Roberto Silvestri
Un vero manifesto
teorico, forse troppo esplicito e gridato (l'intenzione sembra buona:
indicare un sentiero per uscire dalla morsa “verismo, naturalismo, realismo,
neo-neo realismo e cinema del reale” che paralizza il nostro immaginario) era stato scelto dalla gang della Settimana della critica per aprire provocatoriamente la sezione
di frontiera della Mostra di Venezia. E in questi giorni esce nelle sale italiane questo Ufo, Il cratere. Usiamo in senso affettuoso il termine "Gang" per definire gli esperti raccolti da Giona Nazzaro, come l'avrebbe detto Nagisa Oshima. Ricordate quando il cineasta giapponese mai riconciliato affermava che fare un film è sempre “compiere un atto criminale”? Si riferiva anche a una industria chiusa a riccio intollerante a tutto ciò che la mette in discussione. E non parliano poi di farne la critica. Cosa c'è di più criminale che fiancheggiare un crimine con una argomentazione retorica (e dunque ingannevole)?
Il cratere (niente a che fare con il Vesuvio, come sembrerebbe) è opera di
coppia, diretta, prodotta e scritta con straordinaria strafottenza
narrativa e spettacolare, anche nel rapporto tra finzione e
documentario, da Silvia Luzi & Luca Bellino.
Girata in digitale
nei veri luoghi dell'azione (suburbi poveri di Napoli e Senigallia),
è la radiografia implacabile, a camera sfacciatamente intrusiva, di
un rapporto di coppia estremamente strano. Tra un padre che vende
alle fiere pupazzetti in lotteria e la figlia adolescente, talento
canoro naturale, una Maria Nazionale in erba, che potrebbe essere la
soluzione di ogni problema finanziario ed esistenziale (se non
psicotico). Sharon, sempre perseguitata dal padre, come Jerry Lewis
in Quel fenomeno di mio figlio, tratta però il suo dono come
qualcosa di giocoso non di professionale, vista la sua giovane età.
Incide dischi, va in tv, certo, ma qualcosa non funziona ancora. La
ragazza è troppo distaccata, non mette tutta se stessa
nell'interpretazione, non arriva al cuore delle persone. Bisognerà
addestrarla. Si distrae troppo. E allora. Niente amiche. Niente gioco
con le palle. Va seguita. Va addirittura controllata con quattro
telecamere.... A questo punto dovrà diventare invisibile, proprio come
Cratere (che è una costellazione che, propio a causa
della sua esagerata luminosità, svanisce alla vista) per sfuggire alla prigione edipica
in cui lei e lui sono invischiati...
Padre e figlia
sono gli stessi interpreti, Rosario Caroccia e Sharon Caroccia,
indivisibili, inseparabili. Ma in maniera differente dal film, più
convenzionale nello sviluppo narrativo, e molto meno perverso, che fu
bocciato a Venezia due anni fa ma poi fece indigestione di premi perché le gemelle siamesi erano mozzafiato.
Già la
prima scena di Il cratere, infatti, svela tutto. Sharon, allo
specchio, ripassa, ma danzando come fosse in uno show tv, la lezione
di italiano e di francese: cos'è il verismo? cos'è il realismo?
Verga e Flaubert (e Balzac, Zola, Courbet, Grosz, Stroheim, De Sica,
Visconti...
L'oggettività della raffigurazione, il non prendere
posizione, da una parte, privilegiando la marginalità, la povertà e l'oppressione (che se non ci fosse bisognerebbe inventarla). Palazzeschi direbbe la "bellezza del derelitto". E, dall'altra, lo scavo psicologico del personaggio tipico, che ci introduce fin nelle parti
più intime della sua interiorità o spiritualità e invita a prendere posizione. E nel fuori campo
uno pensa già alla contrapposizione tra tipi sociali, alla lotta di razza e di classe, ai
cambiamenti epocali reali, ovvero al cinema “europeo” che gira
sempre attorno al concetto di realismo (da Aristarco a Lars Von
Treir, passando per Bazin), contrapposto al cinema dei Miti, dei modelli
ideali, che, dall'antica Grecia, Hollywood classica ha saputo così bene riciclare in più generi, fino ai Marvel, per affermare, back to the future, alcuni concetti
trascendenti, ereditati dalla cristianità, per esempio i valori
irrinunciabili ed eterni della libertà (anche di sfruttare) o della
sacra proprietà privata (da difendere armi in pugno)..
Che il mondo
immaginario dell'arte possa produrre un forte effetto di realtà è
l'obiettivo delle numerose tendenze realiste (o che ne subiscono
l'egemonia, astrattismo compreso), tutte,
contraddittoriamente, tese all'idealità (il rispetto
per ciò che si “sfrutta”, la non-manipolazione visiva, la
tensione problematica, la serietà oggettiva, il fastidio per
l'intrusione degli elementi comici e satirici alla Michael Moore...)
per dire qualcosa sulla realtà non solo momentanea (ed ecco il
“realismo socialista” e il “realismo poetico”) e non solo
“umanistica”.
Insomma mi pare che Cratere prende di petto sia il cinema della
trasparenza, estremizzazione realistica che inneggia al piano
sequenza e al “montaggio proibito”, perché trufferebbe il senso
di realtà - il cinema del reale in realtà, se è fuori norma, è solo quello nel quale il regista guarda guardarsi, e ci mette lo sguardo, in maniera che lo spettatore possa giudicarne la moralità - sia quello di chi afferma che il mondo ha la virtù di
parlare da sé (il cinema diretto).
Dunque non siamo solo dentro un
labirintico intrigo di editing, ma anche in pieno “regime
cristallino”. Se si rompe il tempo cronologico, se non è il
movimento senso-motorio che fa andare avanti la storia, ma
“situazioni sonore ottiche” esplorano il tempo e lo rendono
visibile, ecco apparire il carattere, almeno duplice, del presente,
che è sempre passato nel momento in cui sembra “just in time”.
L'immagine-cristallo è la metafora di questa coincidenza tra reale e
virtuale. Trattare tutto questo con umorismo partenopeo e serietà
Farocki è fecondo.
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