sabato 16 ottobre 2021

Shakespeare ad Harlem. Melvin Van Peeble, il Muhammad Alì dell'arte black. Esce il cofanetto Criterion e il New York Film Festival gli rende omaggio

di  Roberto Silvestri 




Il New York Film Festival gli ha appena reso omaggio con la proiezione, nel 50° anniversario, del suo film di riferimento Sweet Sweetback's Baadasssss Song; un cofanetto della Criterion Collection, Melvin Van Peebles: Essential Films, è in vendita dai primi di di ottobre mentre e un revival della sua commedia Ain't Supposed to Die a Natural Death, è previsto a Broadway il prossimo anno.

Melvin Van Peebles che è morto il 22 settembre scorso nella sua casa di Manhattan, ha lasciato un segno indelebile nel panorama culturale internazionale attraverso i suoi film, romanzi opere teatrali e musica in una carriera senza pari caratterizzata da innovazione incessante, curiosità illimitata ed empatia spirituale.

Come Oscar Micheaux negli anni 20 e 30, il Griffith del cinema nero indipendente, Melvin Van Peebles, regista scrittore attore montatore produttore e compositore, ma anche pittore, broker, rapper ante litteram e giornalista, un artista totale di stampo rinascimentale piuttosto singolare e stravagante, è stato, dai primi anni 70 in poi, un punto di riferimento e quasi un eroe popolare della comunità african-american. 

Il Black Panther Party consideravo il “poema visuale urbano” Sweet Sweetback’s Baadasssss song il primo vero film rivoluzionario realizzato da un african-american, consigliandone la visione all’intera comunità. A quasi 90 anni è ora in post produzione il quarantatreesimo film da attore di Melvin Van Peebles, Pile on! cortometraggio surreale di Douglas Chang su un suonatore di sax di plastica e i suoi pazzi incontri. 

I  soli16 film scritti, diretti e quasi sempre prodotti da Melvin Van Peebles, controversi e provocatori (di cui 7 corti, uno per la tv e due episodi diretti per serie tv) hanno provato che un filmmaker indipendente e sfrontato non poteva sopravvivere e lavorare, fuori e perfino dentro il grande mercato, soprattutto se  provocava, incideva, pungeva come un’ape, diventava un persiloso un punto di riferimento per i giovani ribelli. Infatto la critica bianca e snob, anche liberal, non solo quella razzista. lo considerò per anni “un cineasta poco più che dilettante”. La risposta è in un suo libro "Sweet Sweetback's Baadasssss Song: A Guerilla Filmmaking Manifesto" (filmed as How to Get the Man's Foot Outta Your Ass (2003). 

Proprio come Micheaux, Van Peebles credeva nel cinema come arte popolare, capace di comunicare con i desideri e le fantasie del pubblico di massa, nero, bianco e di ogni colore e genere. Meglio se incazzato. Come Truffaut, Chabrol e Godard, ai quali rubò il gergo inquieto, lo slang che arrivava dritto negli occhi e nel cuore dello spettatore moderno, Melvin Van Peebles non ha mai fatto film d’azione, semmai “di reazione” a un mondo orrendo e a una vita da incubo, contro cui bisognava scagliarsi non ogni mezzo necessario. In questo senso si possono certo definirli, e Clint Eastwood con loro, cineasti reazionari. E ridare al concetto di politicamente corretto il suo vero significati sovversivo Robert Altman non potrà fare a meno della sua presenza anticonformista, almeno in un film, Non giocate con il cactus (1985). 

Nato a Chicago il 2 agosto 1932 durante la Depressione, Melvin Van Peebles ha soprattutto voglia di scappare via. Frequenta la Ohio Wesleyan University e, dopo tre anni di mezzo come ufficiale di rotta dell’aviazione statunitense, addetto ai radar sui bombardieri, " come nel dottor Stranamore", non riuscendo a trovare lavoro nelle compagnie aeree, viene assunto a San Francisco per un anno come autista di tram. Ha 26 anni. Un amico fotografo lo trascina verso il cinema. Gira due cortometraggi all black, Three pick-up for Herrick (come è dura per un disoccupato trovare un lavoro non schiavistico) e Sunlight (ladro per poter sposarsi va in prigione ed è rilasciato appena in tempo per presenziale alle nozze della figlia) e va a Hollywood che gli spalanca le porte, offrendogli ben tre alternative: ascensorista o parcheggiatore agli studi o ballerino. 

Fuck you. Così Melvin emigra, prima in Messico e vive facendo ritratti per strada; poi in Olanda, con la famiglia e continua gli studi all’Università di Amsterdam, seguendo una sua seconda passione, l’astronomia, e lavorando al Teatro Nazionale. 

Si sposta a Parigi, la capitale del cinema moderno, dove si arrangerà perfino come mendicante, ma anche come musicista e giornalista del giornale satirico Hara Kirie e di France Observateur (che lo manda a intervistare, diventandone grande amico lo scrittore Chester Haimes, il "Chandler nero"), chiamato da Henry Langlois, il Papa delle Cineteche, innamorato dei suoi cortometraggi, che li presenta in un cinema degli Champs Elysees assieme a Lotte Eisner e Amos Vogel, e lo raccomanda e introduce nella comunità dei cineasti francesi. 

Gira a Parigi un corto di 12’ ispirato ai 400 colpi di Truffaut, Les Cinq Cent Balles (500 Francs,1961) distribuito da Les Films de la Pléiade e che non fa sconti, a proposito di guerra d'Algeria, neppure con il razzismo francese. Ma non è facile, in Francia come a Hollywood, girare un lungometraggio ed entrare nel sindacato registi e dirigere un film vero e proprio. Però, avendo scoperto che uno scrittore può dirigere la versione cinematografica del suo lavoro, si inventa scrittore in francese senza sapere il francese e completa e pubblica ben 4 romanzi e una raccolta di saggi (Le Chinois du XIVe, Jerome Martineau 1966) che ha scritto per Hara Kiri: A bear for the Fbi, cioé Un ours pour le Fbi (Buchet-Chastel, 1964);  A true American (Un americain en enfer (Demoel, 1965); A party in Harlem (La fete ò Harlem)  e La permission (Jerome Martineau, 1967)

Il trattamento di quest’ultimo, in inglese Story of a Three Day Pass, ottiene un finanziamento di 200 mila dollari dal centro cinematografico francese. Proiettato al festival internazionale di San Francisco nel 1967, e successo di stima, viene prontamente, e erroneamente, proclamato dai critici “il primo film di un regista negro”. Roger Ebert lo esalta. Il linguaggio spregiudicato della cinepresa “made in nouvelle vague” che non sopporta format di sorta e il plot antirazzista (tre giorni in campagna di un soldato nero in licenza-vacanza con la sua bianca fidanzata, una commessa francese) ne fanno però davvero il primo film nero americano “moderno”. 

Moderno come il suo primo album musicale, Brer Soul, che alcuni insegnanti del ghetto utilizzarono per insegnare ai ragazzini riottosi a leggere e scrivere perché “finalmente ascoltavano parole per cui provavano un certo interesse”. Van Peebles “si dimostrò presto abile nel promuovere sia il suo film che se stesso e nello sfruttare fino in fondo una stampa desiderosa di creare nuovi eroi, neri e un po’ rinnegato” come scrive Donald Bogle in “Blacks in American Films and Television” descriveno un comportamento obbligatorio per un artista indipendente che non vuole farsi annichilire da cucciolo e vuole dimostrare che si può competere con Hollywood giocando sul suo stesso terreno. 


La Columbia Pictures desiderosa di catturare i tempi nuovi ancora incomprensibili nel 1970 apre i suoi studi e Watermelon Man (L’uomo caffelatte), risultato di un incontro non privo di compromessi. Il film, scritto da Herman Roucher, va così così al box office (ma John Landis nel suo episodio antinazista di Ai confini della realtà non lo ignorerà). L’attore african-american Geoffrey Cambridge, truccato da bianco (in inglese si dice whyte-face con la ipsilon), fa l’assicuratore nei suburbi. Ricco e soddisfatto di sé e della sua casa-box, un giorno si sveglia, si guarda allo specchio, urla di orrore e raggiunge un barattolo di crema sbiancante perché è diventato nero! Ovvio che la moglie lo pianti all'istante e il 'poveretto' raggiunge l'orlo della pazzia (Geoffrey Cambridge aveva già parodiato il travestimento dei bianchi della tradizione razzista dei “minstrel show” che si dipingevano il viso di nero, alla Al Jolson di Il cantante del jazz, a teatro, in Blacks: a clown show di Jean Genet). Il titolo del film è anche quello di un pezzo di Herbie Hancock e una regista nera femminista Cheryl Dunya nel 1996 ne diresse un omaggio, A Watermelon Woman

Così Van Peebles decide di realizzare un film competitivo con Hollywood ma realizzato solo come vuole lui. Il nuovo film è, dato il budget, un poliziesco di serie B, filone "persecuzione", girato in gran parte in esterni e di notte, e postsincronizzato. Sweet Sweetback’ Baadasssss song è realizzato in piena indipendenza creativa, controllando il final cut, fuori dai grandi studi e con una troupe nera non sindacalizzata (perché si finge di produrre un porno). Il budget è di 500 mila dollari, in parte i soldi guadagnati alla Columbia, in parte donazione di Bill Cosby (50 mila dollari) e in parte anticipati dal distributore Cinemation, specializzato in exploitation. Contemporaneamente all'uscita del film esce nelle librerie il libro (Lancer Book) e il disco con la colonna sonora (Stax Record). Spike Lee ripetera il "triplete". 

Ovviamente il film è tagliato fuori dal circuito promozionale. Stampa e talk show lo ignorano. C’era troppo sesso crudo, violenza esplicita e radicalità politica in Sweet Sweetbacks, opera indigesta, non come i drammi integrazionisti con Sidney Poitier. Così Van Peebles si rivolse direttamente, anche pubblicitariamente, attraverso una stazione radio nera di successo, alla comunità e in particolare ai “fratelli di strada” e riuscì a ottenere il passaparola giusto: ecco il film ‘black power’ che aspettavamo da sempre. Lentamente Sweet Sweetback esplode. Esce a Detroit il 31 marzo e a Atlanta il 2 aprile e fa il boom di incassi. Nel corso del 1971 conquista il paese: viene programmato da 60 cinema nella sola area di New York e da 150 sale dell’intero paese. E a questo punto i media inseguono il fenomeno. 

E il trentottenne cineasta, utilizzando slang proletario e look da baffuto, trasandato “cattivo ragazzo” col sigaro, astutamente conquista i media come eroe nero, capace di superare mille ostacoli produttivi, espatriato per razzismo, e che ha messo KO il Big Business. I media sono conquistato da questo nuovo Cassius Clay. Indossa una felpa che commenta perfidamente la valutazione “morale” data a Sweetback. "questa X me l’ha data una giuria completamente bianca”. E sulla base del suo collo aveva tatuato la scritta: "Taglia sulla linea tratteggiata - Se puoi". "Nell'ultimo anno - rivela Melvin a Life - in tanti ci hanno provato. Usa infatti la contraerea con l’establishment critico “bianco su bianco” e le recensioni negative: “Roger Ebert non ha capito il film, proprio come Giuditta non ha capito Cristo”. Pensava che quel simpatico ragazzino di colore che aveva sostenuto l'avesse tradita. Le è piaciuto il mio film Storia di un permesso di tre giorni. Ha pensato che fosse caldo e dolce. Ma all'improvviso sono il regista più inetto e dilettante che abbia mai visto... perché in Sweetback's lo dico chiaramente". 

Melvin metteva esplicitamente in discussione nel film gli standard e i pregiudizi inossidabili dei critici e delle critiche bianche, come l’idea che cinema nero fosse sinonimo di “film risentito e piagnucoloso sull’eterno sfruttamento subito”. “Volevo invece fare un film vittorioso, in cui i neri potessero uscire a testa alta”, spiegherà il regista in un video sul film girato nel 2003, The real deal. Il film inizia con una didascalia eloquente anche oggi in epoca Black Lives Matter: «Questo film è dedicato a tutti i fratelli e le sorelle che ne hanno abbastanza dell'uomo bianco», mentre al posto del cast viene menzionata la «comunità nera». 


Sweetback
è il nome del protagonista ed è un po’ l’autobiografia “pop” del regista che incorpora molti dei luoghi comuni con i quali i neri si rappresentano e vengono rappresentati dagli stereotipi: è stato commesso un omicidio davanti al bordello in cui lavora Sweetback. Il proprietario e la polizia si mettono d'accordo per incastrare un sospetto plausibile, lo arrestano assieme a una pantera nera, Noo-Moo, ma i due riescono a evadere ma prima di raggiungere la frontiera messicana se ne vedranno delle belle... non mancano bordelli, chiese, prostitute, droga, predicatori, stridore di feni, giornalisti, terzo grado, gioco d’azzardo, gang di motociclisti, performance sessuali imbattibili. Vengono anche fustigati, nel film, alcuni neri, non sempre solidali tra di loro, ma il racconto è sulla costante persecuzione dei poliziotti bianchi, razzisti e torturatori, che Sweetback non subisce, anzi punisce, diventando così l’idolo della comunità. Bisogna rompere il muso ai nazi-cop, se provocati. Sweetback non dirà più di dieci battute. La storia è semplice, quasi rudimentale, la linearità è archetipale. La mancanza di "folla", di generici e di comparse impedisce larghi movimenti di macchina, ma la frammentazione in episodi rende il ritmo più vorticoso. L'atmosfera è differente, le immagini hanno  il sapore metropolitano, scrive il critico francese Michel Euvrard, di un polar di Jean Pierre Melville, per esempio Le iene del quarto potere (Deux Hommes dans Manhattan, 1959). Le canzoni che sottolineano, anzi ricoprono l'azione, ora lounge music, ora gospel, ora Motown, ora rock creano l'effetto di uno show didattico musicale, di una epopea popolare, di una brechtiana Opera da tre soldi.     

E alla fine lo straordinario successo di Sweetback, nonostante critiche anche all'interno della comunità nera, dimostra che aveva fatto centro e conquistato, con sensibilità differente, il pubblico nero e in particolare i giovani. Hollywood capisce presto che deve coinvolgere questa nuova, ricca fetta di pubblico e si lancia nelle imitazioni blaxploitation di Sweetback, glorificante la potenza sessuale senza pari del maschio nero (Shaft, Fly, Super Fly, Coffy etc...). 

Ambizioso, Van Peebles fa un detour e va subito alla conquista di Broadway, con due spettacoli black di rottura che hanno prodotto lo stesso effetto scandalo di Sweetback nel pubblico e nella critica, Ain’t Supposed to Die a Natural Death (Non dovrebbe morire di morte naturale, 1971); e Don’t Play Up Cheap (Non giocare al ribasso, 1972) di cui ha girato una versione cinematografica che non ha raggiunto il successo del film precedente perché mal distribuito. In entrambi utilizza il metodo brechtiano del monologo cantato, in stile sprachgesang. Due infernali pipistrelli arrivati dagli Inferi vorrebbero rovinare una magnifica festa a Harlem ma non ci riusciranno. Sembra un cartoon del primo Disney. 

La cosa più curiosa dell'ascesa fulminea del personaggio pubblico di Melvin è stata la sua repentina eclissi dalla ribalta. Nonostante fosse diventato una celebrità assoluta, nella seconda metà degli anni 70 improvvisamente Van Peebles sparisce dalla vista. Preferisce lavorare con indipendenti fuori mercato come Robert Downey jr. (America, 1986) o Charles Lane (Cambio d’identità, 1991) e scrivere per altri (Il circuito della paura per Michael Schultz, del 1977, con Rychard Pryor, asso nero del volante). 

Forse perché, come tanti altri cineasti sposta a metà del decennio il suo interesse sulla televisione, considerata un’arte minore, se non una non-arte, scrivendo (ma non dirigendo) Just an Old Sweet Song (1976) con Cecily Tyson, regia di Robert Ellis Miller, tra lo stupore e lo scandalo dei fan che si sentono traditi: dove è finito il negro cazzuto di Sweetback, che a fine film avverte: "attenti: tornerò a riscuotere quanto mi è dovuto!"? Questo era un dramma familiare, a tinte tenui, una coppia di Detroit fa una vacanza nel sud, più adatto a gratificare l’emergente middle class nera e a compiacere l’establishment bianco. Melvin si è imborghesito. Ma la televisione di quel tempo esercitava su format e codici un controllo spietato. 

Già nel 1981 quando torna in tv Van Peebles il pubblico è cambiato e forse il controllo ferreo inizia a sgretolarsi. L’audience conta più dei buoni sentimenti. Nel 1981 scrive una sceneggiatura bollente per Sophisticated Gents. Certo, segue le regole del decoro d’obbligo (linguaggi inoffensivi e sesso asettico), ma affronta personaggi e temi con profondità bergmaniana – uomini e donne nere che cercano di analizzare se stessi, la propria vita sessuale, l’omosessualità e il sistema tutto – fino a quel momento considerati tabù anche perché anticommerciali. Inoltre van Peebles dimostra che per quanto frammentato, eccessivo e inebriante potesse apparire il suo stile, era capace di ottenere risultati efficaci senza abbandonare il punto di vista ferocemente anti-borghese che lo caratterizzava.


Il cinema mainstream da lui respinto (Columbia gli aveva offerto un contratto per 3 film che aveva rifiutato)  lo evita per due decenni. Riminicinema lo invita in Italia per il film indipendente Crisi di identità (1989) ritorno alla regia di un lungometraggio dopo 17 anni, che ironizza sul machismo rap, e sfoggia un Mario Van Peebles posseduto dalla personalità di uno stilista di moda molto gay…. 

In quei due decenni alleva il figlio Mario all’arte della recitazione e della regia e torna preferibilmente alla produzione teatrale off-Braodway dirigendo Bodybags (1981) mentre l’anno dopo scrive, dirige, interpreta e musica Walts of the Stark. Nel cast il Mario che apparirà presto in film a basso budget e nella serie tv L.A. Law (1986). Assieme al padre interpreteranno nel 1987 Jaws The Revenge (Lo squalo 4 la vendetta di Joseph Sargent). Del 1995 è il copione del bellissimo Panther, da un suo romanzo sulla criminale repressione attuata dall’Fbi di Hoover contro la pericolosa svolta marxista del partito. 

Dagli anni 90 ad oggi Melvin torna al cinema soprattutto come attore e affianca Eddie Murphy in Boomerang (Il principe delle donne) di Reginald Hudlin e Arnold Schwarzenegger in Last Action Hero del 1993, di John McTiernan. E sarà spesso diretto dal figlio, fin dall’esordio, New Jack City, 1991. E poi Posse, 1993; Love kills, 1998 con Maria Marx sua mamma attrice che aveva già recitato in Ilsa, la belva delle SS di Don Edmonds (1975); Redemption Road, 2010; We The Party, 2012; Armed 2018 tutte incursioni rigenerative e dal ritmo blues sui generi classici: noir, western, thriller, bellico, commedia teenager, musical. 

Ma papà Van Peebles aveva sorpreso di nuovo tutti quando aveva deciso, nel decennio degli yuppies, di appendere momentaneamente al chiodo la macchina da presa per diventare l’unico broker nero a scommettere e vincere in Borsa. Un buon modo per autofinanziarsi. Da “Renegade Buck” eccolo trasformarsi in Bumpie (Black Urban Middle Class Professional). Siamo pronti all’era prossima ventura “Spike Lee-John Singleton” la prima generazione di registi neri capaci di maneggiare qualsiasi genere hollywoodiano e di uscire dal ghetto del black movie con capacita metamorfiche e manageriali insospettate. Del 1994 è un corto realizzato per la tv tedesco, Vroom-Vroom-Vroom che a Cannes viene presentato in una trilogia, Tales of Erotica assieme a film di Ken Russell, Susan Seidelman e Bob Rafelson. Leroy, ragazzo solitario e disadattato, salva una vecchina dalle ruote di un autobus e riceve in dono una motocicletta che – potenza del vudu - si trasforma in donna quando Leory la guida di notte. Del 1996 un film eastwoodiano, Gang in blu, scritto e diretto per la televisione, con Josh Brolin e il figlio nei panni di un ufficiale di polizia che scopre una cellula di suprematisti bianchi nel suo dipartimento. Del 2011 un video clip per la band Laxative preceduto da un lungometraggio autobiografico-testamento del 2008 dal titolo indimenticabile,  Coffessionsofa Ex-Doofus-ItchyFooted Mutha 









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