Sarà indimenticabile il 2014-2015 grazie a Vizio di forma. Questo film noir di Paul Thomas Anderson nelle sale da un mese - da vedere e rivedere - grande omaggio a Hawks, Bogart e Dorothy Arzner redivivi, nonostante la maggiore tristezza medidativa che perma oggi tutto il materiale conoscitivo di allora, chiarisce un punto poco illuminato: che la contestazione generale planetaria del decennio 60-70 è stata sconfitta, a nord e a sud, a est e a ovest, da una valanga di droga pesante scaraventata contro il movimento che ha ucciso i migliori, intossicato i cervelli e le tasche dei sopravvissuti, riempito le tasche dei cattivi, corrompendo, da allora, tutto il paesaggio. Tradimento dei chierici compreso.
In Vietnam l'occidente è andato solo per rifornirsi di droga pesante rubata distruggere le economie altrui e togliere di mezzo la roba leggera. Da quando l'afghano nero, il libanese verde e il marocchino di tutti i tipi è ogm, tutto è cambiato. Come vuole Renzi. In peggio. E poi. Chi ci restituirà quelle belle anime teenager, vittime di troppe overdose? Commuovente che a farle rivivere ci sia il film di un pronipote nato nel 1970.
Formalmente Inherent Vice è un noir senza ombre, piuttosto mette in scena il vizioso scontro tra foschia e neon, tra fog oceanico e inquinamento pop, tra penombra sexy e luccicanza della Borsa, tra la bellezza della pasticca blue e il resto dark del mondo. Tra lo spirito comunitario hippies e l'edonismo egoista individuale dei futuri yuppies, tra la Los Angeles dei surfer ribelli e dei Simbionesi tutti e quella degli square mal incravattati e vigliacchi, perché protetti da quel megafascista di Daryl Gates, il dittatore della polizia di Ellei. Surfer ribelli? A sud di Santa Monica sta per nascere (si intravede in una scena) il grande movimento culturale proletario degli skateboard. Imparare a solcare, dopo le onde oceaniche che finivano pericolosamente a infrangersi sui i piloni sopravvissuti ed emergenti del pontile crollato di Venice, anche le mareggiate metropolitane, con corpi più snodabili e hip hop, collegando e comunicando via graffiti i ghetti, sarà il nuovo sport dell'antagonismo sociale. Da allora ad oggi.
Stiamo ancora mangeggiando troppo i contenuti? Yes. Ma il contenuto è sempre la fase suprema della forma, come insegnarono alla scuola linguistica di Praga i formalisti russi. Certo. Se il sortilegio dell'artigianato collettivo riesce, se la consonanza tra assoli e ritmica deforma le aspettative, se i corpi degli attori penentrando nelle musiche di Greenwood (dei Radiohead), nei costumi di Bridges, nei tagli di montaggio di Jones, nelle scene di Crank, nelle luci opache e materiche di Elswit, resuscitano come personaggi a tutto tondo, comparse comprese, di un mondo che fu ed è ancora.
Nel noir classico (1942-1948) il nero era candido e il bianco dei capelli luccinati molto conturbante, ma ferale. In questo caleidoscopio paranoico diluito nelle song di Neil Young, Can, Minnie Riperton e di surferband come The Marketts, lo spettro appare molto più complicato e terrificante. Ma la paranoia, insegnavano gli anti psichiatri dell'epoca come Cooper e Laing, fu la tecnica di difesa dalla famiglia e la sostanza mentale e "animale" autoprodotta che salvò molti. Per non farsi iniettare il virus della normalità e del conformismo, per sfuggire alla famiglia tentacolare era un toccasana.
Fenomenale, a questo proposito, il settimo libro di Thomas Pynchon (Feltrinelli stile libero), da cui è tratto questo noir groovy (e che Anderson, il più sobrio e barocco tra i cineasti visionari d'America, completa), ambientato nel 1969 sull'oceano Pacifico. Un fluxus narrativo storicamente e politicamente denso, esplicito e diretto nonostante le interferenze psicotrope della sostenza caotica dell'espressione. Troppo indigesto, insomma, il tutto, per festival e Academy Awards. La Mostra di Venezia di Laudadio, in fondo, non si scandalizzò forse per Boogie Nights, il primo capolavoro di P.T.Anderson, rifiutandolo e facendo così diventare il Lido lo zimbello degli appassionati di cinema di tutto il mondo?
La detective story di Vizio di forma in fondo è cristallina. Se si racconta in modo diurno, la intravediamo nella foschia: sparisce nel nulla, e va ritrovato, Mickey Wolfmann (Eric Roberts), un miliardario losangelino che ha smesso di divertirsi ad accumulare tesori con la speculazione edilizia e cacciando i neri dalle loro povere case e gentrificare a forza di corrompere politici e Lapd. Insomma un uomo d'affari che è "impazzito", secondo le categorie capitalistiche vigenti. Ritrovarlo, per un detective di Gordita Beach, però non risolve la faccenda. Non è stato assassinato da quella femme fatale della moglie, ma perché la Cia lo nasconde e protegge?
Oppure si può raccontare l'indagine in modo notturno, al neon: un detective privato che vive sulla spiaggia della Los Angeles meno fighetta, Doc Sportello (Joaquin Phoenix), ex militante dell'Sds californiano di origini italiane, coi sandali di gomma e gli amici surfer proletari, ha trovato un cocktail innovativo (hascisc, marijuana e lsd) per allargare la coscienza, risolvere il caso di Wolffman scomparso, zigazagando nelle notti buie e tempestose tra: 1. una fumata infinita sul suo divano; 2. una fiamma antica impossibile da dimenticare (Shasta Fay Hepworth, Katherine Waterston) che riappare, ama Wolfmann e chiede aiuto; 3. un membro della Black Guerrilla Family, Tariq Khalil (Michael Kenneth Williams), politicizzatosi in galera anche troppo, visto che ha trovato convergenze parallele perfino con i suprematisti ariani; 4. una bionda dark lady di miserabili e commercialistiche ambizioni; 5. un poliziotto coriaceo e completamente fuso, perché anche gli sbirri sadici hanno un'anima e delle mogli virago (il tenente Christian F. "Bigfoot Bjornsen cui Josh Brolin regala nevrotici e ambigui retrogusti comici); 6. l'avvocato inesperto di Doc, ma involontariamente efficace perché sa tutto di diritto marittimo (Benicio Del Toro è Sauncho Smilax); 7. un dentista cocainomane e pedofilo fino all'iperbole (Martin Short è il più tenero degli squilibrati nel ruolo del dottor Rudy Blatnoyd); 8. uno strozzino assassino che avrebbe fatto impazzire di gioia Russ Meyer per le sue passioni naziste 9. l'avvocato Crocker Fenway (il redivivo Martin Donovan, l'alias di Hal Hartley) che tutela i segreti indecifrabili di una strana organizzazione che si chiama Golden Fang, Zanna d'oro, come la misteriosa goletta manovrata dalla Cia per commerciale eroina e oppio dall'Estremo Oriente, controllando così il 70% del taffico mondiale di droga. ma allora eravamo ancora senza internet e Lassange...
Doc, che entra nel labirinto e va a istinto e tentoni, proprio come San Spade, riesce a non sbroccare del tutto e resiste a una serie di aggressioni criminali, interne ed esterne alla Lapd, fino a aggiudicarsi una piccola fertile feconda vittoria "morale", proprio come il Movement imporrà con ogni mezzo necessario la fuga dell'esercito Usa dal Vietnam, Laos e Cambogia (bombardata illegalmente per 5 anni dal criminale internazionale Nixon). Meriterà i soldi di chi lo ha ingaggiato, la tenera casalinga Hope Harlinger (Jena Malone), l'ex tossica che non trova più il marito, Coy Harlinger (Owen Wilson), sassofonista tenore di una surf band di Topanga, diventato lurido informatore e spia dell'Fbi per colpa della dipendenza dalla droga
pesante che lo aveva trascinato, a poco a poco, tra le braccia dell'ignominia e dell'autodegradazione. Ma solo chi cade può risorgere.
Raramente un film di Hollywood ci ha restiutuito la gravità di quel frangente di storia e la tonalità erotica altissima di quegli anni. Cosa consiglieremmo a un ragazzo di oggi per capirci qualche cosa? Certo Ultimo tango a Parigi di Bertolucci. I doc di Emile De Antonio e Attica di Cynda Firestone. Ma tra il materiale meno specialistico? Psych-out di Richard Rush, Gli ultimi bagliori di un crepuscolo di Robert Aldrich, forse e Charlie Varrick di Don Siegel... Poco altro.
Il modello implicito a cui il nostro Doc, l'anti-eroe si ispira, ovviamente degradandosi nel mondo delle sostanze non pesanti tipo il whisky, è certamente il Marlowe, da quello classico alla versione di Paul Bogart che è proprio del 1969. O Moses Wine detective di Jonathan Kaplan, che è un militante della controcultura. E gli Shaft o i detective neri di Chester Himes. Ma il modello esplicito è Sharlock Holmes, l'indagatore analitico e induttivo della Soluzione di cocaina al sette per cento (romanzo scritto nel 1974 dal cineasta e produttore Nicholas Meyer che nel 1976 sarà un ottimo film di Herbert Ross).
Non sorprende infine la centralità della donna in questo film noir così sganciato dall'epoca nella quale il noir nacque e prolificò grazie all'improvvisa presa di potere delle donne nella società Usa visto che gli uomini erano tutti a combattere in Asia e in Europa e Eleonor Roosevelt favoriva l'ascesa. Un intellettuale d'oggi di 45 anni non potrà che rovesciare anche gli ultimi bagliori di maschilismo sessantottino e l'abietta caricature che ne fece la Manson Family. Visto che il romanzo e il film si svolgono proprio durante il processo alle girl adoratrici del loro guru rock, del musicista assassino strabico.
Qui invece Doc è solo il finish, il sintetizzatore, l'ottimizzatore finale di una band di donne che in qualche modo lo manovrano affettuosamente. L'uomo di fatica di una strategia femminile di rivoluzione totale: Shasta, la sua ex; Penny, la nuova fidanzata, donna in carriera e magistrato affascinata dal comportamento schizofrenico a singhiozzo; Jade (Hong Chau), ovvero il simbolo asiatico della rivoluzione sessuale che emerge perfino al Chick Planet, club di massaggiatrici artistiche; Japonica (Sasha Pieterse), la ricca rampolla fedifraga, antenata e erede di Winona Ryder come ragazza destinta a scappare da tutte le famiglie e da tutti manicomi e correzionali per adolescenti; Sortilége, l'ex impiegata di Doc che conosce tutta la storia anche prima che avvenga, perché vede cose che noi comuni mortali non conosciamo, e infine la saggia zia Reet, che deve nascondere di certo un passato da wobblie...
Shasta, in particolare, la sua ex ragazza (Catherine Waterston, rediviva spirito libero, quasi una Babara Hershey), un ex grande amore, "eravamo gli unici due a non bucarci e per questo avevamo un sacco di tempo a disposziione per noi due", ma che ormai si sono lasciati, ma a stento, anche per il gusto di riacchiapparsi, pentendosene, di tempo in tempo, perché lei osa intraprendere viaggi lisergici molto più pericolosi e radicali, anche nell'ambiente dei nuovi pescecani che stanno divorando la megalopoli. Ha un tale nto da Mark Davies. Senza la sua spinta, senza la sua lucidità paranoica, degna di un William Burroughs (a cui era dedicato tra le righe The Master), senza il suo erotismo dispiegato internamente nella scena più hot del film, non si capirebbe la miseria etica, estetica e erotica delle Manson Girls, le assassine per errore di Sharon Tate e dei suoi sei amici.
Dicevamo che il fluxus narrativo è storicamente e politicamente denso, esplicito e diretto. Nel libro tutte le ramificazioni e i collegamenti sono più spiegate. Ma nel film non si sono note a pié pagine, eppure c'è tutto nello sfondo e se si sta attenti: il conflitto in sud est asiatico con tutto il carico di droga pesante che viene scodellato negli Usa; i maneggi di Hoover e dell'Fbi contro le black panthers e i fratelli di Soledad; il presidente, dal 1968, Richard Nixon e il governatore della California, dal 1967, Ronald Reagan, che privatizza tutto, anche i manicomi; il famigerato capo della polizia di Los Angeles che scatena i suoi scagnozzi come Robert Aldrich mostra in I ragazzi del coro e i motociclisti nazisti mille uso descritti da Al Adamson e Roger Corman; i disordini di Watts e il maccartismo che ancora avvelena il fuori scena di Hollywood, costringendo attori decaduti a pentirsi in maniera immonda per sfuggira alla lista nera e alla miseria nera.... E dunque la recensione merita una inquadratura politica. La citazione iniziale del romanzo è: "Sotto il selciato c'è la spiaggia", che è la celebre scritta su un muro di Parigi, del Maggio 1968, e che è anche il titolo di un capolavoro del Nuovo Cinema Tedesco, diretto da Helma Sanders-Brahms. Un film che riflette profondamente sulla sconfitta del sessantotto europeo come questo sulla sconfitta strategica del Movemen da berkeley alla Columpia a Kent. Ma il titolo del film che vuol dire?
Un uovo che cade si rompe. Una finestra di vetro va in frantumi alla minima pallonata. Un martire imbottito di dinamite salverà la pelle a stento, se spintonato... Insomma un "vizio di forma" nella costruzione interna di cose, persone e istituzioni innesca potenti forze autoannientatrici. Ma la crisi (tutti gli artisti stanno elaborando sulla stessa incerta situazione economico-sociale planetaria, e Paul Thomas Anderson in Il petroliere e The Master ha indagato su cruciali rivolgimenti ottocenteschi e post bellici, economici e spirituali) che vizio di forma è?
Un “vizio di forma” speciale perché tutela e conserva la sostanza inalterabile di un modo di produzione e di un way of life, non solo ormai privi di antitesi (perfino nella Cina comunista, dopo la fine della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria) ma che senza ritmiche crisi traumatiche (i vizietti di forma?) non troverebbero preziosa linfa per la loro metamorfica espansione spaziale e crescita volumetrica.
La periodica crisi capitalistica ha ingigantito (dalla metà dell’800 ad oggi) e reso sempre più potenti e totalitari i trust Usa. Le leggi anti-trust infatti sono state create solo per tutelare meglio il complesso ‘militare-industriale’, per scatenare e favorire lo schiacciamento e assorbimento degli imprenditori medio-piccoli e come pura arma antisindacale, per impedire l’organizzazione orizzontale e "monopolistica" dei lavoratori, che dovrebbe essere unitaria al di là del tipo di lavoro, del sesso e dell’etnia e della religione degli iscritti ma che in Usa è sostanzialmente proibita proprio...dall'Anti Trust (e Renzi, invidioso, sta studiando il sistema per scodellare quell'intuizione geniale anche in Italia).
Ma tra vizio di forma e vizio “innato”, quello che per esempio la ruggine provoca lentamente al ferro distruggendolo, c’è una sottile differenza. In inglese Inherent Vice infatti è anche quella clausola che impedisce alle assicurazioni di pagare per un’automobile che abbia preso fuoco da sé, per combustione spontanea… Insomma è quel difetto innato e nascosto che causa il deterioramento di una proprietà, senza mettere in discussione il principio della proprietà privata.
Il film Vizio di forma invece mette proprio in discussione la proprietà privata tornando all'epoca d'oro della controcultura e della new Hollywood quando si credeva che l'Era dell'Acquario insorgente avrebbe spazzato completamente via il vecchio mondo e le decrepite classi dominanti per accogliere come si deve il Paradise Now. E lo fa senza senza urlare, come avvienive invece tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta in un verso di Ginsberg, in un assolo al sax soprano di Coltrane o alla chitarra di Hendrix o in un inseguimento esplosivo cormaniano di macchine. Il tempo degli slogan, anche poetici, è finito.
Il sax tenore Coy Harlingen, il secondo uomo sparito (Owen Wilson) |
Joaquin Phoenix e Josh Brolin |
Una band rock del 1970 non può che ispirarsi a Luis Bunuel |
Mickey Wolfmann, il miliardario svanito nel nulla.... |
Ricordando Shasta |
Con Shasta e Sortilège in una seduta di fumo |
Jade (Hong Chao) |
Joaquin Phoenix |
In cerca di roba |
Paul Thomas Anderson |
Non sorprende infine la centralità della donna in questo film noir così sganciato dall'epoca nella quale il noir nacque e prolificò grazie all'improvvisa presa di potere delle donne nella società Usa visto che gli uomini erano tutti a combattere in Asia e in Europa e Eleonor Roosevelt favoriva l'ascesa. Un intellettuale d'oggi di 45 anni non potrà che rovesciare anche gli ultimi bagliori di maschilismo sessantottino e l'abietta caricature che ne fece la Manson Family. Visto che il romanzo e il film si svolgono proprio durante il processo alle girl adoratrici del loro guru rock, del musicista assassino strabico.
Con il vice procuratore distrettuale Penny Kimball (Reece Witherspoon) |
Shasta, in particolare, la sua ex ragazza (Catherine Waterston, rediviva spirito libero, quasi una Babara Hershey), un ex grande amore, "eravamo gli unici due a non bucarci e per questo avevamo un sacco di tempo a disposziione per noi due", ma che ormai si sono lasciati, ma a stento, anche per il gusto di riacchiapparsi, pentendosene, di tempo in tempo, perché lei osa intraprendere viaggi lisergici molto più pericolosi e radicali, anche nell'ambiente dei nuovi pescecani che stanno divorando la megalopoli. Ha un tale nto da Mark Davies. Senza la sua spinta, senza la sua lucidità paranoica, degna di un William Burroughs (a cui era dedicato tra le righe The Master), senza il suo erotismo dispiegato internamente nella scena più hot del film, non si capirebbe la miseria etica, estetica e erotica delle Manson Girls, le assassine per errore di Sharon Tate e dei suoi sei amici.
L'involuzione della dark lady |
Il romanzo |
Un “vizio di forma” speciale perché tutela e conserva la sostanza inalterabile di un modo di produzione e di un way of life, non solo ormai privi di antitesi (perfino nella Cina comunista, dopo la fine della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria) ma che senza ritmiche crisi traumatiche (i vizietti di forma?) non troverebbero preziosa linfa per la loro metamorfica espansione spaziale e crescita volumetrica.
Japonica guida senza patente |
La periodica crisi capitalistica ha ingigantito (dalla metà dell’800 ad oggi) e reso sempre più potenti e totalitari i trust Usa. Le leggi anti-trust infatti sono state create solo per tutelare meglio il complesso ‘militare-industriale’, per scatenare e favorire lo schiacciamento e assorbimento degli imprenditori medio-piccoli e come pura arma antisindacale, per impedire l’organizzazione orizzontale e "monopolistica" dei lavoratori, che dovrebbe essere unitaria al di là del tipo di lavoro, del sesso e dell’etnia e della religione degli iscritti ma che in Usa è sostanzialmente proibita proprio...dall'Anti Trust (e Renzi, invidioso, sta studiando il sistema per scodellare quell'intuizione geniale anche in Italia).
Ma tra vizio di forma e vizio “innato”, quello che per esempio la ruggine provoca lentamente al ferro distruggendolo, c’è una sottile differenza. In inglese Inherent Vice infatti è anche quella clausola che impedisce alle assicurazioni di pagare per un’automobile che abbia preso fuoco da sé, per combustione spontanea… Insomma è quel difetto innato e nascosto che causa il deterioramento di una proprietà, senza mettere in discussione il principio della proprietà privata.
Benicio del Toro, l'avvocato |
Martin Short nelll'imitazione di Al Pacino in Scarface |
Sortilége (Joanna Newsom), l'ex dipendente di Doc e voce off |
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