giovedì 20 settembre 2018

Mostra di Venezia 75. L'arte concettuale antidoto all'arte concentrazionaria


Roberto Silvestri

L'opera d'arte senza l'autore




Werk ohne Autor di Florian Henkel von Donnersmarck (Germania) concorso


Ancora un “heimat” dalla Germania, Werk ohne Autor. Cioè “Opera senza autore”. Che ha il sapore della parodia involontaria di Suspiria. Ci si occupa sempre di nazismo anche post-hitleriano, di arte d'avanguardia anni 60 e di Joseph Beuys e dei suoi allievi, di danza, campi di sterminio e Ddr... Ma con funesta superficialità e persino ironie fuori luogo sulla sperimentazione nelle Accademie (però qui, in fondo, sembra piuttosto che subdolamente si voglia più parlare male del comunismo, trattato come una sottoforma ipocrita di fascismo). Prendiamo Beuys. Lo spettatore uscirà senza troppo comprendere la sua teoria dell'arte come “scultura sociale” liberatoria e postautoriale, e dell'insegnamento come “la più grande delle sue opere d'arte”. Senza sapere che fu cacciato nel 1972 da quella cattedra, che fu aggredito dai nostalgici nazi...Anzi ho l'impressione che tra i due professori tedeschi che si scontrano nel film, il ginecologo gerarca nazista e l'artista rivoluzionario, la simpatia andrà proprio a quello sbagliato. Almeno sembra che la macchina da presa ne sia proprio ammirata. Quell' ideologia dell'essere sempre “il migliore” per sopravvivere è piuttosto alla moda, oggi. Guadagnino non ha fatto lo stesso errore di deturpare Darwin.
A volte infatti lo sguardo a distanza di un cineasta italiano (che si occupi di razzismo nella pancia d'America o di “furia” nell'epoca Baader-Meinhoff) può mettere meglio a fuoco fatti e traumi storici tuttora ribollenti e inquietanti per un connazionale.
In questo film, come in quello del pittore Schnabel su Van Gogh e di Guadagnino su Argento, si riflette anche sull'immagine e sulla “vitalità del negativo”. Sul mettere “male” a fuoco, deformare, oscurare, “cubizzare”, annullare, sperimentare l'oggetto, per meglio riformularlo e per cogliere il movimento vero delle forze e delle forme vitali. E su come invece il realismo socialista o altri tipi di arte popolare edificante, basati sul fraintendimento riproduttivo o sull'ignoranza totale della prospettiva rinascimentale e della scienza moderna, siano pericolosi giochi ottici iper-individualisti, obbligatoria e apologetica segnaletica, infatti, di un'unica vetero-soggettività consentita. Quella del partito o peggio del fuhrer.
Un pittore, Kurt, è anche qui il protagonista del film. Un giovane e squattrinato artista allevato da Ulbricht, fuggito all'ovest per non dipingere più affreschi in gloria dell'internazionalismo proletario, e poi allievo, a Dusseldorff, di un “quasi Beuys”, cappello incluso. Il regista, che ha vinto già l'Oscar, ne parla come un personaggio mix tra i concettuali dell'epoca, Richter, Polke, Uecker e Mack, La sua vita è perennemente legata a quella di una bellissima zia grande, Elizabeth, ariana ma eccentrica, amante dei “degenerati”, rinchiusa dunque in manicomio dai nazisti venti anni prima e poi fatta gasare dal padre di una stilista di genio, Ellie, che sarà il suo perenne amore (pur disinteressandosi dei suoi bellissimi vestiti). Rovinerà la vita di entrambi quel mostro di suocero, il prof. Seeband, ginecologo di fama, complice ad alto livello degli esperimenti eugenetici hitleriani, far fuori cioé razze “inferiori” e teste e corpi “superiori” ma deformi, riciclatosi nel dopoguerra prima come comunista doc (sono le parti più ridicole del film) poi come democratico integerrimo, ma che con destrezza riesce a sfuggire per sempre ai cacciatori di criminali nazisti. Sarà l'arte e i suoi labirintici (e quasi mistici) processi concettuali a portare Kurt almeno a un passo dalla comprensione della verità. Anche se non alla cattura del professor Seeband. Sarebbe chiedere troppo, visto l'aria dei tempi. (ps. arte concettuale vuol dire che una definizione d'oggetto è pensata affinché l'autore diventi chi, nella ricezione, continui a formulare l'imagine. Esempio la palla gigante di Sergio Lombardo se non viene fatta rotolare dallo spettatore non attiva lasirena d'allarme). 
Il titolo internazionale del film è un più popolare Non distogliere lo sguardo. Lo ha scritto, prodotto e diretto il tedesco di Colonia (e studi a Monaco) Florian Henkel von Donnersmarck, con apporti finanziari di numerose televisioni pubbliche, Rai compresa. Si soffre, e non è la prima volta alla Mostra, di una lunghezza eccessiva e nello stesso tempo di un montaggio che deve aver snellito un'opera più lunga, pensata per i comodi schermi e divani domestici. Insomma quel che ha attirato i capitali tv è il roller coaster tragico familiare che comprende anche il suicidio per impiccagione del padre di Kurt, stritolato sia dai nazi che dai rossi, molti corpi nudi (il titolo si riferisce alla parte più bella del film, quando zia Elisabeth spiega al piccolo Kurt che un artista deve osservare molto bene e “non distogliere mai lo sguardo” dal mondo, perché tutto ciò che è vivo è bello) e un aborto obbligatorio per Ellie. costretta dal padre, terrorizzato da un possibile erede di lignaggio non gradito. Padre che poi è l'attore internazionale Sebastian Koch, che domina ancora tutti, come performer, dall'alto in basso. Infine ecco come Kurt spiega cos'è l'arte. “E' come la lotteria. Se prendete sei numeri qualunque non vi dicono nulla. Ma se quei sei numeri vincono alla lotteria, allora assumono un gigantesco potere di verità”.

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