprio quelle che fanno la critica al neo-primitivismo delle avanguardie storiche e neo. Si critica l'informale come un ritorno al coas primordiale o come regressione biologica ai primati, antenati della specie. Gli happening come nuovi riti orgiastici, simbolo del caos creativo; il surrealismo come espressione spontaneista dei processi primari; la metafisica come abolizione secca del tempo storico; il dadaismo come ripristino del regno disinteressato del caso al posto della tendenziosa intelligenza....

Sergio Lombardo
Sergio Lombardo, nella sua polemica continua contro il neo-primitivismo imperante, intrecciando arte e scienza combatte i mercanti e i critici d'arte che tendono a ridurre l'arte all'interno di piccole sette, basandosi ancora sulla inspiegabilità della comunicazione estetica condotta ancora secondi un rituale misterioso e alchemico... Invece di chiarire la mappa geografica di un avvicinamento progressivo tra arte e tecnologia: arte cinetica, strutture primarie, minimali, l'uso suggestivo-contemplativo dei test (Huebler, On Kawara...), dei vari linguaggi o simbologie scientifiche (concettualismo, Kosuth, Atkinson, Baldwin), dei vari metodi scientifici di analisi: dall'inchiesta (Huebler, Baldessari, etc), alle misurazioni sia formali che strutturali (Bochner, Sandback, LeWitt), alle prestazioni fisiche (Body Art)....Fondamentale a questo proposito il suo saggio su Piero Manzoni che, in polemica con chi lo ha ormai eletto a nume della trasgressività, della creatività e dell'espressività, per esempio gli assessori alla cultura, Gianni Borgna compreso, chiarisce l'importanza del suo metodo scientifico. Fu un artista non creativo. Non espressivo. Non trasgressivo. Non ludico. Utilizzando fiato d'artista, sangue d'artista, merda d'artista, musica per cuore e fiato (suoi), e ciò che di meno espressivo esiste, la linea. Dovremmo attenerci a questi 5 principi estetici fondamentali di Manzoni se non vogliamo cadere preda del cinema paccottiglia spacciato via via per trasgressivo ludico espressivo creativo (Kachiche, Lars von Trier, Sorrentino...). 
Il primo principio è quello della spontaneità. Valorizzare i comportamenti umani spontanei in quanto involontari, utomatici, incontrollabili, irripetibili, imprevedibili e soprattutto non simulabili: vientando ogni possibile 'finzione di spontaneità' o atteggiamento spontaneisico.
Secondo primncipio, o principio dell'interattività: stimolare l'espressione dello spettatore (interpretazioni proiettive, spaesamento) vientando ogni espressione dei contenuti personali dell'artista (astinenza espressiva). 
Terzo principio o principio dell'eventualità: inventare oggetti-stimolo capaci di provocare lo spettatore sul piano della realtà (evento), vietando la rappresentazione fittizia di mondi virtuali (finzione artistica, rappresentazione illusionistica, stimolazione prospettica). 
Quarto principio o principio della strutturalità: vincolare la forma dell'oggetto stimoloalla più semplice regola generativa in grado di garantirne la massima funzionalità estetica (struttura), vietando la libertà compositiva dell'artista (composizione lirica).
Quinto principio o principio di minimalità: nella produzione dell'oggetto stimolo  scegliere sempre la via più breve e più semplice (minimalismo), vietando l'uso di scelte arbitrarie, ispirate o poetiche (creatività, liricità).

 

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