sabato 17 febbraio 2024

Raccordi morali. Il cinema "straubico" di Danièle Huillet

Roberto Silvestri
“Il linguaggio filmico di Straub-Huillet è, tra l'altro, un linguaggio che privilegia il poco, un linguaggio di economie. E' anti-barocco. E' la creazione di uno spazio talmente limpido e fortemente studiato e necessario, che qualsiasi movimento, poi, qualsiasi scarto, qualsiasi trasgressione (studiata o fortuita) all'immobilità e al silenzio, vi acquista una risonanza enorme, mette in moto una catena inarrestabile di conseguenze espressive... Straub-Huillet ci mette sulla strada dell'utopia estetica più radicale: quella di un'arte che smetta di essere altro dalla realtà per aiutarci – con indifferenza, purezza, ostinazione - semplicemente a viverla”(Giovanni Raboni, Vita e Pensiero n.6/7 1971)
Scrivere su Straub-Huillet, così come sul suo compagno d'arme Jean-Luc Godard, quant'è difficile! Eppure come è indispensabile districare il loro modernismo (intessuto di Brecht, Kafka, Renoir, Fortini, Schoenberg, Boell, Vittorini, Pavese, Cezanne, Malraux, Bernanos...) rispetto al coevo - e a volte è “pura fiacchezza” direbbe Straub - cinema della modernità (“non si può tagliar a caso tra due inquadrature” in nome della forma che è forma che è forma....Non si può misurare la grandezza di un regista dal budget dei suoi film che crescono progressivamente a dismisura, e che per Bunuel e Nic Ray, era l'orrore di Hollywood). Ogni critico cinematografico dovrebbe confrontarsi con le opere di Straub-Huillet (in ordine alfabetico capovolto) che schiudono non superficiali immersioni esistenziali, letterarie, storiche, scultoree, fonetiche, musicali, pittoriche, circensi, soprannaturali e politiche, prima di esprimere giudizi e verdetti d'arte e parlare di barocco, camp, cinema d'autore, manierismo, romanticismo, classicismo, trash o postmodernismo... Infatti. Negli anni 60 e 70 i cineasti di ricerca, gli underground soprattutto, scrivevano anche presentazioni-prosecuzioni-provocazioni a proposito dei loro film (in forma di auto-recensione o di suggestione o di premessa o di aiuto, o di depistaggio) per contribuire a finish ricettivi più rigorosi cioé stupefaceni. Così, quel che pubblichiamo qui sotto, è la nota di presentazione scritta da Straub su Othon, il primo lungometraggio italiano della coppia che di impero romano tratta, parallelamente alle riprese di Claro, il film che contro l'Impero romano Glauber Rocha e Juliette Berto giravano attorno al Colosseo a ai Fori (che come diceva Franco Citti a Ninetto Davoli erano i quartieri “fori dar centro e dai palazzoni dei ricchi patrizi nell'antichità”). Lo scritto è stato proposto in forma di ciclostile dalla Deutsche Bibliothek di Roma del Goethe-Institut per le proiezioni di lunedì 20 marzo e martedì 21 marzo 1972 di Il fidanzato, l'attrice e il ruffiano (1968), Les Yeux ne voulent pas en tout temps se fermer ou peut-etre qu'un jour Rome se permettra de choisir a' son tour, cioè l'Othon da Corneille (1969), Machorka-Muff, da Heinrich Boell (1962) e Cronaca di Anna Magdalena Bach (1967). Del quale Straub scrive: “Il punto di partenza era l'idea di tentare un film nel quale la musica venisse utilizzata non come accompagnamento, né tanto meno come commento, ma come materia estetica. Si potrebbe dire in concreto che volevamo cercare di portare della musica sullo schermo. Tutti sanno che Bach è morto da diversi anni e io non intendo tentare di dare l'illusione di avere risvegliato Bach dalla morte. Per questo prendo un tale che si chiama Gustav Leonhardt e che non deve necessariamente somigliare a Bach...Non diremo ecco Bach. Direi piuttosto che si tratterà di un film su questo signor Leonhardt”.
Comunque il cinema S-H attira sempre più pubblico: l'esperienza schermica è, infatti, unica per comprendere cosa ci fu di dionisiaco e apollineo a un tempo nella “soggettività desiderante”, cuore del sistema epistemico sessantottino-settantasettino. Col termine “episteme”, Foucault designa l'ampio campo discorsivo in cui si posizionano in una determinata epoca i sentimenti (odio, amore) e le conoscenze, da quelle più intuitive fino a quelle maggiormente formalizzate. Più che di “pubblico” nel loro caso si tratta di “spettatori non riconciliati con i padroni dell'esistente”. Come diceva Straub: “Sono le linee di demarcazione che creano il nostro pubblico. E le linee di demarcazione finiscono per essere, in un modo o nell’altro, linee che corrispondono alle divisioni in classe e alla lotta di classe”. Jean Cocteau aggiungerebbe una frase che piaceva molto a Straub-Huillet e che riportarono nella nota di presentazione alla Berlinale (e poi a Locarno e Venezia) di Non riconciliati (Nicht Vershont), il film del 1965 che in 60 minuti percorre mezzo secolo di storia tedesca: “Sono le famose 'elites' a sbarrare il nostro cammino. Il popolo è sensibile alla bellezza, anche se lo confonde. E i nostri film che sono accusati di essere fatti per una minoranza devono saltare quell'ostacolo e cadere in questa maggioranza che giudica sempre più istintivamente e non è ancora chiusa al nuovo dalla routine delle mode”.
Il cineasta portoghese Pedro Costa nel 2001 nel crito-film, ovvero nel volantino di presentazione, Jean-Marie Straub-Danièle Huillet cineasti – Dov'è finito il vostro sorriso nascosto? penetra nella sala montaggio di Sicilia! alla ricerca del metodo di messa in forma di un pensiero. “C'è l'idea, poi una materia da combattere e poi la forma. Le cose esistono solo quando trovano un ritmo, una forma, come la libertà. La libertà di cui si straparla in astratto è molto materiale: è come la libertà di un musicista che è libero quando domina perfettamente la sua macchina. Tommaso d'Aquino che era napoletano e conosceva bene queste cose diceva che l'anima nasce dalla forma del corpo. L'ho detto 40 mila volte”. Vi si scopre qui, grazie a Pedro Costa, che Danièle continua a chiamare “Straub” dando a volte del lei al suo partner di sempre e che non è affatto vero che lei si occupava soprattutto di immagini sonore e di montaggio mentre lui degli aspetti visivi, ogni frazione di secondo è discussa per ore insieme, non senza polemica (c'è o non c'è una sfumatura irridente, gli occhi che ridono, in quel primo piano? Ed eccoli a cercare quel sorriso nascosto...). Bunuel, Eisenstein, Tati e Mizoguchi, sì. Cassavetes e Woody Allen, no, “non fanno che variazioni su generi televisivi”. Musica? Bird non “Dixie”! E “non abbiamo mai usato una segretaria di edizione. Certo che quella di Hitch, però, era fantastica. E: “la psicologia non deve essere degli attori che recitano ma del passaggio di montaggio -attrattivo- tra un piano all'altro, lì avviene qualcosa di molto più complesso della psicologia, una questione di etica”. Il raccordo morale. Il femminismo di Huillet ricorda quello di Rossanda e Von Trotta: la questione delle donne, piuttosto che essere una questione politica separata, rientra nella politica della sinistra rivoluzionaria. Ma.
In un acutissimo saggio del critico dei Cahiers du cinema Jean-Claude Biette su “Troppo presto, troppo tardi” (1982) - il montaggio di due documentari, uno sulla campagna francese e l'altro sulla campagna egiziana commentati in voce off da Engels (sulla condizione dei contadini dell'esagono prima del 1789) e di Mahmoud Hussein (sulla storia egiziana e sugli sforzi per uscire dal colonialismo) leggiamo: “Credo che in tutti i film di Straub-Huillet si mescolino attivamente due passioni, la politica e l'estetica. La prima fondata sull'odio e la seconda sull'amore. Nei loro film l'odio è il motore della passione politica, l'amore quello della passione estetica. E' infatti una questione di passioni, e questo appare sia quando i film vengono violentemente rifiutati che quando sono amati. Due tipi di personaggi o di figure ne rappresentano i poli: gli uni, positivi, sono sia i resistenti, personaggi particolarmente forti o non totalmente lucidi (come la nonna di Non riconciliati) o di una lucidità che eccede la realtà (il Mosé di Schoenberg) che gli artisti (dalla forte capacità di resistenza): Brecht, Pavese, Fortini (con, in quest'ultimo caso, la fortuna di poter mettere faccia faccia l'autore con i propri scritti). Gli altri, negativi: banchieri, avvocati, militari, uomini di potere, agenti della repressione e democratici opportunisti... Ma l'odio e l'amore non sono puri e e non appartengono a una sola parte: il primo che sarebbe rivolto ai personaggi negativi e la seconda ai positivi. D'altra parte l'odio non è una colorazione esclusiva della passione politica (Straub-Huillet ama gli oppressi), né l'amore la colorazione esclusiva della passione estetica (odia i clichés, le inquadrature senza senso, le durate inutili, la pornografia – intesa come belluria, orpello, esagerazione ridondante, colorazione sentimentale eccessiva; ndr). Odio e amore sono strettamente legati e scambiati, ma questo innesto di due passioni - la cui composizione esatta ci sfugge - è precisamente quel che orienta la più o meno grande riuscita dei suoi film...”. Naturalmente sia i personaggi positivi che negativi nella loro iscrizione cinematografica straubiana sono trattati nella stessa maniera, in modo quasi democratico, creando effetti di spaesamento di fronte ad attori divisi tra un testo da memorizzare in maniera non naturalistica e una macchina corporale che vorrebbe liberare la propria energia liberamente ma ha il dovere di sottomettersi agli ordini misteriosi e implacabili di ciascuna inquadratura.
A Tokyo (fino al 16 marzo) e alla Cineteca di Parigi (fino all'11 marzo) sono state organizzate due retrospettive complete delle opere di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. Il sito ufficiale Straub-Huillet ci aggiorna comunque periodicamente sulle proiezioni dei loro film in tutto il mondo (più in Thailandia che in Italia per la verità nel 2023). Ma sono disponibili su RaiPlay almeno quattro delle 52 opere - lotta tra le idee e la materia - di Jean-Marie Straub (30 firmate con Huillet), si tratta degli ultimi lavori, in lingua originale con sottotitoli del solo Jean-Marie: L’Aquarium et la Nation (Francia, 2015, 31'18”, testi da André Malraux, Les Noyers de l’Altenburg e The Walnut Trees of Altenburg); Où En Êtes-Vous: Jean-Marie Straub? (Svizzera, 2016, 9'), Les Gens Du Lac (Svizzera, 2018, 18'44”, testo di Janine Massard), La France Contre Les Robots (Svizzera, 2020, 9'53” dal testo di Georges Bernanos). E su Mubi c'è Omaggio all'arte italiana (2015).
INTRODUZIONE AL MIO FILM "LES YEUX NE VEULENT PAS"
di Jean.Marie Straub
Il film congiunge dapprima due colline, che si trovano oggi in mezzo alla città: il Campidoglio e il Palatino; tra le due, delle abitazioni popolari. Il Campidoglio era il centro religioso della Roma antica e sul Palatino – oggi un unico mucchio di rovine – era stata fondata Roma e hanno abitato ben presto i ricchi, i potenti e i padroni dell'Impero romano; lassù si trova un albero, e ai piedi dell'albero una caverna nella aquale, durante l'ultima guerra, i comunisti nascondevano di giorno le armi che utilizzavano la notte contro i padroni di allora, i nazisti e i fascisti.
Poi comincia, ancora più in alto sul Palatino – su una terrazza lunga, deserta, circondata dalla città attuale, dove stava una volta il palazzo dell'Imperatore Settimio Severo, una tragedia spesso comica, perfino ridicola – rappresentata da gente che porta i costumi romani.
La tragedia si chiama Othon. Uno dei più grandi poeti della letteratura francese, Pierre Corneille, l'ha scritta; essa fu rappresentata per la prima volta alla corte del re Luigi XIV a Fontainebleu, il 3 agosto 1664 – e in seguito 30 volte soltanto tra il 1682 e il 1708 alla Comédie Francaise; dopo mai più. Pierre Corneille scrisse una prefazione: “Se i miei amici non mi ingannano, questa tragedia eguaglia o supera la migliore delle mie. Una quantità di suffragi illustri e soldii si sono dichiarati per essa, e se oso unirvi al mio, vi dirò che ci troverete una qualche giustezza nella condotta e un po' di buon senso nel ragionamento. Quanto ai versi non ne sono mai stati visti di miei ai quali abbia lavorato con maggiore cura. Il soggetto è tratto dalllo storico latino Tacito, che inziia le sue Storie con questa, e non ne ho ancora messa nessuna sul teatro a cui io abbia serbato maggiore fedeltà e prestato maggiore invenzione”.
Pierre Corneille non era un uomo di corte, eera giurista nella città di Rouen e odiava la corte – e dei Romani almeno i patriottismo e l'imperialismo (opere precedenti come Horace e Nicomède lo provano). In Othon si tratta del potere e dell'amore. Il potere, cioé soltanto minaccia, ricatto, cinismo di una classe che da secoli lavora alla propria rovina e a quella del nostro pianeta. “Occupiamoci della nostra sicurezza e burliamoci del resto. Niente, niente bene pubblico, se ci di viene funesto; non viviamo che per noi, e non pensiamo che a noi” dice il prefetto Lacone nel corso della tragedia; lo stesso Lacone dice di Pisone, che propone come imperatore: “Pisone ha l'anima semplice e lo spirito abbattuto; se ha grande nascita ha poca virtù...” e dice due minuti dopo dello stesso Pisone: “Ha virtù, spirito, coraggio”. La tragedia mostra che il potere rende tale gente impotente in amore.
La tragedia consiste in cinque atti. Tre si svolgono nella terrazza del Palatino. In quarto atto si sovlge in un parco cion una fontana barocca e una villa del XVII secolo. L'ultimo atto si svolge di nuovo tra le rovine romane, ma più in basso. Camilla che nella storia di Tacito non esisteva, che è dunque un'invenzione di Corneille, rappresenta qui il paese, che non è mai consultato, e del destino del quale una cricca decide.
Alla fine del film Albino resta solo tra le rovine; nella Storia l'Imperatore Ottone doveva uccidersi tre mesi dopo sul campo di battaglia, per evitare che continuasse lo spargimento di sangue dei romani.
Il testo detto nel film è il testo originale francese completo di Pierre Corneille; gli attori, per tre mesi, lo hanno letto, imparato, ripetute e esercitato ed è stato poi unicamente recitato a memoria, registrato durante quattro settimane sui luoghi stessi.
I sottotitoli italiani cercano di comunicare un'impressione della lingua di Corneille, molto serrata eppure semplice, molto moderna eppure straniera; questi sottotitoli sono una traduzione (di Adriano Aprà e Gianni Mingrone, Danièle Huillet e mia) sempre letterale, eppure frammentaria, del testo parlato e non c'è nemmeno il bisogno di leggere tutti questi sottotitoli; sono lì, offeti alla scelta dello spettatore, come segnali. Piché il testo parlato, le parole, non sono qui più importanti che i ritmi e i tempi molto differenti degli attori, e i loro accenti (diversi accenti italiani e francesi, uno inglese, uno argentino); non più importanti dlelel oro voci particolari, (sor)prese nell'istante, che lottano contro il rimore, l'aria, lo spazio, il sole e il vento; non più importanti dei loro sospiri emessi loro malgrado o di tutte le altre piccole soprrese della vita registrate allo stesso tempo, come i rumori particolari che di colpo prendono un senso; non più importanti dello sforzo, il lavoro degli attori (sono io stesso tra loro – come il cattivo Lacone, perché volevo esserci) e il rischio che essi corrono, come dei sonnambuli o funamboli, da un capo all'altro di lunghi frammenti di un difficile testo; non più importanti della cornice nella quale gli attori sono chiusi; o dei loro movimenti o le posizioni all'interno di queste cornici, o dello sfondo davanti al quale si trovano; o dei cambiamenti e gli sbalzi di luce e di colore; non più importanti, in ogni caso, dei tagli, dei cambiamenti di immagini, delle inquadrature. Se si tengono orecchie e occhi aperti a tutto ciò, si potrà anche trovare il film avvincente e scoprire che qui tutto è informazione – ancche la realtà puramente sennsuale dello spazio, che gli attori lasciano vuoto alla fine di ogni atto: come sarbebe dolce, senza la tragedia del cinismo, dell'oppressione, dell'imperialismo, dello sfruttamento, la nostra terra. Liberiamola.

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