giovedì 20 settembre 2018

Mostra di Venezia75. The Sisters Brothers di Jacques Audiard e La Quieud di Pablo Trapero


Da Alfabeta 2. 

di Roberto Silvestri

Uno spaghetti western al dente
The Sisters Brothers di Jacques Audiard (concorso)





Peccato. Il compianto attore Harry Dean Stanton veniva dal Kentucky e aveva faccia, postura e etica giusta, per partecipare all'attuale revival western Usa che riparte - grazie alla riabilitazione di Tarantino e Alex Cox - dalla “versione spaghetti”, per incastonarla di nuovo nel paesaggio giusto e politicamente corretto del genocidio indiano (questa volta siamo in Oregon, a meta '800). Non tutti i bravi attori hanno la profondità tettonica di un viso da roccia. E c'è poco da essere grotteschi quando si tratta di conquista del west.
Dopo i 6 episodi di frontiera dei fratelli Coen, anche The Sisters Brothers è attratto dalla corsa all'oro (a indiani già massacrati, e a centinaia di migliaia). La produzione è Francia, Belgio, Romania e Spagna, e il film potremmo definirlo (visto che l'ossessione centrale per l'odontotecnica) uno “spaghetti western al dente”. Ma è la moglie americana del protagonista assoluto, Charles Reilly, a dirigere il progetto e a far tenere sempre il primissimo piano sul marito. Inoltre i coproduttori belgi, i fratelli Dardenne devono aver chiesto a Jacques Audiard di aggiungere tocchi chic qua e là (“...e qui citami Johnny Guitar”) e differente ”prestige” (un po' di chimica d'avanguardia, Charles Fourier e la comunità utopistica da fondare a Dallas, l'innovativa pasta dentifricia, appunto, e un tono crepuscolare) al genere più commerciale (e demodé) della storia. Di condire insomma “alla francese” un doppio buddy-movie (Joaquin Phoenix, Jake Gyllenhal e Riz Ahmed, più gigioni del solito, completano il quartetto) che ruba al nostrano filone cowboy il machismo e il cinismo, ma talmente usurati da trascinare i cattivissimi protagonisti, che in fondo in fondo hanno però un cuore tenero, due sicari a contratto di pistolera precisione, e le loro due ultime prede, coppia “pacifista” e “anarchica”, ma geniali inventori di un sistema chimico per scovare pepite di infallibile efficacia, verso una inevitabile e differenziata e stereotipata punizione finale. “Caccia all'oro” fa comunque pensare, obliquamente, a Trump. I soldi che ha ereditato dagli antenati vengono infatti proprio dai bordelli dell'Alaska che facevano più soldi delle pepite giganti...C'è della malizia nei Coen e in Audiard jr.




La sacra famiglia secondo Videla
La quietud di Pablo Trapero (Argentina, Fuori concorso)

L'argentino Pablo Trapero nella falsa commedia sentimentale o tragedia obliqua “La quietud” fuori concorso, torna ai giorni neri della dittatura militare e dei traumi irreversibili che hanno martoriato il paese. Questa volta il dramma si svolge in una paradisiaca tenuta, con cavalli, servitù e immenso terreno, dove due sorelle giovani, bellissime e super corteggiate, si ritrovano al capezzale del padre, alto avvocato di stato. L'inizio è brillante, molto sexy, a colori patriottici ben sottolineati. Tutto un delirio di bianchi e di azzurri come la sacra bandiera patria. Con una steady-cam fissa sulla nuca di una figlia, ma più alta, penetriamo in questo gioiello borghese delle Pampas e sembra che il punto di vista della storia sia proprio quello di un equino che segue la padrona ovunque. Poi a poco a poco torna la serietà, prima una cupa immersione negli intrighi sessuali delle ragazze, innamorate dello stesso uomo e ben coscienti della cosa, perché il fatto “le avvicina di più eroticamente”, poi addirittura scopriamo che la loro madre è stata violentata dal padre, complice dei torturatori e ripagato proprio con quella tenuta sontuosa strappata a prigionieri politici in cambio della vita. Poi con un uxoricidio... Insomma il cinema argentino continua a scavare nella Historia Oficial e a trovare altri orrori.

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